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Sabato, 27 Settembre 2014 17:02

Emys trinacris in natura

 

Emys trinacris

 

 

Ricerca degli habitat siciliani della Emys trinacris, nella provincia di Trapani. Ovviamente per l’importanza della sopravvivenza della specie, tralascio la descrizione della zona esatta dell’avvistamento degli esemplari. Dico solo che la posizione è isolata e si tratta di un piccolo stagno in buone condizioni naturali. Nella zona ci sono altri stagni che sarebbero da controllare accuratamente per verificare se sono anch’essi colonizzati, solitamente le Emys spp. usano spostarsi fra diversi stagni, a volte distanti anche di qualche chilometro tra loro. Attorno ci sono coltivazioni non intensive e sembra che sporadicamente gli agricoltori utilizzino la pozza per prelevare dell’acqua. Insieme all’amico Enrico (siciliano Doc) decidiamo di fare visita a questo stagno, da lui già conosciuto e scoperto nelle sue tante scorribande naturalistiche. Gli avvistamenti sono stati tutti di esemplari in acqua e nessuno era su rami o arbusti in modo da essere completamente fuori e quindi più fotogenico. Essendo ormai a metà Ottobre, pur con una giornata gradevole e soleggiata, appena arrivati, di prima mattina, non si vedevano esemplari, ma si sa che per avvistare tartarughe non è mai facile.

Verso mezzogiorno, quindi con le temperature massime, abbiamo iniziato ad avvistare alcuni esemplari e poco dopo in una zona a nord dello stagno, dove in superficie ci sono molte alghe e canne stese, ho contato oltre una ventina di teste affioranti.

 

Ovviamente il bacino è completamente circondato da un foltissimo canneto e fare foto non è semplice, si rischia sempre di finire in acqua da un momento all’altro.

 

Nel frattempo Enrico, in mezzo alle canne trovava una carcassa di una piccola Emys trinacris di circa 5 anni; purtroppo finché non sono adulte i pericoli naturali sono tanti, soprattutto aironi, rapaci e anche volpi.

Il bacino sembra in buone condizioni, ricco di alghe, rane e tanti insetti acquatici, ma quello che mi ha stupito è la mancanza assoluta di pesci, però la quantità di esemplari di Emys trinacris è veramente notevole, sia di adulti che di piccoli.

 

 

Prima di ripartire ecco una piacevole sorpresa: un ramarro dalla bellissima colorazione, neanche tanto spaventato, che ci osservava quasi stupito dalla nostra presenza; di lì sicuramente passano pochi esseri umani. La presenza del ramarro è sintomo di buona qualità dell’habitat.

 

di Agostino Montalti

Sabato, 27 Settembre 2014 16:47

Testuggine palustre siciliana

 

Emys trinacris (Fritz, 2005)

Testuggine palustre siciliana

di: Enrico Di Girolamo ©

  

INTRODUZIONE

La popolazione di testuggine palustre presente in Sicilia per molto tempo è rimasta ai margini di un vero e proprio interesse scientifico, tanto che è abbastanza recente la sua riscoperta, soprattutto da un punto di vista tassonomico, essendo stata riclassificata nel 2005 (Fritz et al.) come una nuova specie, Emys trinacris (in greco antico la parola Trinacria si riferisce alla Sicilia),distinta da Emys orbicularis, specie alla quale veniva ricondotta prima di questa data.

TASSONOMIA

Emys orbicularis (Linnaeus, 1758), comprende una decina di sottospecie (il numero cambia a seconda degli autori), tra cui 2 presenti in Italia, ovvero: 

Emys orbicularis galloitalica (Costa Tirrenica e Sardegna)

Emys orbicularis hellenica (Costa Adriatica) 

Emys orbicularis capolongoi (Sardegna) è stata respinta trattandosi di un sinonimo di galloitalica (Rhodin, Van Dijk, Iverson, Shaffer, 2010) e probabilmente la stessa situazione riguarda Emys orbicularis ingauna (Liguria) la cui descrizione è ancora in corso. 

In passato la testuggine palustre siciliana rientrava secondo il parere di alcuni autori nella sottospecie galloitalica, per altri invece si trattava di hellenica, c’era anche chi distingueva il gruppo orientale da quello occidentale dell’isola, a conferma di quanto poco si sapeva su questa popolazione, tanto da non poter immaginare che si trattasse invece di una specie a sé stante. Infine nel 2005, degli studi approfonditi basati sul DNA hanno evidenziato una netta differenza rispetto ad Emys orbicularis, tanto da essere descritta come Emys trinacris (Fritz et al.), endemica della Sicilia. Le differenze riscontate sono a livello di DNA mitocondriale (mtDNA), e non di DNA nucleare, e sarebbe questo il motivo che potrebbe suscitare alcuni dubbi. Il termine “specie criptica” e il suo significato in contrapposizione  al concetto di specie è in discussione. E’ stato concluso che la delineazione di una specie basata sul mtDNA richiede l’applicazione di un “Concetto Filogenetico di Specie”. Sotto il “Concetto Biologico di Specie”, il mtDNA di un animale non è sempre uno strumento ideale per delineare le linee di demarcazione di una specie. Le specie criptiche non sono rare in natura, ma le difficoltà per la loro identificazione sono dovute alle insufficienti abilità cognitive dell’uomo. Questo è spiegato dal fatto che le distinte fasi di vita di una specie criptica possono differire a vari livelli dalle specie similari, come nel caso dei piccoli e gli adulti di Emys trinacris ed Emys orbicularis galloitalica.

LO STUDIO

Le prime popolazioni oggetto di studio hanno riguardato la parte Sudoccidentale dell’isola, e in particolare le due aree protette della Riserva naturale del “Lago Preola e Gorghi Tondi” e la Riserva naturale di “Torre Salsa”. La prima è situata nel Comune di Mazara del Vallo (TP), si tratta di una depressione carsica e costituita da quattro bacini, il lago Preola e i tre gorghi (Gorgo alto, Gorgo medio, Gorgo basso). Il lago Preola è un bacino temporaneo, attualmente in stato senile, la presenza di acqua al suo interno è appena percettibile, solo durante le stagioni più piovose può raggiungere una profondità di 30 cm. I  gorghi sono tre laghi in stato maturo e hanno profondità media di 7 m ognuno. La Riserva naturale di Torre Salsa invece, è situata nel comune di Siculiana (AG). L`area  è attraversata da diversi fiumi, con numerose ramificazioni spesso piuttosto profonde, lungo gli argini e presenta una vegetazione di tipo paludoso. Nella Riserva di Lago Preola e Gorghi Tondi sono stati prelevati (per scopi di ricerca) esemplari di tartarughe durante un periodo di tempo di circa otto mesi, da Marzo a Ottobre del 2003; le catture nella Riserva naturale di Torre Salsa si sono prolungate per circa cinque mesi, da Marzo a Luglio 2004. Per ogni esemplare catturato sono state misurate 12 varianti biometriche, rispettando in molti casi le convenzioni stabilite per Emys orbicularis (Graham, 1979; Zuffi & Gariboldi, 1995). La misurazione degli esemplari è stata fatta per mezzo di un calibro digitale con precisione di 10 millimetri e una bilancia elettronica con precisione di 1 grammo. Sul carapace di tutti gli esemplari sono state marcate incisioni combinate col fine di eliminare possibili errori durante l’analisi dei campioni (Stubbs et al., 1984). I dati raccolti sono stati utilizzati per la descrizione statistica e per analizzare le differenze tra i sessi. Sono stati esaminati 275 esemplari, 146 (79 maschi , 47 femmine e 20 piccoli) catturati nella Riserva di Lago Preola e Gorghi Tondi e 129 (58 maschi , 35 femmine e 36 piccoli) nella Riserva di Torre Salsa. In entrambi i gruppi, il rapporto maschi-femmine si è dimostrato a favore dei maschi, rispettivamente 1.68:1 e 1.67:1. Per gli esemplari di Lago Preola e Gorghi Tondi, l’ampiezza del ponte è stata la migliore variabile di discriminazione tra i sessi, mentre negli esemplari di Torre Salsa il miglior risultato si è ottenuto con l’altezza del carapace. Il rapporto maschio-femmina è un fattore ecologico molto importante capace di influenzare le dinamiche delle popolazioni. Finora il rapporto maschio-femmina nelle Emys trinacris non era mai stato studiato, sebbene erano stati registrati valori variabili negli esemplari italiani di Emys orbicularis, tra 1:1 e 1:2.4 (Mazzotti, 1995; Zuffi & Gariboldi, 1995; Mazzotti et al., 2007), sempre a favore delle femmine. Per quanto riguarda le popolazioni siciliane, presenti in zone di bassa latitudine quasi a livello del mare, il rapporto tra i sessi è fortemente sbilanciato a favore dei maschi. Considerando l’omogeneità dell’habitat naturale ed escludendo una differenza nel tasso di mortalità ingiustificata, la possibile causa del rapporto non bilanciato può dipendere da una maggiore mobilità da parte dei maschi. Il confronto dei valori ottenuti ha mostrato che la taglia dell’esemplare medio della popolazione nella riserva di Lago Preola e Gorghi Tondi è più ridotta rispetto alla taglia degli esemplari di Torre Salsa, le cui dimensioni medie sono simili a quelle di altri esemplari incontrati in altre zone della Sicilia (Ardizzoni & Fritz, 1998). Prendendo in considerazione il rapporto positivo tra il numero di uova deposte e le dimensioni delle femmine (Mitrus & Zemanek, 1998; Zuffi et al., 1999), probabilmente le due zone hanno diverse funzioni ecologiche. La Riserva di Lago Preola e Gorghi Tondi potrebbe costituire la zona di crescita, costituita da un ampio numero di subadulti ed esemplari adulti di piccole dimensioni, con un basso tasso di produttività. Mentre la Riserva di Torre Salsa, potrebbe ospitare una popolazione più matura caratterizzata da una grande produttività dovuta alla presenza di un numero più elevato di esemplari adulti di grandi dimensioni. Sulla base dei campionamenti avvenuti principalmente all’interno di queste due aree, è stata descritta come nuova specie la testuggine palustre siciliana in linea generale, cioè per tutta l’isola, ma teoricamente non si può ancora escludere che in altre zone, ad esempio nella parte Nordoccidentale (essendo quella più vicina alla Penisola), alcuni esemplari possano appartenere alla specie Emys orbicularis, e che quindi questa ed Emys trinacris siano specie simpatriche in Sicilia, ma solo ulteriori studi genetici che interesseranno le altre popolazioni potranno dare una risposta concreta a questa ipotesi.

(esemplare fotografato nella Riserva di Torre Salsa)

DISTRIBUZIONE E HABITAT

La testuggine palustre è presente in tutta l’isola, comprendendo il territorio di ognuna delle 9 province, anche se non in modo omogeneo e con popolazioni più o meno consolidate. Il suo areale arriva fino ad una altitudine di 1400 m (Monti Nebrodi). Predilige le acqua calme, ricche di vegetazione sommersa e galleggiante, quest’ultima molto utilizzata durante il basking. Si adatta a tutti i corsi d’acqua, sia naturali che artificiali, frequenta maggiormente stagni e zone paludose, ma anche piccoli laghi, fiumi e canali; sopporta anche acque salmastre.

CARATTERISTICHE FISICHE

La colorazione di fondo è scura, con caratteristiche striature e punteggiature gialle che ricoprono testa, arti, coda e carapace. Alcuni esemplari posso assumere da adulti una colorazione quasi uniformemente gialla con minima pigmentazione nera sul carapace (“maculosa morph” Fritz, 1992). Il piastrone negli adulti si presenta giallo, le suture orizzontali possono essere marcate di nero; in altri casi sugli scuti pettorali e addominali (e a volte anche alle estremità dei gulari e anali) rimangono evidenti delle macchie nere. Nei piccoli, alla nascita, il carapace ha una colorazione uniforme, ma più chiara rispetto al nero tipico dei piccoli di Emys orbicularis ssp; il piastrone ha una leggera macchia al centro che col tempo andrà sfumandosi fino a scomparire; le macchie degli scuti pettorali e addominali citati precedentemente appaiono successivamente alla nascita. In alcuni esemplari adulti, sul piastrone si può riscontare una cerniera semi-mobile tra gli scuti pettorali e addominali. Altra caratteristica del genere Emys spp., è data dalla coda particolarmente lunga. L’olotipo di Emys trinacris è stato descritto con una lunghezza del carapace di 13,2 cm, un’ampiezza massima di 10,3 cm, un’altezza (sempre del carapace) di 4,9 cm e una lunghezza del piastrone di 11,9 cm.

DIFFERENZRE MORFOLOGICHE

Distinguere le varie sottospecie di Emys orbicularis basandosi sull’aspetto esteriore, ovvero la morfologia, è molto difficile,  o per meglio dire impossibile, a causa della varietà di colorazioni, forme e altri particolari che si possono riscontrare in ogni singola popolazione, ma allo stesso tempo anche a causa dell’omogeneità che può esserci tra una e un’altra. Dal punto di vista morfologico, Emys trinacris è stata subito descritta essere simile ad Emys orbicularis galloitalica, quindi di conseguenza sembrerebbe che una sua identificazione senza ricorrere obbligatoriamente ad esami del DNA non sia da prendere in considerazione, a meno che non si sia certi sulla provenienza geografica. Ma nonostante ciò, a mio parere è possibile notare qualcosa, ovvero delle caratteristiche che, anche se non uniche o assolute, si possono definire tipiche o diffuse nella maggior parte degli esemplari di questa specie, e che ci possono aiutare a identificarla. In particolare occorre osservare gli occhi, gli arti anteriori e gli scuti marginali inferiori. Gli occhi in Emys trinacris si caratterizzano per avere la pupilla circondata da due linee orizzontali e due verticali, che formano una “croce”; invece in Emys orbicularis, le linee orizzontali ci sono quasi sempre, ma quelle verticali spesso o non sono presenti oppure in minima parte e poco visibili. Mi è capitato di avvistare alcune Emys trinacris nelle quali le linee attorno la pupilla invece di essere 4 erano 5 e formavano un particolare disegno a “stella”. Passando agli arti anteriori, in Emys trinacris si presentano quasi sempre punteggiati di giallo in modo uniforme e per intero; in Emys orbicularis le macchie possono essere concentrare nella parte interna degli arti, formando una o due strisce gialle maggiormente evidenti. Infine gli scuti marginali visti dal lato del piastrone, in particolare quelli che formano il ponte, in Emys trinacris sono raggiati di giallo, invece in molte Emys orbicularis hanno disegni meno evidenti, oppure sono completamente neri. Queste tre caratteristiche sono da prendere in considerazione nel caso di esemplari adulti o subadulti, ma ripeto, ciò non vuol dire che non possano essere presenti anche nelle varie sottospecie di Emys orbicularis, o viceversa, e nemmeno basta prenderne in considerazione una sola, ma complessivamente una Emys spp. che le presenta tutte e tre ha buone probabilità di essere una trinacris. Se identificare un adulto di Emys trinacris risulta difficile quanto distinguere le varie sottospecie di Emys orbicularis, lo stesso non si può dire dei piccoli alla nascita, che in tal caso possiamo definire unici nel loro aspetto. In questo caso ciò che occorre guardare è il piastrone, e in particolare la macchia presente al centro. Questa infatti è piccola e meno evidente, più sul grigio che nera, rispetto a quella che invece caratterizza i piccoli di Emys orbicularis, che è sempre nera e più estesa. Il colore meno acceso della macchia nei piccoli di Emys trinacris si può notare anche durante la crescita di questi, infatti nei casi in cui successivamente appaiono le macchie sugli scuti pettorali e addominali, questi saranno nettamente più scuri della macchia centrale, che col tempo andrà scomparendo. Infine, un’altra differenza che c’è tra i piccoli di queste due specie riguarda la grandezza al momento della nascita, infatti Emys trinacris è di dimensioni mediamente inferiori.

(sopra Emys trinacris, sotto Emys orbicularis ssp)

DIMORFISMO SESSUALE

I maschi solitamente raggiungono minori dimensioni, non solo in lunghezza (12-13 cm) ma anche per quanto riguarda l’altezza del carapace, e hanno la coda più larga alla base con la cloaca posta circa a metà lunghezza; le femmine sono di maggiori dimensioni (14-15 cm) e di forma rotondeggiante, e hanno la coda più sottile (non sembrano esserci differenze invece per quanto riguarda la lunghezza di quest’ultima) con la cloaca posta alla base. Inoltre i maschi possono avere il piastrone concavo e l’iride di colore arancione (accentuato nel periodo degli accoppiamenti, solitamente è giallo); le femmine di contro, hanno il piastrone piatto e l’iride generalmente giallo. Infine nei maschi la parte anteriore della testa è scura o con poche macchie; invece le femmine presentano più striature e macchie che comprendono anche la mandibola.

(femmina a sinistra, maschio a destra)

RIPRODUZIONE

Gli accoppiamenti solitamente iniziano con la fine dell’Inverno, ma sono stati documentati anche nel mese di Febbraio, poichè le temperature abbastanza miti della regione limitano il periodo di letargo a poco più di tre mesi, e durante questi non si può parlare in ogni caso di un sonno continuo. Quindi si presume che un esemplare femmina adulto effettui più di una deposizione a stagione, comprendente in media 7 uova. L’ accoppiamento avviene completamente in acqua, è preceduto da un corteggiamento nel quale il maschio si avvicina alla femmina con la bocca aperta tentando di morderla, successivamente le sale sul carapace aggrappandosi al bordo con le unghie e inizia a oscillare la testa sopra quella della compagna, infine avviene l’amplesso. Le femmine depongono nelle immediate vicinanze di un corso d’acqua; le uova sono di forma ovale e misurano circa 3-3,5 cm di lunghezza per 2 cm di larghezza. I piccoli alla nascita hanno un carapace di 2,2-2,5 cm e pesano 4 grammi.

(resti di un uovo all'uscita di un nido)

ALIMENTAZIONE

La specie è carnivora, ma si nutre di tutto ciò che riesce a trovare e che l’ambiente le offre, quindi anche in piccola parte di vegetali se occorre. I piccoli hanno una dieta basata principalmente su insetti e loro larve; con la crescita si estende ad altri animali quali anfibi (comprese uova e girini), molluschi, crostacei e pesci.

(potenziali prede, a sinistra un coleottero acquatico Dytiscus spp, a destra una rana verde Pelophylax spp)

MINACCE E SITUAZIONE LEGISLATIVA

E’ una specie che da adulta conta pochissimi predatori naturali, il periodo di maggiore rischio è quello dei primi anni, infatti i piccoli sono molto vulnerabili e anche le uova sono soggette all’attacco di mammiferi e uccelli. Ma ciò che principalmente minaccia la testuggine palustre in Sicilia è l’azione dell’uomo, infatti la distruzione e l’inquinamento dell’habitat sono un problema che  se non affrontato seriamente potrebbe condizionare in futuro la sua sopravvivenza. Nonostante la descrizione come nuova specie, attualmente la principale fonte legislativa che tutela Emys trinacris rimane la Convenzione di Berna riferita ad Emys orbicularis, la quale vieta la cattura e detenzione degli esemplari selvatici e la distruzione degli habitat naturali.

BIBLIOGRAFIA

Fritz et al.: A new cryptic species of pond turtle from southern Italy, the hottest spot in the range of the genus Emys - 2005

Fritz et al.: Variation of Sicilian pond turtles, Emys trinacris - What makes a species cryptic? - 2006

Stefania D’Angelo et al.: Biometric characterization of two Sicilian pond turtle (Emys trinacris) populations of south-western Sicily - 2008

Manfred Rogner: European Pond Turtle – Edition Chimaira – 2009

 

Ryan C. Garrick 1,+, *
Edgar Benavides 1, +
Michael A. Russello 2, James P. Gibbs 3,
Nikos Poulakakis 4, Kirstin B. Dion 1,
Chaz Hyseni 1, Brittney Kajdacsi 1,
Lady Márquez 5, Sarah Bahan 6, Claudio Ciofi 7, Washington Tapia 8,
and Adalgisa Caccone 1

I geni di specie di recente estinzione possono sopravvivere nel genoma di individui ancora esistenti di genealogia mista. In tempi recenti furono rilevate firme genetiche della testuggine gigante delle Galápagos un tempo endemica dell'isola Floreana (Chelonoidis elephantopus) in undici individui ibridi, altrimenti puri, di Chelonoidis becki, su Volcano Wolf, isola Isabela [1]. Nel 1800 gli spostamenti di testuggini tra le isole ad opera dei pirati e delle navi baleniere non erano infrequenti [2] e costituiscono il probabile meccanismo tramite cui individui dell'isola Floreana furono trasferiti nella parte settentrionale di Isabela, malgrado fossero presunti estinti già poco dopo lo storico viaggio di Charles Darwin alle Galápagos nel 1835. Questi undici individui ibridi discendenti da C. elephantopus furono ritenuti le ultime vestigia genetiche di una linea evolutiva unica allo stato selvatico. Si riferisce qui di seguito come individui puri, sessualmente maturi, di C. elephantopus dell'isola Floreana, testuggine recentemente "estinta", siano invece molto probabilmente ancora viventi ai giorni nostri, come rilevato e tracciato per mezzo delle impronte genetiche lasciate nel genoma di nuovi nati ibridi venuti al mondo recentemente su Volcano Wolf. Se rintracciati, questi individui puri di C. elephantopus potrebbero costituire il nucleo fondatore di un programma di riproduzione in cattività mirato a far risorgere la specie. Messi in allerta dalle nostre precedenti scoperte di individui ibridi [1, 3], siamo tornati su Volcano Wolf, abbiamo prelevato numerosi campioni della sua popolazione di testuggini (1669 esemplari, circa il 20% della popolazione attualmente stimata) e li abbiamo sottoposti a screening per determinare la variazione genetica utilizzando marcatori nucleari del DNA a rapida evoluzione (12 loci microsatelliti). Ciascuna testuggine è stata quindi assegnata ad uno o più pool genetici parentali per confronto con un database genetico relativo a tutte le specie di testuggine delle Galápagos estinte e ancora viventi. Le attribuzioni genetiche effettuate con l'uso dei marcatori, però, possono rappresentare una sfida in quei sistemi che presentino una storia di ibridazione. In questi casi l'ibridazione genera una discendenza il cui genoma include parti di entrambi i pool genetici parentali e successivi incroci tra ibridi e individui puri, o fra due ibridi, portano allo sviluppo di mosaici genetici. In effetti il caso ha un ruolo sempre maggiore nel modellare il corredo genetico degli ibridi di seconda generazione. Per dare una spiegazione di questa complessità, abbiamo fatto ricorso a simulazioni al computer al fine di determinare la gamma di possibilità di costituzione del corredo genetico di testuggini ibride, derivanti da un serie di differenti scenari di ibridazione che possono verificarsi su Volcano Wolf. Avendo quantificato questa variabilità intrinseca, siamo stati in grado sia di identificare le testuggini ibride, sia di determinare gli incroci parentali più probabili che le hanno generate (informazioni supplementari). Abbiamo stabilito che i genotipi di 84 testuggini di Volcano Wolf sono il risultato di fenomeni di ibridazione che hanno coinvolto una C. elephantopus pura come una dei genitori diretti (Figura 1). Questi fenomeni, inoltre, risultano essere molto recenti – 30 delle 84 testuggini hanno meno di 15 anni (informazioni supplementari).

Considerata la documentata aspettativa di vita di oltre 100 anni delle testuggini delle Galápagos, c'è una buona probabilità che esemplari puri di C. elephantopus siano ancora viventi. Il numero minimo di individui fondatori di C. elephantopus, che contribuiscano uniformemente, necessari a produrre la stessa diversità genetica osservata negli 84 ibridi è 38, da stime effettuate su genomi fondatori equivalenti (informazioni supplementari). Teoricamente 20 o più genomi fondatori equivalenti costituiscono la base genetica necessaria per una popolazione vitale ex situ [4]. Di conseguenza, le nostre scoperte danno speranza al tentativo di recupero della specie attraverso la riproduzione in cattività. Degli 84 individui identificati in base agli schemi di variazione genetica nucleare come discendenti diretti di una C. Elephantopus, 26 presentano DNA mitocondriale (mtDNA) tipo C. Elephantopus. Malgrado si tratti di ibridi, pertanto, questi individui sono di grande valore per la conservazione dato che sono presenti nel loro genoma i marcatori genetici della specie di testuggine in pericolo ereditati sia dalla madre sia da entrambi i genitori. Inoltre, tramite i dati microsatellitari, abbiamo identificato ulteriori 133 testuggini su Volcano Wolf aventi legami di parentela non trascurabili con l'"estinta" C. Elephantopus, cioè con meno dell'1% di possibilità che si tratti di falsi positivi. La nostra campionatura ha permesso di scoprire anche otto testuggini con DNA mitocondriale tipo C. Elephantopus ma non incluse nella genealogia basata sui microsatelliti nucleari. Simulazioni hanno dimostrato che quattro generazioni di incroci tra ibrido e progenitore fino alla originaria C. Becki sono sufficienti per ottenere questo risultato (possibilità del 90%). Il processo di ibridazione su Volcano Wolf sembra pertanto essere un fenomeno ricorrente nel corso degli ultimi 200 anni, sin da quando il trasferimento mediato dall'intervento umano di centinaia di esemplari adulti di testuggine gigante delle Galápagos divenne prassi comune [5].

Per quanto ne sappiamo, questa è la prima riscoperta di una specie effettuata mediante tracciamento dellle impronte genetiche lasciate nei genomi dei discendenti ibridi. Queste scoperte infondono nuova vita alle prospettive di conservazione per i mebri di questa specie bandiera. Da un punto di vista più ampio, malgrado sia spesso considerata ampiamente deleteria per la conservazione della biodiversità [6], in alcuni casi, come quello dei fringuelli di Darwin alle Galápagos, l'ibridazione può anche agire come un'importante fonte di variazioni genetiche innovative [7, 8]. Abbiamo qui dimostrato un ulteriore aspetto positivo dell'ibridazione: in alcuni casi la sua eredità può trasformarsi nell'opportunità di resuscitare specie in pericolo attraverso programmi di riproduzione mirata.

Figura 1. Il pool genetico parentale di 84 ibridi di testuggine gigante delle Galápagos. Riquadro superiore: Corredo genetico di ibridi campione per i quali uno dei presunti genitori è un esemplare puro di C. Elephantopus (i diagrammi circolari mostrano la proporzione di ascendenza; arancio: C. Elephantopus, bianco o a pallini: altri pool genetici). Riquadro mediano: Proporzioni previste, in media, del genoma nucleare con alleli derivanti da C. Elephantopus. Riquadro inferiore: coefficienti di appartenenza (valori Q) in C. Elephantopus simulati per le otto classi di ibridazione (A-H; informazioni supplementari) dove uno dei genitori è un esemplare puro di C. Elephantopus. I gradienti colorati mostrano le distribuzioni simulate (rosso: mediano, giallo: 50° quantile, blu superiore e inferiore: massimo e minimo, rispettivamente) con sovrapposti dati empirici (diamanti monocolori e cerchi bianchi rappresentano individui con o senza DNA mitocondriale tipo C. Elephantopus, rispettivamente). La figura mostra soltanto la gamma di valore Q simulata (QR) che è stata utilizzata unitamente ad un secondo criterio (differenze valore Q, QD) per classificare le testuggini di Volcano Wolf “sconosciute” (Informazioni supplementari).

Incroci presunti [legenda riquadro superiore n.d.T.]

Discendenza attesa [legenda riquadro mediano n.d.T.]

Classi di ibridazione e valori Q [legenda riquadro inferiore n.d.T.]

Informazioni supplementari

Le Informazioni Supplementari comprendono dati aggiuntivi e una tabella e possono essere reperiti online unitamente al presente articolo a doi:10.1016/j.cub.2011.12.004. [doi = Digital Object Identifier n.d.T.]

Ringraziamenti

I rangers del Galápagos National Park Service hanno contribuito a sostenere la raccolta dei campioni. Studenti in stage estivi hanno fornito assistenza in laboratorio. R. Lacy e K. Willis hanno offerto il loro importante feedback sull'applicazione del concetto di genoma fondatore equivalente a questo sistema. Supporto finanziario e di altra natura è giunto da Charles Darwin Foundation, Galápagos National Park Service, Bay and Paul Foundation, Eppley Foundation, Galápagos Conservancy, Turtle Conservation Fund e Yale Institute for Biospheric Studies.

Bibliografia 1 Poulakakis, N., Glaberman, S., Russello, M., Beheregaray, L.B., Ciofi, C., Powell, J.R., e Caccone, A. (2008). Historical DNA analysis reveals living descendants of an extinct species of Galápagos tortoise. Proc. Natl. Acad. Sci. USA. 105, 15464-15469. 2 Pritchard, P.C.H. (1996). The Galápagos Tortoises: Nomenclatural and Survival Status (Chelonian Research Foundation, Lunenburg, M), pp. 1-85. 3 Russello, M.A., Beheregaray, L.B., Gibbs, J.P., Fritts, T., Havill, N., Powell, J.R., e Caccone, A. (2007). Lonesome George is not alone among Galápagos tortoises. Curr. Biol. 17, R317-R318. 4 Lacy, R.C. (1989). Analysis of founder representation on pedigrees: founder equivalents and founder genome equivalents. Zoo. Biol. 8, 111-123. 5 MacFarland, C.G., Villa, J., e Toro, B. (1974). The Galápagos giant tortoises (Geochelone elephantopus) part I: Status of the surviving population. Biol. Conserv. 6, 118-133. 6 Wayne, R.K., and Jenks, S.M. (1991). Mitochondrial DNA analysis implying extensive hybridazation of the endangered red wolf Canis Rufus. Nature, 351, 565-568. 7 Grant, B.R., e Grant, P.R. (2008). Fission and fusion of Darwin's finches populations. Phil. Trans. R. Soc. B. 363, 2821-2829. 8 Grant, P.R., e Grant, B.R. (2010). Conspecific versus heterospecific gene exchange between populations of Darwin's finches. Phil. Trans. R. Soc. B 365, 1065-1076.


1Department of Ecology & Evolutionary Biology, Yale University, New Haven, CT 06520 USA. 2Department of Biology, University of British Columbia, Okanagan Campus, Kelowna, BC V1V 1V7, Canada. 3College of Environmental Science & Forestry, State University of New York, Syracuse, NY 13210, USA. 4Department of Biologu & Natural History Museum of Crete, University of Crete, Irakleio, Crete, Greece. 5Charles Darwin Foundation, Puerto Ayora, Galápagos, Ecuador. 6School of Forestry & Enviornmental Studies, Yale University, New Haven, CT 06520, USA. 7Department of Evolutionary Biology, University of Florence, 50125 Florence, Italy. 8Galápagos National Park Service, Puerto Ayora, Galápagos, Ecuador. +Questi autori hanno contribuito in eguale misura. *E-mail: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo.

 

George Il Solitario, Geochelone nigra abingdoni,tartaruga gigante

Su autorizzazione dell'autore, Domenico Morabito.

Il 24 giugno 2012 è morto “George Il Solitario”. Al secolo Geochelone nigra abingdoni, tartaruga gigante dell’isola Pinta, una delle 14 isole che compongono l’arcipelago delle Galapagos nell’Oceano Pacifico, santuario indiscusso della biodiversità. Luogo sacro per i naturalisti dove Darwin nel 1835 ebbe la folgorazione per la teoria della selezione naturale.

Nelle 14 isole che compongono l’arcipelago delle Galapagos nell’Oceano sono presenti specie animali e vegetali uniche , adattate all’ecosistema peculiare di ciascuna isola. La leggenda vuole che tra le tante minuziose osservazioni, il giovane Darwin  notò che i fringuelli che vi vivevano erano rappresentati da tredici specie diverse per le dimensioni, i colori e per la struttura del becco. Ma, leggendo attentamente le pagine del libro “The Voyage of the Beagle” scritto  al rientro dal viaggio lungo cinque anni a bordo della nave Beagle, è storia nota, Darwin probabilmente fece confusione.

Tornato a Londra Darwin si accorse di non aver raccolto tutte le specie e di non aver separato le specie delle diverse isole. Pensava di avere a che fare con famiglie di uccelli diverse tra loro. Lo aiutò a completare il quadro della distribuzione dei volatili sulle diverse isole il capitano FitzRoy, comandante del Beagle. Tutti gli uccelli raccolti vennero consegnati all’ ornitologo John Gould, che li classificò in 13 specie appartenenti tutte alla stessa famiglia. Solo allora Darwin si interessò ai fringuelli.   Lonesome George, questo il suo nome originale in inglese, è stato trovato sull’ isola di Pinta nel 1972, quando si credeva che la specie di tartarughe endemica dell’isola fosse del tutto estinta.

Da allora la tartaruga fu trasportata  sull'isola di Santa Cruz e sistemata in un recinto alla Stazione di Ricerca Charles Darwin, nel Parco nazionale delle Galápagos. Fu inserito nel programma di riproduzione in cattività della Direzione del Parco Nazionale delle Galapagos. George non è riuscito a trovare in 35 anni una femmina con cui accoppiarsi, e le ultime speranze erano riposte in qualche miracolo della scienza, che non si è verificato. Grazie all’ analisi del DNA di George si cercarono “affinità elettive” comparandolo con quello di tartarughe femmine provenienti dalle altre isole. Un team internazionale guidato da ricercatori della Yale University aveva individuato una tartaruga con metà dei geni in comune con George, come riportato nella rivista Current Biology. Gli sforzi di perpetuare i discendenti di George( che faceva parte del Guinness come animale tra i più unici al mondo) non ebbero successo. Non voleva accoppiarsi con femmine di altre sottospecie, e quando finalmente ci riuscì, le uova non risultarono fertili.

Quattro delle 14 specie di tartarughe giganti delle isole Galapagos, si erano già estinte nel secolo scorso a causa della caccia, o per meglio dire, del prelevamento forzato da parte di marinai, soprattutto balenieri e pirati che facevano scorta di tartarughe. I grandi rettili rimanevano vivi a lungo sulle navi ed erano quindi cibo fresco pronto a sfamare le ciurme in lunghi periodi di navigazione. A metà del ‘900  i problemi per le tartarughe non cessarono. Specie introdotte come capre e maiali si diffusero sulle isole mettendo a serio rischio  l'habitat dei rettili. Ma George ormai viveva solo soletto nel suo recinto, star internazionale e simbolo “turistico” delle Galapagos.

Raccontare questa storia significa accendere i riflettori sulla la notizia di questi giorni:  quasi tutti i parchi nazionali italiani  hanno scritto al ministro Clini per sensibilizzarlo sulle conseguenze che il taglio delle spese che il governo sta operando anche nel comparto degli enti parco andrà a creare toccando le economie e la gestione degli enti, compromettendo quindi soprattutto le attività e i servizi di conservazione. Se in un primo momento le aree protette in molte regioni italiane non erano tenute molto in considerazione, con il tempo si è assistito ad un cambiamento culturale graduale ma deciso, giungendo alla nascita della politica per le aree da salvaguardare con la legge quadro n. 394 del 1991,  che definisce l'istituzione e la gestione delle aree naturali protette  e  identifica i criteri per la classificazione delle aree protette.

In questi ultimi anni, si è visto che  il problema della tutela e della conservazione  riguarda tutti. La biodiversità è presente nei territori della penisola in modo tangibile, la sua conservazione e valorizzazione costituisce un fondamentale contributo alle economie locali. Gli elementi di questo prezioso patrimonio sono stati individuati da tutti gli organi internazionali, in particolare dall’Unione Europea che invita tutti gli attori locali a tenerne conto per indirizzare i sistemi economici e i piani territoriali per lo sviluppo locale.

Purtroppo, il ruolo delle aree protette  non è apprezzato nella misura che invece esse svolgono. Se le singole aree protette non saranno salvaguardate in modo adeguato, non potranno essere in grado di resistere ai cambiamenti e di contribuire positivamente alle strategie nazionali e locali. Mi riferisco soprattutto agli ecosistemi capaci di combattere i cambiamenti climatici come le foreste alpine, i corridoi biologici ed ecologici che consentono il collegamento, tra gli habitat oltre i confini delle aree protette, dove contemporaneamente, nuove socialità si incentivano sulla scia di collettori uomo-natura. Il collegamento delle aree protette all’interno di paesaggi terrestri e marini, può avvenire attraverso la gestione della vegetazione naturale e semi-naturale, delle acque e della pesca, con  l’attuazione di azioni  di governance che,  coinvolgano le comunità locali, le popolazioni autoctone e il settore privato per incoraggiare un maggior numero possibile di persone come parti integranti di strategie innovative.

La notizia della morte della tartaruga George ha fatto il giro del mondo nei giorni successivi ma…. poi anche questa vicenda si è dissolta. George verrà esposto imbalsamato con l’intento di perpetuare il rito del simbolo  riconoscibile, quasi un “marchio di qualità” ma, a mio avviso, resta solo il monumento all’impotenza dell’uomo che con le sue tecnologie cerca di recuperare gli errori commessi, spesso causati per la sopravvivenza della nostra specie.

Sabato, 27 Settembre 2014 16:28

Tartarughe marine in Egitto

 

 

Viaggio alla ricerca e scoperta della situazione delle tartarughe marine in Egitto.

Base d’appoggio, la baia del complesso turistico del Floriana Resort a Marsa Alam, dove ci siamo avvalsi della collaborazione del biologo Francesco Pensa, responsabile in loco del progetto STE (Scuba Tourism for the Environment) che monitorizza lo stato della barriera corallina con tutti i suoi abitanti e quindi anche le tartarughe marine.

Il progetto STE è il più grande monitoraggio della barriera corallina del Mar Rosso,  che si avvale della collaborazione dei cittadini volontari a cui piace immergersi e fare snorkeling, nella salvaguardia del mare che tanto amano. Questi compilano schede con domande sugli avvistamenti in barriera corallina, tanto che nel 2011 ne sono state raccolte 5.154, che sommate a quelle dei 4 anni precedenti, portano il totale ad oltre 23.000. Oltre ai siti più conosciuti del Mar Rosso, sono stati raccolti dati anche da mete meno turistiche come Berenice, nell’Egitto meridionale, il Sudan, fino Yanbù Al-Bahr e Rabigh sulla costa araba.  Questo il sito di riferimento:  www.steproject.org

Il nostro riferimento era anche il progetto HEPCA (Red Sea Turtle Conservation and Research Project).

Il progetto HEPCA monitorizza la parte sud del Mar Rosso in diverse lagune o baie della costa, dove le tartarughe sono prevalentemente stanziali perché trovano acque basse con fondali ricchi di alghe, principale alimento delle nostre amiche.

Il Red Sea Turtle Project è stato creato per capire il comportamento delle tartarughe marine nei principali fondali di alimentazione nel sud del Mar Rosso egiziano. Un team di ricerca conduce inchieste mensili nel settore da Marsa Abu Dabbab a Wadi Lahmi e raccoglie dati sulla quantità e la distribuzione delle tartarughe marine, con una particolare attenzione alle Chelonia mydas  in via di estinzione. Vengono raccolti anche i dati sulla struttura della popolazione, comportamenti e movimenti.

In Egitto sono presenti 5 delle 7 specie esistenti al mondo:

- Chelonia mydas

- Eretmochelys imbricata

- Dermochelys coriacea

- Caretta caretta

- Lepidochelys olivacea

Le tartarughe marine sono rettili con un lungo periodo di vita caratterizzati da una crescita lenta, tarda maturità sessuale e elevati tassi di mortalità durante i loro primi stadi di sviluppo (uova, larve, giovani). Per questo motivo, sono considerati estremamente vulnerabili a qualsiasi tipo di sfruttamento eccessivo e il recupero della popolazione può richiedere decenni. Tutte le cinque specie sono inserite nella Lista Rossa IUCN sia come in pericolo di estinzione (Dermochelys coriacea), in via di estinzione (Caretta caretta e Chelonia mydas) o vulnerabili (Lepidochelys olivacea). Inoltre, sono tutte inserite nell'appendice I della Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione (CITES), il che significa che il commercio di tartarughe marine e di prodotti derivati è vietato nei paesi firmatari. Le Chelonia mydas sono ampiamente distribuiti nelle acque tropicali e subtropicali, nei pressi della costa continentale e/o intorno alle isole. Esse sono note per alimentarsi su praterie di fanerogame poco profonde e di impegnarsi su lunghe migrazioni dalle colonie alle aree di alimentazione. Di solito queste migrazioni sono effettuate lungo la costa, anche se ci sono alcune eccezioni (ad esempio la popolazione a Ascension Island). Le Chelonia mydas sono note per nidificare nel Mar Rosso. Indagini sulle nidificazioni sono state condotte in Arabia Saudita (1986-1987 e dal 1989 al 1997), nello Yemen 20 anni fa e più recentemente con uno studio dell'UNEP, in Egitto 25 anni fa e recentemente 2001-2009 su base annuale, e brevemente in Somalia. Mentre le principali aree di nidificazione di questa specie sono già state individuate, informazioni sulle zone di alimentazione sono sostanzialmente carenti. Le tartarughe marine hanno una distribuzione circumglobale, tropicale e in misura minore sub-tropicale, nelle acque dell'Atlantico centrale e Indo-Pacifico. Le tartarughe marine sono note  vivere in acque limpide e si nutrono di invertebrati tra cui numerosi coralli e spugne. Nella regione del Mar Rosso, i dati su questa specie sono disponibili dal Sudan, Yemen, Egitto e Arabia Saudita. Siti di nidificazione sono già stati individuati; punti di foraggiamento si trovano solitamente su barriere coralline. Rapporti sulle tartarughe Caretta caretta provengono principalmente dallo Yemen. Lepidochelys olivacea e Dermochelys coriacea sono viste solo sporadicamente  nella regione del Mar Rosso, in genere per l'alimentazione. Nessuna attività di nidificazione per queste due specie è stata osservata. Le tartarughe marine hanno un ruolo essenziale nel mantenere il Mar Rosso sano e pieno di vita. Le Chelonia mydas, note  anche come "mucche di mare", mantengono le praterie di fanerogame sane, che ospitano esemplari in fase riproduttiva, i loro giovani e un gran numero di altri invertebrati come molluschi e crostacei che sono alla base della catena alimentare. Le tartarughe marine si nutrono di coralli e spugne e quindi mantengono l'equilibrio tra queste due popolazioni. Questo equilibrio ha dimostrato di essere fondamentale per una barriera corallina sana. Sia Dermochelys coriacea che Lepidochelys olivacea si alimentano di meduse, pesci di piccola dimensione e di altri animali che vivono nella colonna d'acqua. Queste due specie di tartarughe riducono la pressione su molte altre specie ittiche che vivono nel Mar Rosso.

Importanza di questo progetto:

La conservazione delle tartarughe marine non è utile solo per le tartarughe, ma riguarda anche gli habitat che usano e che anche noi godiamo, come le barriere coralline. Una sana popolazione di tartarughe marine dipende da noi e come utilizziamo le risorse che condividiamo con questi animali. Nel Mar Rosso, le principali minacce per le tartarughe marine vengono dall’irresponsabile sviluppo costiero che distrugge le spiagge di nidificazione e le zone di alimentazione, come le praterie marine e le barriere coralline; l’illuminazione artificiale sulle principali spiagge di nidificazione che disorienta sia la nidificazione delle tartarughe che i neonati; l’immondizia e borse di plastica che possono essere ingerite per errore dalle tartarughe e provocare una morte lenta e dolorosa, l'inquinamento nell'acqua che è spesso associato a malattie come il tumore fibropapilloma; gli ancoraggi irresponsabili che distruggono sia le praterie marine che le barriere coralline; le barche ad alta velocità e moto d'acqua che possono seriamente ferire le tartarughe marine e causare la morte; la pesca accidentale in particolare pescherecci industriali. Mentre le informazioni generali sulle potenziali minacce sono disponibili, le fonti dettagliate di mortalità e dati quantitativi sono sostanzialmente carenti.

Tutte le nostre escursioni sono state effettuate senza l’ausilio delle bombole, quindi in “snorkeling”.

Abbiamo effettuato 18 avvistamenti ma sono stati tutti di Chelonia mydas (tartaruga verde).

Le tre baie visitate:

- Marsa Abu Dabbab

- Floriana Lagoon

- Marsa El Loli

Marsa Abu Dabbab

Floriana Lagoon

La prima, con un bellissimo reef che inizia praticamente da due metri dalla spiaggia, dal lato sinistro, meta continua dei turisti di tutti i villaggi-vacanza di Marsa Alam, ma con una decina di tartarughe di grandi dimensioni e molto tranquille, che si fanno avvicinare tantissimo, specialmente mentre mangiano le alghe nella parte del fondale basso. Qui, purtroppo, nonostante le guide dicano sempre di non toccarle, sono “vittime” di tanti incoscienti e maleducati. Gli esemplari stanziali, come detto, sono di grandi dimensioni, tranne uno di nome Hope che misura circa 30-40cm.

In questa baia, abbiamo avvistato 4 esemplari e li abbiamo riconosciuti dalle foto del progetto HEPCA nei nomi di Ahmed, Amina, Kiki e Hope, grazie alle scaglie delle teste, in quanto ogni esemplare ha la composizione delle scaglie, diverse dagli altri esemplari.

Ahmed

Amina

Kiki

Hope

A Marsa El Loli, dove c’è la più bella spiaggia della zona,  abbiamo fatto una breve immersione ma senza avvistamenti, in quanto qui predomina il reef e le tartarughe sono più difficili da avvistare se non con buona dose di fortuna. 

La maggior parte delle escursioni sono state effettuate nella laguna del Floriana dove stanziano abitualmente una decina di esemplari di medie dimensioni di Chelonia mydas ed una Eretmochelys imbricata. Su 6 escursioni abbiamo avvistato 14 esemplari (di cui ben 6 nell’ultima escursione), solitamente intenti a mangiare alghe sul fondale sabbioso. Siccome in questa bella baia ci sono due strutture turistiche, di cui una molto grande (Floriana Lagoon) che porta in acqua giornalmente diverse centinaia di turisti dediti allo snorkeling,  gli avvistamenti più frequenti erano negli orari più tranquilli del primo mattino, primo pomeriggio e tardo pomeriggio.  Nel progetto HEPCA la baia del Floriana Lagoon non ha classificazioni di esemplari di tartarughe,  quindi abbiamo dato lo spunto al nostro amico biologo Francesco Pensa, di iniziare una classificazione degli esemplari stanziali,  di cui almeno 4 sono già stati riconosciuti dai caratteri delle scaglie delle teste e dei disegni dei carapaci.  L’idea è quella di sfruttare le tante foto che i turisti fanno agli esemplari stanziali,  ovviamente considerando solo le foto di buona qualità,  ma anche stimolandoli a scattare foto per la classificazione.

Ovviamente nelle tante escursioni abbiamo goduto della vista dei tantissimi pesci e coralli dai mille colori,  ma devo dire che purtroppo in acqua troppo spesso si trovavano sacchetti di plastica galleggianti, uno dei più grossi pericoli per le tartarughe marine che li scambiano per delle meduse, ottimo cibo per loro.  Una sera, prima del tramonto, dopo quasi una mezzora che seguivo, fotografando e filmando una bella tartaruga, mantenendomi rigorosamente a distanza e cercando di non disturbarla troppo,  sono stato costretto a spaventarla, proprio nel momento in cui lei stava addentando un pezzo di plastica azzurra che galleggiava in superficie; ovviamente ho perso la sua gradevole compagnia ma gli ho evitato una brutta “indigestione”. Scena molto toccante è stata nell’ultima immersione, quando stavo seguendo una tartaruga sub-adulta che nuotava elegantemente a mezz’acqua,  lei ha avvistato un’altra tartaruga intenta a mangiare alghe,  e si è diretta dolcemente verso il fondale ;  una volta trovatosi una di fronte all’altra, si sono toccate il muso, allungando i colli, come in una sorta di riconoscimento e di saluto, per poi tornare ognuna per le proprie strade.

Il progetto HEPCA  sta cercando di istruire le popolazioni locali a non pescare e quindi a non mangiare più le tartarughe, spiegando loro che sono molto più importanti da vive, specialmente qui che il mare è molto generoso coi pescatori che sono comunque regolamentati e possono pescare solo con le lenze, quindi niente reti. Alcuni locali mi dicevano che attualmente qualcuno le pesca non per mangiarle ma per sfruttarle come oggetti da circo con i turisti; per fortuna non ho assistito ad uno di questi tristi spettacoli.

Ottobre 2012

Agostino Montalti

Mercoledì, 24 Settembre 2014 14:46

Raggi UV e Plexiglass

Raggi UV e Plexiglass

Articolo del socio Gérald Orlando per Tarta Club Italia

Gli appassionati di tartarughe per il benessere del loro animale preferito debbono sviluppare la loro competenza in diverse materie e quello della fisica dei raggi UV e materiali può essere un aiuto per capire l'utilità del Plexiglass rispetto al vetro sopratutto per la fabbricazione di serre utili per la protezione delle tarte.

RAGGI UV A
Essi rappresentano il 95% degli UV di origine solare che arrivano sulla superficie della terra.
La loro lunghezza d'onda va da 400 a 350 nm (nm=nanometro, cioè il miliardesimo di un metro). È questa gamma di raggi che è responsabile della abbronzatura della nostra pelle con modificazione della pigmentazione. Ma è anche molto pericolosa per gli occhi infatti è assorbita dal cristallino, che è una lente biconvessa che si trova nella parte anteriore dell'occhio, con funzioni di accomodamento dell'immagine. Infatti si produce un effetto chimico che a una forte tendenza ad aumentare il rischio di cataratta cioè la perdita di trasparenza del cristallino. È evidente che questa opacità va progressivamente accentuando e diminuisce fortemente la visione.
Le persone che non si proteggono con degli occhiali da sole in prossimità di una superficie fortemente riflettente (spiaggia, mare, neve....) si mettono in situazione di aumento brutale della quantità d'UV A che penetra negli occhi e dunque una accelerazione del processo che conduce alla cataratta.
La gamma che va da 400 a 350 nm ha anche un effetto di destrutturazione chimica di certe molecole che entrano nella composizione di vernici, solventi e derivati del petrolio come la plastica.

RAGGI UV B
Gli UV B rappresentano solo 5% degli UV solari. Sono i più pericolosi per la nostra pelle.
Dico bene 5%, ecco perché i migliori tubi o lampade che producono della luce artificiale debbono avere 5% di UV B. Quelli che hanno dei tubi Reptisun 2.0 per le loro tarte li possono buttare via perché non sono efficaci. La migliore riproduzione di UV B da una lampada tubolare è quando la dose è di 5%, come il Reptisun 5.0.
Perché questo corrisponde al tasso degli UV B del sole che arrivano sul suolo terrestre e indipendentemente dall'intensità della luce.
I raggi UV B hanno una lunghezza d'onda da 315 a 280 nm. Questa gamma à responsabile dei colpi di sole e dell'invecchiamento della pelle (i famosi radicali liberi).
All'interno dell'occhio questi raggi non sono intercettati dal cristallino. Giungono dunque fino alla cornea. Sono gli UV B i principali responsabili dei tumori della pelle.
Sono filtrati parzialmente da certi componenti chimici e hanno una forte azione di degradazione su questi ecco perché un filtro solare sulla spiaggia deve essere spesso rinnovato.

RAGGI UV C
Gli UV C hanno una lunghezza d'onda da 280 a 100 nm. Sono di alta frequenza e di grande energia che li rendono terribilmente pericolosi . Gli strati alti dell'atmosfera terrestre li filtrano tramite la combinazione di atomi di ossigeno e molecole di ozono. Lo strato di ozono dell'alta atmosfera terrestre (stratosfera) assorbe il 99% degli UV C, il resto à filtrato dalle strati più bassi (troposfera) ad una quota di 10 km (leggermente superiore al monte Everest).

IL PLEXIGLAS
Il plexigas è una alternativa al vetro. Il polimetil-metacrilato è stato inventato dagli inglesi nel 1940 per le cabine di pilotaggio dei loro aerei di caccia.
Lo scopo essendo di lasciare al pilota abbattuto la possibilità di avere il controllo del suo aereo fino al suolo. La vetrata che scoppia forma delle schegge che traversando gli occhiali di protezione potevano ferire gli occhi, ecco perché la storia.
Molto presto diversi materiali derivati sono stati inventati, ognuno con le sue proprietà ottiche diverse.

  1. Il Plexiglas UV-T di 6mm lascia passare 89% degli UV A
  2. Il vetro acrilico OP-4 di 3 mm lascia passare 89% degli UV A
  3. Il vetro naturale ordinario ( minerale estratto dalla silice) di 3mm lascia passare 78% degli UV A.
  4. Il vetro acrilico GP di 6mm lascia passare 6% degli UV A

Ma quello che segue qui sotto è il più importante

  1. Il vetro acrilico OP-4 di 3mm lascia passare 79% degli UV B
  2. Il Plexiglas UV-T di 6mm lascia passare 64% degli UV B
  3. Il vetro naturale ordinario ( minerale estratto dalla silice) di 3 mm lascia passare 5% degli UV B
  4. Il vetro acrilico GP di 6mm lascia passare 0% degli UV B ( dunque attenzione a quello che chiamiamo Plexiglas.

CONCLUSIONE
Si può trarre dalle due tavole certe conseguenze a proposito del vetro minerale ( il vetro ordinario). Il vetro lascia passare i 3/4 degli UV A. Ma la tavola seguente ci mostra che lascia passare solo il 5% degli UV B. Ma il 5% dei 5% che arrivano al suolo dopo aver attraversato l'atmosfera cioè una filtrazione quasi totale!!!
Or via gli UV B sono più importanti degli UV A nel metabolismo dei rettili.

Dunque il vetro acrilico OP-4 è il più efficace per l'illuminazione UV dei rettili, e questo lascia passare il 79% dei 5 % dei raggi UV B che arrivano sul suolo terrestre equivalendo solo al 4% degli UV B provenienti dal sole.

Attenzione ! integrazione a cura di Agostino Montalti :
N.B. attualmente la maggior parte del Plexiglas in commercio ha un filtro contro i raggi Ultravioletti quindi non fa passare gli UV-B ; mentre si trova un prodotto specifico per il passaggio di tali raggi solari, che solitamente viene richiesto per i solarium negli stabilimenti balneari.

Sabato, 05 Luglio 2014 09:29

Principali malattie infettive nei cheloni

Principali malattie infettive nei cheloni: Come possiamo difenderci ?

Relazione del Dr. Francesco Origgi al TARTARUGHE BEACH 2004


Un numero sempre maggiore di patologie a possibile o confermata eziologia infettiva e’ stato descritto recentemente nei cheloni. Tra queste possiamo ricordare in particolare delle patologie ad eziologia batterica come la micoplasmosi e ad eziologia virale come l’herpesvirosi, l’iridovirosi e quella ascritta al “virus X”.

MICOPLASMOSI: Descritta inizialmente all’inizio degli anni “90 nelle testuggini del genere Gopherus, nel sud-ovest degli Stati Uniti, questa patologia ha rapidamente accresciuto la sua importanza in relazione alla dimostrazione sperimentale che il Micoplasma agassizzi era in grado di riprodurre il complesso di segni clinici associato alla sindrome “URTD” (Upper respiratory tract disease) nelle testuggini del genere Gopherus dopo essere state infettate con il patogeno stesso. Questa malattia e’ caratterizzata dal un copioso scolo nasale e da una congiuntivite che può essere mono - o bi-laterale. La mucosa del tratto respiratorio superiore viene invasa da cellule infiammatorie che ne sovvertono la struttura compromettendo alcune funzioni fondamentali per le testuggini come la capacità olfattiva. A questo punto possono subentrare delle infezioni secondarie che possono interessare tutto il tratto respiratorio superiore delle testuggini affette dalla malattia. Lo stato generale delle testuggini peggiora progressivamente e la malattia assume un andamento cronico. Successivamente può subentrare la morte se e quando l’animale non e’ più in grado di assolvere le funzioni fisiologiche primarie quali prima fra tutte l’alimentazione. Le testuggini selvatiche che vengono colpite da questa patrologia possono andare progressivamente incontro alla morte, mentre per gli animali allevati in cattività e’ possibile una convivenza con la malattia caratterizzata da lunghi periodi asintomatici e da fasi di riacutizzazione. La patologia e’ stata poi recentemente segnalata anche nelle testuggini del genere Testudo ma non e’ chiaro se il significato patologico sia simile a quello che questa malattia ha nelle testuggini del genere Gopherus. La trasmissione pare avvenga per contatto e non per via verticale. Il trattamento con antibiotico non e’ risolutivo e le recidive sono frequenti. E’ disponibile un test sierologico in grado di identificare gli animali che sono stati infettati dal patogeno. Per il momento, la prevenzione e’ ancora l’arma migliore contro questa malattia.

HERPESIVIROSI: Tra le infezioni di origine virale, quella da herpesvirus e’ una delle più temibili. Sono noti diversi herpesvirus che possono infettare le testuggini terrestri, quelle marine e le tartarughe semi-acquatiche.  Tra tutti, quello che infetta le testuggini terrestri e’ il più studiato. La via di contagio non e’ conosciuta, anche se si ritiene che sia necessario un contatto diretto. Le lesioni caratteristiche della patologia sono generalmente limitate al cavo orale ed al tratto respiratorio superiore. La presenza di placche diftero-necrotiche localizzate sul dorso della lingua e/o sulla mucosa del cavo-orale, e’ un segno clinico caratteristico. Il virus e’ in grado però di raggiungere praticamente tutti gli organi dell’animale ed e’ stato possibile rilevarlo con l’aiuto di mezzi diagnostici molecolari anche nei nervi cranici. Tra le testuggini del genere Testudo, sembra che le T. hermanni siano le più sensibili all’azione del virus con una progressione molto rapida della malattia fino ad arrivare alla morte. La T. graeca sembra invece essere più resistente al virus sebbene la sensibilità all’infezione sembra essere molto simile a quella della T. hermanni. La T. hosfieldii sembra avere una sensibilità al virus analoga a quella delle hermanni mentre la T. marginata pare abbia una sensibilità intermedia alla T. hermanni e alla T. graeca. Una volta che il virus e’ entrato in una collezione di testuggini e’ probabile che sia presente per sempre in quanto questo herpesvirus analogamente agli altri rappresentanti della famiglia degli Herpesviridae sembra essere caratterizzato dal poter instaurare una “latenza” e cioè di rimanere silente per lunghi periodi nell’animale fino a poi “risvegliarsi” non appena le difese immunitarie dell’ospite si indeboliscono. Sebbene alcuni trattamenti terapeutici hanno sortito dei buoni effetti, la prevenzione resta senza dubbio l’arma migliore. La separazione degli animali per specie, l’accertarsi della provenienza di nuove Testuggini da inserire nella propria collezione e l’esame sierologico periodico dei propri animali sono condizioni indispensabili per mantenere la propria collezione  “HERPES-free”. Sono disponibili dei test sierologici e molecolari per la diagnosi della malattia.

IRIDOVIROSI: Un virus che recentemente sta acquisendo una sempre maggior importanza  da un punto di vista sanitario e’ l’IRIDOVIRUS, un virus che originariamente era noto come un agente patogeno di alcuni insetti. L’isolamento sempre più frequente dell’iridovirus da testuggini terrestri impone di prestare un’attenzione maggiore anche nei confronti di questo virus. Analogamente all’infezione da herpesvirus e’ possibile osservare la presenza di placche diftero-necrotiche sul dorso della lingua e/ o sulla mucosa del cavo orale. Nulla al momento e’ noto relativamente alla patogenesi dell’infezione da iridovirus. Studi più approfonditi sono necessari per acquisire dati ulteriori.

VIRUS X: Il virus X e’ stato isolato in Germania per la prima volta alla fine degli anni 80. Si sa molto poco di questo virus al di la’ del fatto che e’ stato isolato da diverse testuggini del genere Testudo e che pare essere un virus ad RNA a differenza di herpes e irido-virus che sono virus a DNA. Analogamente all’iridovirus e’ stato isolato da testuggini con gravi segni di malattia o post-mortem, ma non e’ ancora chiaro se esiste un nesso causale fra il virus e’ la malattia alla quale e’ associato.

Molto resta ancora da fare per individuare, studiare e sconfiggere virus, batteri e parassiti che mettono a rischio la vita delle nostre testuggini. Al momento possiamo solo cercare di capire gli aspetti più superficiali delle malattie infettive delle testuggini, ma in futuro, sono certo che sapremo di più e soprattutto saremo in grado di dare risposte alle sempre più numerose domande con cui ci dobbiamo confrontare ogni giorno.

Sabato, 05 Luglio 2014 09:27

Gli esami del sangue nelle tartarughe

Relazione del Dr. Gabriele Tenti al TARTARUGHE BEACH 2004

Introduzione

Mi preme che da questa breve relazione su un argomento molto vasto e complesso emergano risposte ad alcune domande che un proprietario di tartarughe coscienzioso sicuramente si pone:

  1. Quando è necessario sottoporre una tartaruga ad accertamenti di laboratorio sul sangue?
  2. Che indicazioni possono dare al veterinario sulla salute del mio animale?
  3. Quando è necessario far fare degli esami nel corso di una visita, magari all’acquisto di un nuovo esemplare?
  4. Quali sono i tempi di analisi?
  5. Qualsiasi veterinario-ambulatorio può effettuarli o devo cercare un veterinario curante per le mie tartarughe che abbia conoscenze molto specifiche?
  6. Quanto posso aspettarmi di pagare per questi esami?


Sempre più frequentemente data la grande diffusione di rettili e tartarughe in particolare è richiesto l’aiuto del veterinario per cure specifiche riguardanti questi animali. Uno degli strumenti diagnostici fondamentali nella medicina moderna è la medicina di laboratorio. Il ricorso ad esami del sangue, del midollo osseo e di altri liquidi organici, assieme a esami delle feci, agli esami microscopici citologici, all’istologia, agli esami micologici e batteriologici sono strumenti fondamentali nella pratica veterinaria attuale. Tuttavia poca preparazione ancora oggi viene ottenuta nei corsi laurea universitari sull’applicazione di tecniche diagnostiche di laboratorio ai cosiddetti animali non convenzionali. I rettili sono ancora poco studiati dal punto di vista medico in tutto il mondo e l’Italia non è ai primi posti nelle ricerche per colmare questo gap di conoscenze. Il sangue può servire per un gran numero di ricerche di laboratorio (ematologiche, biochimiche, immunologiche, biologico- molecolari), utilissime a fini diagnostici, prognostici e terapeutici, tuttavia già il prelievo può essere una grossa difficoltà senza una buona esperienza su questi animali. E’ opportuno quindi descrivere le tecniche ematologiche e emato chimiche di base su questi animali con l’auspicio di una loro adozione sempre più ampia nella pratica, descrivendo anche ai non veterinari quali limiti e problemi di non facile soluzione si pongano nell’effettuare anche sulle tartarughe esami che sono comuni ad esempio nella medicina del cane e del gatto. Molti veterinari di piccoli animali non hanno sufficiente preparazione in tal senso e pertanto nel curare una tartaruga è oggi indispensabile rivolgersi a quei professionisti che curano un gran numero di rettili, dai quali occorre esigere dei profili ematici ed emato chimici ben eseguiti. Il proprietario dovrebbe innanzi tutto essere a conoscenza che non tutti gli ambulatori hanno la possibilità di effettuare determinazioni in tal senso, molti laboratori di analisi privati sono ugualmente messi a dura prova nella esecuzione di vari test per scarsa conoscenza delle particolarità di questi animali. Descrivo  dunque le tecniche che adotto abitualmente con i miei pazienti col carapace, consapevole che altri possono utilizzare metodi diversi e che nuove soluzioni ed esperienze possono essere acquisite con la pratica ed il confronto continuo con i colleghi.

Quando è necessario un esame del sangue?

Chi possiede un rettile dovrebbe avere nel veterinario curante i suoi animali un consulente in grado di offrire consigli relativi ad ogni aspetto della biologia dell’animale (es. alimentazione, problemi riproduttivi), da consultare almeno una volta l’anno, anche in assenza di un vero problema e sciogliere ogni dubbio per quanto possibile. L’appassionato dovrebbe prestare particolare attenzione a tutti i cambiamenti anche minimi nel comportamento e nella condizione dei singoli soggetti le condizioni di malessere di una tartaruga possono essere subdole, l’animale poi peggiora improvvisamente o muore, ma in genere stava già male da tempo senza segni evidenti. È più prudente preoccuparsi troppo piuttosto che trovarsi poi di fronte problemi gravi, che si presentano sia al novizio che all’appassionato esperto. L’esperto magari avrà più animali e effettuerà nuove acquisizioni per la propria collezione e dovrà essere particolarmente scrupoloso nelle pratiche igieniche, nella quarantena, nella verifica e nel rinnovo periodico delle attrezzature.
Ogni nuovo acquisto dovrebbe essere visitato e non è una cattiva idea far effettuare in questi casi un profilo ematico per assicurarsi sullo stato di salute dell’animale.

In generale l'interpretazione dei  cambiamenti nel profilo ematico delle tartarughe è abbastanza simile a quella dei mammiferi e degli uccelli. Idealmente, siccome i parametri ambientali influenzano molto i risultati, l' animale sano, tenuto in un determinato habitat, con una certa dieta, ritenuta appropriata, dovrebbe avere i suoi valori normali conservati in una cartella  e,  quando esso si ammali, si potrebbero valutare, ripetendo gli esami, le eventuali variazioni. Inoltre, proprio per il gran numero di variabili implicate, più che un unico prelievo, dovremmo farne diversi, a distanza di un certo tempo l'uno dall'altro e valutarli quindi assieme per scopi prognostici e terapeutici.
Chi alleva tartarughe potrebbe essere interessato a far esaminare dal punto di vista ematico un gruppo omogeneo di soggetti ritenuti sani, un veterinario responsabile sarà ben lieto di poter determinare i valori medi di vari parametri importanti su un gruppo di soggetti sani con le strumentazioni che usa abitualmente, per poter rendersi conto di eventuali cambiamenti qualora si verificassero in futuro, piuttosto che dover basare le proprie valutazioni su dati di riferimento presenti in letteratura. Purtroppo infatti questi ultimi sono incompleti, determinati spesso su uno scarso numero di soggetti, in epoche più o meno diverse con tecniche e strumenti diversi, inoltre non sono rappresentativi più di tanto in quanto la popolazione animale del proprio cliente potrebbe essere un po’ diversa. Non solo i contaminanti ambientali possono essere presenti  diversamente da zona a zona, molti possono variare da gruppo a gruppo. Credo che l’appassionato serio interessato a fare un po’ di analisi preventive sui propri animali sani, sia da considerarsi anche lungimirante da un punto di vista economico. Molti appassionati  sono disposti a spendere tanto su soggetti di una specie rara e poi ricorrono al veterinario che magari non ha dati affidabili su quella specie pretendendo diagnosi rapide, assolutamente certe, magari realizzate in economia ed in pochissimo tempo. In medicina umana ove esistono ampi investimenti nella ricerca, prevenzione, amplissime casistiche, molte persone muoiono ogni anno per errate diagnosi. Nel campo degli animali e in particolare se abbiamo a che fare con quelli meno diffusi, sta al cliente avere la lungimiranza di investire denaro per fare un po’ di prevenzione, al veterinario il compito di aggiornarsi e condividere con i colleghi le conoscenze acquisite, nonché di venire incontro anche dal punto di vista economico ai clienti che ripongono in loro fiducia.
Le analisi di laboratorio sono uno strumento che non deve mai prescindere da un esame clinico completo, una corretta anamnesi, dai quali dovrebbero scaturire anche delle indicazioni su cosa cercare, cioè su quali parametri valutare e perché. Tuttavia, siccome le conoscenze di patologia clinica di questi animali sono ancora approssimative ed i parametri facilmente interpretabili sono pochi, non dovrebbe essere biasimato il professionista che fa qualche esame  forse non strettamente necessario, ma piuttosto quello che corre il rischio di farne qualcuno in  meno.
Nelle tartarughe allevate in cattività possono riscontrarsi abbastanza frequentemente malattie quali la malattia ossea metabolica, salmonellosi (spesso sono portatrici asintomatiche di vari tipi di salmonelle) insufficienza renale, epatopatie, diabete, gotta viscerale ed articolare, affezioni repiratorie di origine batterica o virale, stomatiti, dermatiti batteriche, fungine,  micosi sistemiche, varie parassitosi, interne ed esterne. Fra le malattie virali il più noto è sicuramente l’Herpesvirus, causa di stomatite, affezioni respiratorie e indebolimento del sistema immunitario in varie specie di tartarughe terrestri e lesioni cutanee in tartarughe marine. Esistono però altri virus, parassiti e batteri patologeni meno frequenti e non facilmente diagnosticabili. I rettili possono ad esempio contrarre steatosi epatica (in particolare specie carnivore in sovrappeso), rickettsiosi, leptospirosi, vari tumori, anche delle cellule del sangue. Per la diagnosi di alcune malattie è necessario fare esami che non si possono condurre nel normale ambulatorio, il veterinario dovrà però avere un sospetto diagnostico e essere capace di fare idonei prelievi per inviare ad esempio il siero al laboratorio specializzato, dove si effettueranno  i vari accertamenti (es. il test PCR per l’Herpes-virus  sviluppato dal Dr. F. Origgi). Alcuni parametri biochimici potrebbero essere meglio determinati da un laboratorio esterno alla struttura veterinaria e pertanto le risposte perverranno alla struttura dopo un certo tempo, mediamente tre giorni lavorativi.

Prelievo di sangue

In un rettile sano si può prelevare senza rischi fino al 10 % del volume ematico totale (5% del peso corporeo) per cui in un soggetto di 100 g si possono prelevare sino a 0,5 (si può prelevare sino allo 0,5 % del peso corporeo). Con 1,5 ml di sangue si possono oggi effettuare moltissimi esami, molti laboratori utilizzano infatti microtecniche.
Il prelievo di sangue nelle tartarughe è poco agevole, nessun vaso è facilmente utilizzabile anche se sono state descritte molti siti di prelievo. In medicina umana per prelevare il sangue spesso si utilizzano provette vacutainer, ma nelle tartarughe sia la difficoltà a reperire e mantenere il vaso, sia la suzione esercitata da questo sistema, che potrebbe essere eccessiva, non ne rendono secondo me opportuno l’utilizzo. Una siringa da 1-2,5 ml sono quindi gli strumenti che utilizzo, cambiando, semmai l’ago, a seconda del soggetto. Utilizzo abitualmente siringhe da insulina (25G) per animali al di sotto di 20 cm lunghezza del carapace, ed in genere aghi  23G  per soggetti da 500g a 2kg. Aghi 22G possono andar bene per soggetti di taglia superiore, es. Testudo marginata adulte o Geochelone sulcata medio grandi.

Il mio sito di prelievo preferito nelle tartarughe terrestri non sedate è il plesso venoso sub carapaciale, mentre per le acquatiche il seno venoso post- occipitale. In una tartaruga sedata la vena giugulare è quella che preferisco e in tartarughe di una certa mole anche la brachiale e la safena. In letteratura sono descritti anche vena ventrale, dorsale, laterale della coda, il plesso venoso retrobulbare dell’occhio e la cardiocentesi (sia ponendo un ago cannula al centro dello spazio fra collo e arto anteriore, oppure previa trapanazione del piastrone usando come punto di repere il margine craniale della placca addominale). Occorre considerare che il sangue fuoriesce dopo 20 secondi, inoltre defluisce lentamente, per cui in alcune situazioni è opportuno eparinizzare leggermente la siringa.  

Ematocrito

Il valore ematocrito è la frazione del sangue occupata dagli eritrociti (%).Si indica con la sigla PCV se è calcolato con la tecnica di riferimento. In tal caso viene determinato utilizzando un capillare da microematocrito contenente sangue e chiuso ad una estremità da plastilina, centrifugando a 12000 giri per 3 minuti con una centrifuga apposita (che non tutti gli ambulatori possiedono), mentre quando si trova la sigla HCT si tratta dell’ematocrito calcolato da un conta globuli automatico secondo la seguente formula:

Hct =  (RBC x MCV)/10

Purtroppo la maggioranza dei conta globuli attualmente in uso non forniscono valori molto precisi del numero dei globuli rossi (RBC), né del valore MCV (volume corpuscolare medio) in animali che hanno i globuli rossi nucleati (ad esempio gli uccelli ed i rettili). Inoltre questo parametro fondamentale può essere effettuato in pochi minuti con una minima quantità di sangue, quindi anche da animali molto piccoli. Su soggetti in cui la quantità di sangue prelevabile è minima è importante determinare almeno il PCV e fare lo striscio ematico. Il PCV ci permette di valutare rapidamente la presenza di anemie, emoconcentrazione e quindi il grado di disidratazione. Se poi si effettua una conta accurata al microscopio del  valore RBC e la determinazione dell’emoglobina (Hgb) abbiamo i tre 3 elementi che ci permettono di calcolare gli indici eritrocitari MCV, MCH, MCHC, importanti per la valutazione delle anemie.

Esecuzione dello striscio ematico

Lo striscio di sangue andrebbe realizzato col sangue rimasto nel cono della siringa, senza anticoagulante dopo aver posto il sangue prelevato in una provetta contenente l’anticoagulante litio eparina. L’Edta non è utilizzabile nelle tartarughe perché dà lisi dei globuli rossi. Per quanto riguarda la tecnica di striscio ci sono molte alternative anche se il metodo classico rovina le cellule e per strisciare si dovrebbe disporre di vetrini molati sul bordo del lato corto, in alternativa si possono usare la tecnica per apposizione comunemente utilizzata per la citologia. E’ meglio in questo caso sovrapporre un copri oggetto magari di quelli rettangolari al porta oggetto o adottare la cosiddetta tecnica del doppio copri oggetto, più usata in ematologia aviare. Io vario la tecnica di striscio a seconda del tipo di animale, le cellule ematiche dei rettili sono particolarmente delicate. La tecnica che ho adottato di routine per le tartarughe, non disponendo sempre di vetrini molati me la sono inventata di recente. Avvicino alla goccia un capillare da microematocrito, utilizzandone la superficie curva, ponendolo orizzontalmente sul copri oggetto perpendicolare all’asse maggiore del vetrino e lascio che la goccia si espanda su di esso, poi striscio, facendo così senza troppa difficoltà la giusta pressione per ottenere strisci con una buona forma ed una disposizione uniforme e monostratificata delle cellule. Varie colorazioni tipo Romanowsky sono utilizzate per la colorazione degli strisci. Frye preferisce Kleinenberger-Noble Giemsa se i vetrini devono essere conservati a lungo, ottimi risultati però si ottengono anche con Jenner Giemsa, secondo questo autore, autorità indiscussa nella medicina dei rettili. Possono andar bene May Grunwald Giemsa o Wright Giemsa o le colorazioni rapide tipo Diff Quick e simili. Avendo utilizzato May Grunwald Giemsia con ottimi risultati lo consiglio per ricerca e pubblicazioni, ma per la pratica ambulatoriale di routine si ottengono discreti risultati anche con Diff Quick.   

Conte Eritrocitarie e Leucocitarie

Le conte dei bianchi e dei rossi potrebbero essere stimate su uno striscio veramente ben fatto, con distribuzione omogenea e monostratificata delle cellule, ma preferisco utilizzare un conta globuli automatico per la stima dei rossi e per la lettura dell’emoglobina, poi calcolo comunque RBC e WBC su camera di Neubauer al microscopio, usando l’obiettivo non ad immersione più potente, con la soluzione di Natt e Herrick come diluente –colorante. In alternativa si possono utilizzare le pipette del sistema Unopette. La pipetta per i globuli bianchi del sistema Unopette dà una diluizione 1:200 e può essere reperita da alcune ditte di attrezzature veterinarie più fornite. La soluzione di Natt e Herrick, che va filtrata prima dell’uso necessita di pipette di vetro specifiche per le camere di conta in cui il sangue ed il diluente vengono aspirati dall’operatore tramite un tubicino di gomma,  ma permette la conta di rossi e bianchi caricando una sola volta la camera, diluendo con la pipetta dei bianchi, aspirando sangue fino al segno 0.5 e diluente fino al segno 101, poi si agita la pipetta ev si fanno uscire e gettando le prime 4 gocce si depone l goccia nella camera dopo avervi posto il vetrino copri camera, facendo entrare il sangue diluito per capillarità dal bordo del vetrino copri camera stesso. Occorre fare attenzione che nel reticolo non si formino bolle d’aria e che il liquido non fuoriesca dalle scanalature laterali. L’inconveniente maggiore dell’uso della soluzione di Natt e Herrick è che le pipette per la diluizione (che devono sempre essere ben sciaquate in acqua distillata) impiegano moltissimo ad asciugarsi completamente, anche una settimana, se non poste su un piano caldo (ad es. sopra una stufa o una autoclave), le pipette umide impediscono una diluizione accurata e quindi una conta valida. In alternativa si può far fare una lettura dei rossi, non molto precisa ma pratica, da un conta globuli automatico e fare una conta dei bianchi stimata sul vetrino  con  il metodo Campbell:

 WBC= n medio leucociti in 5 campi  x 3500

Che è attendibile se l’ematocrito è normale, altrimenti il valore va corretto:

WBC corretto = WBC osservato x (PCV osservato/PCV medio fisiol)

Per il calcolo del WBC  è descritto anche nelle specie con un altro numero di eosinofili circolanti il metodo della Flossina B con la pipetta Unopette per gli eosinofili. Non l’ho mai utilizzato, non è un metodo molto diffuso la flossina colora eterofiliv ed eosinofili in rosso el a conta si ottiene con la formula:

 WBC =   (n eterofili e eosinofili/mm3 x 100)/(% eterofili ed eosinofili)

C’è il rischio di confondere trombociti e piccoli linfociti, per cui  è necessario porre molta attenzione. In caso di dubbi si può confrontare il valore con quello ottenuto da una conta stimata (fatta con obiettivo ad immersione - i dettagli cellulari sono meglio evidenziabili). Molto utili se disponibili le colorazioni differenziali tipo Citocolor (R).

Emoglobina

Il valore dell’emoglobina è poco preciso se effettuato dai contaglobuli automatici per la presenza di nuclei liberi . E’ preferire effettuare la determinazione a parte con un emoglobinometro  o mandare un campione di sangue al laboratorio per la determinazione spiegando che occorre  nel realizzare il metodo alla cianometaemoglobina centrifugare la miscela  per eliminare i nuclei dalla soluzione  prima della lettura.     

Morfologia degli elementi cellulari

Eritrociti
Gli eritrociti maturi nei rettili sono cellule ellissoidali con nucleo ovale in posizione centrale. Il citoplasma si  presenta omogeneo, di colore dal giallastro al rosso mattone. Il loro numero va da

0,2 a 1 x 106 /l 

con differenze molto significative a seconda della specie. Gli eritrociti hanno uno o più nuclei spesso marcatamente irregolari.  Il citoplasma si colora di arancio – rosa fino al rosso mattone ed è di solito di aspetto uniforme. Il nucleo contiene cromatina addensata e diviene più picnotico man mano che la cellula invecchia. Quando la cellula diviene senile il nucleo comincia a presentare picnosi, poi rigonfia e diventa amorfo, perdendo la sua cromatina caratteristicamente densa. In diversi casi la cromatina si aggrega in ammassi densi. La membrana nucleare ed eritrocitaria infine si lisano e a meno che la cellula non più funzionale sia inglobata da monociti o altri fagociti, il contenuto cellulare si disperde nel plasma circostante. L’origine stessa degli eritrociti nei rettili è interessante perché potrebbe darci indicazioni utili clinicamente.
 L’eritropoiesi può avvenire in 5 modi:

  1. convenzionalmente, dal proeritroblasto, esattamente come   nei mammiferi;
  2. in alcune condizioni di stress, deficienza di ferro o perdita ematica cronica sono attivati siti extramidollari di eritropoiesi, i principali dei quali sono milza e fegato;
  3. eritrociti maturi con molta emoglobina si possono dividere sia nel midollo che nel sangue;
  4. eritrociti ricchi d’emoglobina possono andare incontro a divisioni amitotiche con formazione di più cellule figlie;
  5. I trombociti si trasformano in eritrociti tramite divisioni mitotiche o amitotiche.

Il grado di policromasia fornisce l’indicazione più utile di attiva rigenerazione eritrocitaria. Eritrociti di tartarughe con una marcata risposta rigenerativa, che si sono appena svegliati dall'ibernazione o con marcate forme infiammatorie spesso sono binucleati, mostrano abnormi divisioni nucleari o attività mitotica.
Eritrociti con forma anomala del nucleo possono essere associati con malattie infiammatorie, malnutrizione, cachessia. Una leggera poichilocitosi e anisocitosi sono considerate normali in molte specie tuttavia moderate o marcate poichilocitosi e anisocitosi possono trovarsi in condizioni di anemia rigenerativa o altri disordini eritrocitari.  Si osservano occasionalmente eritrociti mancanti del nucleo che sono denominati “eritroplastidi” e se in numero ridotto hanno scarso significato. Inoltre si trovano anche nuclei eritrocitari liberi nel plasma fra cellule adiacenti. Sono chiamati ”ematogoni” e hanno importanza discutibile. Sembra che si formino quando il nucleo è espulso dagli eritrociti insieme con un sottile strato di citoplasma.
Eritrociti immaturi sono spesso presenti nel sangue periferico, specialmente nei rettili giovani o in quelli che stanno per fare la muta della pelle, oppure come risposta all’anemia. Gli eritrociti immaturi sono cellule rotondeggianti con grossi nuclei e citoplasma basofilo. Spesso appaiono più piccoli di quelli maturi. Mentre la sezione di un eritrocita di mammifero è discoidale o biconcava, quella di un rettile è appiattita, con una leggera sporgenza nella regione del nucleo. La cromatina è grossolanamente e densamente granulare. I reticolociti, così come i giovani eritrociti policromatofili dei rettili possono essere dimostrati usando il nuovo blu di metilene, brilliant cresyl blue e altre colorazioni sopravitali. I reticolociti dei rettili hanno un distinto anello di reticolo aggregato che circonda il nucleo cellulare. Occasionalmente si possono osservare negli eritrociti dei rettili corpi di Howell– Jolly. Qualche volta si possono vedere eritrociti falciformi, fusati, piriformi, sferici e di altre forme anomale. Alcune di queste cellule possono essere un artefatto, ma in alcuni animali l’incidenza di queste anomalie è sufficientemente alta da indicare un difetto della eritropoiesi. Un esempio clinicamente rilevante sono gli sferociti che sono associati ad alcune malattie immunomediate nei vertebrati superiori. Nei rettili sono più comunemente osservati in animali con infezioni croniche, anche se sono stati individuati in rettili affetti da lupus eritematoso sistemico e artrite reumatoide. Allo stesso modo si vedono occasionalmente eritrociti macrocitici e microcitici.
Le tartarughe hanno gli eritrociti più grandi tra tutti i rettili. Sembra infatti che i rettili più primitivi abbiano gli eritrociti più grandi. La taglia dell’eritrocita è inversamente proporzionale al livello metabolico. Il numero degli eritrociti è sempre molto inferiore a quello degli uccelli e dei mammiferi. In alcune specie la conta eritrocitaria è più elevata nei maschi. Essa comunque varia anche a seconda della stagione in molte specie. Il numero aumenta immediatamente prima dell’inverno, così come l’ematocrito. Alla fine dell’ibernazione il numero degli eritrociti è diminuito, ma ciò potrebbe essere correlato ai cambiamenti ormonali della stagione riproduttiva che in molte specie inizia subito dopo il risveglio invernale.
In alcune infezioni virali si possono osservare corpi inclusi intraeritrocitari.

Leucociti
I linfociti
    Sono i più comuni leucociti, taglia e colore variano a seconda delle specie. Il nucleo è eccentrico.
    La forma del linfocita è uguale a quello dei  mammiferi e può essere piccolo e rotondo oppure più grande e irregolare. I piccoli linfociti vanno dai 5,5 ai 10 micron e i grandi dagli 11 ai 14,5. Il citoplasma è finemente granuloso e si colora in blu pallido con colorazioni tipo Romanowsky. Il citoplasma contiene frequentemente inclusioni azzurrofile o ialine.
    In casi di batteriemia spesso all'interno dei linfociti si ritrovano microrganismi, in altri casi eritrociti fagocitati. I nuclei dei prolinfociti presentano un singolo nucleolo ben definito, occasionalmente due. In situazioni di grave stress o neoplasia linforeticolare si trovano nel sangue periferico forme blastiche. Visto al microscopio elettronico e anche a quello ottico, il linfocita presenta la membrana cellulare con piccole estensioni (pseudopodi). La conta linfocitaria assoluta (e relativa) è altamente variabile ed è influenzata da molti fattori: specie, età, sesso, stagione, stato di nutrizione, presenza di parassiti emoprotozoi o metazoi, concomitante stato di malattia. Le femmine di alcune specie a parità di condizioni ed età presentano una conta linfocitaria leggermente maggiore dei maschi della stessa specie. I giovani  tendono ad avere un numero di monociti, linfociti, eterofili e trombociti maggiore rispetto agli adulti. Il numero dei linfociti è più alto durante i mesi estivi più caldi e minore durante l'inverno e l'ibernazione. Quest'ultimo fatto è stato correlato con la minor risposta immunitaria durante temperature basse e l'ibernazione da parte di alcune specie di clima temperato.
 Le plasmacellule
Le plasmacellule sono molto simili a quelle dei mammiferi e si differenziano bene negli strisci colorati dai linfociti. Il numero di plasmacellule circolanti è minore di solito di quello dei linfociti. Il nucleo solitamente eccentrico si colora di blu scuro con le colorazioni tipo Romanowsky. Di solito si osserva addensamento cromatinico perinucleare.
Il citoplasma si colora intensamente in blu, eccetto per un alone perinucleare più pallido (detto ialoplasma) corrispondente all'apparato del Golgi. In condizioni di intensa stimolazione immunologica si osservano all'interno del citoplasma corpi chiari tipo Russel. In rari casi si possono trovare plasmacellule multinucleate. La conta plasmacellulare di solito non supera lo 0,2-0,5 % ma potrebbe  risultare molto aumentata nel caso di infezioni o altri stimoli immunologici.

Monociti
Molto simili a quelli dei vertebrati superiori. Sono di grande taglia ma rari. Di solito sono più grandi dei linfociti di maggiori dimensioni e possiedono un nucleo fatto ad "U", indentato o comunque curvo, contenente cromatina granulare. La loro dimensione è molto variabile nell'ambito di uno stesso individuo, da 2 a 20 micron. Il citoplasma si presenta di solito finemente granulare e si colora di blu- grigio pallido con colorazione tipo Romanowsky. Nel citoplasma si possono trovare vacuoli contenenti vari materiali fagocitati (es. batteri, detriti cellulari, vacuoli chiari di aspetto lipoideo, ecc.). I monociti rappresentano dallo 0,5 al 3% della conta leucocitaria totale. Tuttavia in alcuni casi e specie diverse i monociti sono stati riscontrati al 10 o addirittura al 20%. La monocitosi di solito si riscontra in processi infettivi di tipo cronico o altri stimoli immunologici cronici. In questi casi la conta monocitaria diviene elevata e questo dato è importante in patologia clinica per giudicare la risposta alla terapia e determinare un giudizio prognostico. In casi di granulomatosi (a varia eziologia) la conta monocitica aumenta sensibilmente.


Granulociti
Tali cellule sono simili a quelle dei mammiferi, Frye riporta che  ci potrebbe essere un unico precursore primordiale all'origine dei vari granulociti eosinofili, neutrofili e basofili.

Neutrofili
Riconosciuti nei rettili per la prima volta più di 30 anni fa spesso sono stati contati, soprattutto in studi precedenti al 1973, assieme ai monociti e anche ai linfociti. Questo è comprensibile perché gli azzurrofili dei rettili hanno sia caratteristiche proprie del monocita che del neutrofilo dei mammiferi, infatti a differenza di quelli dei mammiferi i neutrofili dei rettili sono presenti in numero relativamente più scarso e tendono a essere messi in ombra dagli altri granulociti nella risposta ai microoorganismi patogeni.
Il neutrofilo dei rettili è caratterizzato da un nucleo non segmentato, composto di cromatina grossolanamente raggruppata. Questo nucleo assomiglia molto a quello che si trova nell' iposegmentazione anomala umana e canina di Pelger -Hüet. I bordi del nucleo potrebbero essere leggermente indentati ma non si osserva solitamente una vera segmentazione. Il citoplasma blu grigiastro nelle cellule reattive contiene piccoli e irregolari granuli azzurrofilici, in pratica agli usuali ingrandimenti la cellula appare praticamente senza granuli,tanto sono piccoli, ma si vedono un'area azzurrofila, inclusioni, sottili filamenti fibrillari, vacuoli chiari di tipo lipidico. Visibili, sempre in condizione di reattività,  inclusioni di batteri o altro materiale fagocitato che dà l'aspetto di neutrofilo tossico assai noto nei mammiferi. Anche in queste cellule sono spesso visibili pseudopodi, singoli o multipli. I neutrofili dei rettili  dimostrano positività per la perossidasi e la fosfatasi alcalina. Ai reagentii della Citocolor®, come il Neutrocolor® dimostrano la stessa colorabilità di quelli dei mammiferi.
Neutrofilia si ha in casi di necrosi cellulare e infezioni batteriche.
Nel rettile sano i neutrofili vanno dal 3 al 7% della conta leucocitaria differenziale, raramente superano il 10%.
Eosinofili
Per la loro somiglianza con gli eterofili spesso possono essere confusi con questi ultimi. Chelonia (le tartarughe) e Crocodylia hanno 2 tipi di granulociti acidofili: eosinofili ed eterofili. Gli eosinofili sono caratterizzati, come gli acidofili dei vertebrati superiori, da granuli rosso arancio, sferici e un nucleo eccentrico, blu pallido, semplice o lobato. La membrana cellulare, come  quella degli altri leucociti, nei rettili, possiede numerosi pseudopodi.
Se gli eosinofili si degranulano perdono la loro eosinofilia e la riacquistano dopo un certo tempo. I granulociti acidofili dei cheloni hanno granuli citoplasmatici sferici che  reagiscono sia alla perossidasi  neutra che alcalina (perossidasi di Grahm-Knoll) e che si colorano con Sudan nero (eosinofili). Le tartarughe possiedono però anche cellule acidofile  più numerose, perossidasi negative, che non si colorano con Sudan nero. Tali cellule contengono granuli citoplasmatici bastocellari che reagiscono negativamente con benzidina perossidasi. Le cellule sopra menzionate sono definite, per questa loro caratteristica, eterofili.
           
Eterofili
Ci sono differenze nell'attività degli eterofili e degli eosinofili, infatti, gli eosinofili aumentano sotto stimolazione antigenica, ad esempio, in  caso di gravi parassitosi  elmintiche o di altro genere,  diventando il tipo predominante. Gli eterofili intervengono invece in molte infezioni batteriche extracellulari aumentando in maniera relativa ed assoluta. I  granulociti eterofili hanno infatti attività fagocitiche e assumono la funzione e il ruolo che nei mammiferi hanno i neutrofili polimorfonucleati. Per cui  in caso di infezioni batteriche o necrosi, i granulociti che più aumentano in frequenza relativa sono gli eterofili, così come nei mammiferi aumenterebbero i neutrofili. L'eterofilo è insomma il caratteristico granulocita acidofilo che si trova in molti ascessi, primariamente quelli indotti da batteri extracellulari. Gli eterofili sono spesso contati erroneamente insieme ai meno comuni eosinofili. Gli eterofili in genere hanno granuli allungati, gli eosinofili rotondi. Alcuni autori definiscono i granuli degli eterofili "granuli eosinofilici spiculati". I granuli negli Squamata (sauri e serpenti) tendono a essere più piccoli, numerosi e allungati rispetto a quelli dei coccodrilli mentre nelle tartarughe, in particolare quelle d'acqua, si colorano in rosso marrone con Romanowsky e sono così numerosi da spostare il nucleo alla periferia della cellula .
Gli eterofili in molte specie di rettili sani sono di norma dal 30 al 45% della conta totale leucocitaria. Nelle infezioni batteriche si può arrivare al 65%. La conta totale leucocitaria può aumentare di cinque volte in una reazione leucemoide.

Basofili
In uno striscio di sangue sauriano colorato il granulocita più facile da identificare è il basofilo perchè presenta granuli intensamente basofili. I basofili sono piccoli ma numerosi. Si tratta di cellule fragili che possono rompersi nell'allestimento dello striscio. I granuli intracitoplasmatici di questo leucocita si colorano rosso porpora con colorazioni tipo Romanowsky e possiedono un nucleo centrale che si colora di scuro. In individui sani, non ibernanti, il loro numero è dal 10 al 25% della conta leucocitaria. I basofili diminuiscono nell' ibernazione e aumentano con l'attività.
20 micronsIl nucleo del basofilo contiene un denso nucleolo ovale che si apprezza meglio alla microscopia elettronica, infatti col microscopio ottico questi particolari possono essere nascosti dalla densa colorazione dei granuli.
         
Trombociti
Di solito sono meno del 40% anche se sono stati riportati valori da 25 a 350 su 100 leucociti. Il normale range nel sangue periferico va da 10500 a 19500 per mm cubo di sangue , la larghezza varia da 5 a 9 microns, la lunghezza da 8 a 18, a seconda della specie. Risultano più piccoli degli eritrociti.
 Per quanto riguarda la forma si tratta di cellule piccole, basofile, ellissoidali o fusate con un grosso nucleo centrale basofilo, la cui cromatina è più omogenea di quella di un eritrocita. Nei rettili il citoplasma della maggior parte dei trombociti varia dal  blu pallido al quasi privo di colore e si presenta agranulare.
   Queste cellule hanno la tendenza ad aderire le une alle altre e a formare aggregati negli strisci. All'esame con il microscopio elettronico possono essere visti pseudopodi che contengono materiale finemente granulare [22].
Occasionalmente nei rettili anemici si possono osservare trombociti binucleati, queste cellule, infatti, come gli eritrociti, sono capaci di divisioni amitotiche.
L'uso di colorazioni sopravitali come ad esempio il Nuovo Blu di Metilene aiuta a distinguere i trombociti, il cui nucleo è affine al colorante,  dagli eritrociti.
I trombociti nei rettili originano da cellule multinucleate di tipo megacariocitico presenti nel midollo osseo o in siti di eritropoiesi extramidollare. In queste cellule multinucleate è stata dimostrata, con colorazioni specifiche, la presenza di lisosomi. Queste cellule assomigliano molto ai megacariociti dei mammiferi. Sia i megacariociti che i trombociti maturi possono avere funzione di fagociti. Nei loro citoplasmi sono stati infatti ritrovati detriti cellulari ed eritrociti invecchiati.
Il trombocita è parte del sistema della coagulazione, serve da fagocita, possiede una pluripotenza funzionale che gli permette di trasformarsi in eritrocita. Come l'eritrocita dopo che è maturato può tornare indietro nel processo maturativo sdifferenziandosi e andare incontro a divisione mitotica o amitotica. In casi di grave anemia i trombociti possono essere reclutati per diventare eritrociti, ma questo può portare il loro numero a non essere più sufficiente e allora ci possono essere  emorragie spontanee per trombocitopenia. Studi in merito sono stati compiuti da Frye con vari rettili resi anemici e studiati per la morfologia cellulare e per la presenza di emoglobina, trovata anche nei pochi trombociti normali. In pochi giorni, eliminata la causa anemizzante, i due tipi cellulari tornavano a differenziarsi.
      
Rilievi anormali occasionalmente riscontrati

A volte osservando uno striscio di sangue di una tartaruga possiamo  rilevare cellule anomale, emoprotozoi intra e extraeritrocitari, corpi inclusi di tipo virale ad esempio per infezioni da herpesvirus, microfilarie, alcuni inclusi sono in realtà artefatti dovuti alla colorazione. I parassiti ematici possono essere o no  patologicamente significativi. La rilevanza o meno di questi parassiti deve essere giudicata sulla base dei segni clinici che quel particolare rettile manifesta. Spesso le filarie non sono patogene nei rettili.
Nelle forme malariche ci sono delle crisi periodiche come nei mammiferi. Alcuni parassiti che non si ritrovano nel sangue periferico al mattino possono trovarsi la sera, in concomitanza con il periodo di attività degli insetti vettori. Le cellule anormali che invece potremmo trovare,  generalmente derivano da neoplasie linforeticolari e mieloproliferative. Tuttavia poche cellule con divisioni mitotiche non sono indice di neoplasia e il caso va valutato globalmente (intero emogramma, esame fisico, ecc.). Eritrociti a forma di falcetto o lupus eritematoso- like sono state riscontrate.

Prelievo di midollo osseo

Indicazioni al prelievo e alla valutazione del midollo osseo includono l’anemia cronica o non rigenerativa, leucopenia persistente, trombocitopenia, le neoplasie del sistema ematopoietico. Si effettua previa disinfezione con betadine e perforazione della porzione anteriore del piastrone, lateralmente alla placca gulare. La zona perforata va poi richiusa con una piccola quantità di colla tessutale ed un ulteriore strato di epossidico bi-componente. Il vetrino va effettuato con delicatezza, utilizzando due copri oggetto.

Sierologia e biochimica clinicaL'analisi del siero è un importante ausilio diagnostico. Per il clinico è spesso necessario mettere in ordine di priorità i componenti di un profilo da realizzare, per l'inadeguato volume di sangue presentato al laboratorio.

Profilo minimo Elettroliti Test addizionali Test di solito poco usati
per valutare  le tartarughe
 Proteine totali  Na  Amilasi  ALT
Albumine  K  Acidi biliari  AP
 Globuline  Cl  Glucosio  Bilirubina
 AST    LDH  BUN
 CK      Creatinina
 Acido urico      
 Ca      
 P      


    I parametri di cui conosciamo il valore diagnostico in queste specie e che quindi possiamo utilizzare purtroppo non sono utili per l'identificazione precoce del danno renale e le tartarughe con insufficienza renale potrebbero presentare solamente una elevata quantità di fosforo o un rapporto Ca: P invertito.

Proteine totali  Generalmente da 30 a 80 g/l. L'ipoproteinemia è spesso associata con la malnutrizione. Altre cause includono malassorbimento, cattiva digestione (es. per parassitismo intestinale),  enteropatie proteino-disperdenti, gravi perdite di sangue e affezioni croniche epatiche o renali.
Elettroforesi delle proteine Richiede solamente una piccolissima quantità di plasma e fornisce dati diagnostici veramente utili. Attualmente informazioni specifiche sui rettili sono limitate. Estrapolazioni dai risultati ottenuti nei mammiferi e negli uccelli potrebbero avere valore dubbio ma una valutazione iniziale mostra che sono comparabili. Andrebbe sempre effettuatain caso di aumento delle proteine totali non correlabile a disidratazione ed in caso di iperglobulinemia. Gli anticorpi migrano prevalentemente a livello delle gamma globuline.

Albumine I livelli di siero albumine variano in maniera notevole con stato di salute, ambiente esterno, stato nutrizionale. Sono importanti nel mantenere il volume plasmatico. L' interpretazione dei valori del calcio deve essere fatta alla luce dei valori di Albumine (calcio corretto).
Ca corretto = (Ca-Albumina) + 3,5
L'uso del fattore di correzione 3,5 è stato contestato nei rettili, ma in mancanza  di studi chiarificatori viene attualmente utilizzato.  


Globuline Possono aumentare negli stati  infiammatori e portare ad un aumento delle proteine totali. Le frazioni ,  potrebbero aumentare nelle necrosi tissutali e diminuire nelle patologie epatiche, nella malnutrizione e nel malassorbimento. Le frazioni  , ,  aumentano in caso di malattie infettive.


AST  L'aspartato aminotransferasi (AST= GOT) è presente in tutti i tessuti corporei ma le concentrazioni maggiori si trovano nei muscoli e nel fegato. Valori elevati di AST suggeriscono un danno tissutale che coinvolge in special modo il fegato o i muscoli. In associazione con la CPK, per escludere il danno muscolare, l' AST è un test utile nelle tartarughe per valutare il danno epatocellulare. Alcune malattie generalizzate come le setticemie, ad esempio, possono elevare anch'esse la AST.

CK La creatinin kinasi è considerata come prevalentemente derivante dal muscolo scheletrico ed è utile considerata insieme a test non specifici per la funzione epatobiliare (AST)  per escludere un coesistente danno al muscolo scheletrico.

Acido urico E' il principale catabolita finale delle proteine, dell' azoto non proteico e delle purine nei rettili. E' sintetizzato dal fegato e escreto per secrezione dal tubulo renale. Il livello ematico perciò dipende largamente dal flusso urinario (e quindi non è un indicatore sensibile di disidratazione).
Ca  L' ipocalcemia si ha associata con squilibri di Ca, P, vitamina D. In femmine con attiva follicologenesi si potrebbe rilevare  ipercalcemia, ma i valori di calcio ritornano nella norma una volta che esse  hanno deposto le uova. Il rapporto Ca / P può essere invertito in corso di malattia renale

P  L' iperfosfatemia si può avere per eccessiva quantità  di fosforo nella dieta, ipervitaminosi D e patologie renali. Il fosforo può essere l'unico parametro aumentato nella insufficienza renale.
Ipofosfatemia si può riscontrare in caso di anoressia, inanizione o altri squilibri di natura nutrizionale. Un rapporto Ca - P minore di 1:1 è indicatore di un problema renale.

Elettroliti

Na   La quantità di sodio in un rettile sano è variabile con la specie e va da 120 a 170 mg/ l .
Ipernatriemia sarà presente in caso di disidratazione (inadeguata assunzione o eccessiva perdita).
Iponatriemia sarà riscontrabile in corso di perdite gastro enteriche (diarrea).

K     Varia generalmente da 1,5-2 a 7 mmol/l. L' ipokaliemia nei rettili si riscontra per inadeguato apporto o eccessiva perdita di questo ione (diarrea). Nei mammiferi si trova iperkaliemia per eccessiva assunzione di potassio, diminuita secrezione o spostamento dal comparto dei fluidi intracellulari a quelli extracellulari (es. grave acidosi).

Cl     Lo ione cloruro varia in un range di 85- 120 mmol/l.
L'ipercloremia si associa a disidratazione e anche ad insufficienza renale.

Test aggiuntivi

Amilasi  Viene prodotta in altre sedi oltre che nel pancreas, ma potrbbe essere utile nella diagnosi di pancreatiti. Non ho dati di riferimento sulle tartarughe.

Acidi biliari Sono stati poco studiati e sono attualmente indicatori di scarso valore diagnostico ma nuove ricerche potrebbero dimostrare la loro utilità.
LDH  L'enzima lattato  deidrogenasi ha un'ampia distribuzione nei tessuti e un suo aumento sierico suggerisce danno tissutale. In alcune specie un aumento oltre 600-1000 Ui/l è considerato significativo, ma, in generale, è un indicatore di scarsa importanza. Un suo aumento assieme a AST, con  CK  nella norma è indice di danno epatico.

Parametri comunemente poco utilizzati
ALT  L'aumento dell' alanina aminotransferasi (ALT=GPT) non è specifica e non è un indicatore affidabile di danno epatico o muscolare. ALT non è di solito parte della biochimica di routine nelle tartarughe. Solitamente < 20 UI/L.

AP    La fosfatasi alcalina è ampiamente distribuita nei tessuti e l'interpretazione di un suo aumento a livello sierico è difficile, a causa delle differenze di età, specie e a causa di una mancanza di informazioni. Valori medi di riferimento 50-120 Ui/l
        
Bilirubina totale Val. rif. 0.2-1.0 mg/dl Può non essere rilevata o essere a concentrazioni molto basse, perciò è un parametro di scarso valore nei rettili. La biliverdina è il pigmento biliare delle tartarughe. Una elevata presenza di biliverdina nel sangue indica grave danno epatico.
    
BUN  Dato che i rettili sono primariamente uricotelici, l'azoto ureico ematico è basso. E' escreto per filtrazione glomerulare. Nei rettili, generalmente, è considerato un indicatore di scarso valore  per le affezioni urinarie. Un aumento può aversi in gravi patologie renali, nell’azotemia prerenale, in diete ad alto contenuto di urea.

Profili biochimici

Mini profilo: Ca, P, acido urico o BUN, AST, PT, Albumina* e globuline*.
Profilo esteso: CA, P, Acido urico, BUN, AST, ALT, GGT, Acidi biliari, Colesterolo, Trigliceridi, CPK, LDH, glucosio, PT, Albumina*, Globuline*, Na, Cl, K.

*con elettroforesi meglio

    Un esame emocromo citometrico di un rettile dovrebbe costare di più perché ben eseguito dovrebbe comprendere sempre esmae dello striscio e possibilmente anche le conte totali dei rossi e dei bianchi al microscopio, questo richiede, se si effettuano le conte complete circa 45 minuti di lavoro. Per un emocromo più  5 parametri del biochimico e elettroforesi è ragionevole spendere 40-50  euro, per emocromo più 12 parametri ed elettroforesi almeno 55-65 euro.

Interpretazione del profilo emato-biochimico nelle tartarughe

    Le valutazioni ematologiche e emato- chimiche sono frequentemente utilizzate per verificare le condizioni di salute nei rettili. Tuttavia, come abbiamo spiegato, moltissimi fattori influenzano i valori che possiamo rilevare. Uno di questi è la temperatura dell'animale al momento del prelievo, e forse anche altri parametri fisiologici, come l' aumento del respiro e del battito cardiaco, per la  paura.
    Purtroppo, i valori di riferimento normali pubblicati sono scarsi e, spesso, carenti di informazioni sulle variabili ambientali e fisiologiche proprie dell'animale al momento del prelievo, manca inoltre una dettagliata spiegazione delle modalità dello stesso, come pure la dascrizione  dell'utilizzo e della conservazione del campione. Per queste ragioni, cioè per una generale carenza di studi sperimentali riguardanti l'ematologia e la biochimica nonchè di valori di riferimento attendibili, l'interpretazione degli esami può essere problematica.
    In molti casi la scarsa quantità di sangue prelevato  impone al clinico una scelta ben precisa su quali parametri sia più utile testare. In generale nei sauri le informazioni che valutano fegato, rene, glucosio, proteine, calcio, fosforo e l' emogramma sono le più importanti.

    Le anemie si classificano in emorragiche, emolitiche o da depressione midollare. La risposta rigenerativa include policromasia da moderata a marcata, anisocitosi, poichilocitosi, presenza di eritrociti immaturi e basofilia con punteggiature. Risposte marcatamente rigenerative denotano la presenza di eritrociti binucleati, forma anomala del nucleo e attività mitotica.
Le anemie emolitiche e post emorragiche di solito dimostrano un risposta rigenerativa che dipende dalla durata dell'anemia. Le anemie da perdita ematica sono spesso causate da traumi, lesioni ulcerate, parassiti ematofagi. L'anemia emolitica è frequentemente associata con tossiemia, setticemia, parassitemia. L'anemia da depressione midollare risulta da infiammazioni croniche, malattie epatiche o renali, intossicazioni e mostra poca o nulla risposta rigenerativa.
    Eritrociti ipocromatici sono associati a carenza di ferro nella dieta o infiammazione cronica.
Un PCV >50%  nelle tartarughe marine, del 40% nelle terrestri e del 30% nelle acquatiche di solito è indice di disidratazione; comunque è anche possibile la policitemia vera.
Per quanto riguarda l’utilizzo dei parametri biochimici ricordiamo che l'acido urico è spesso utilizzato per investigare sulla presenza di patologia renale. Tuttavia non è né un parametro sensibile né specifico di malattia renale nei rettili. I normali valori plasmatici di acido urico sono inferiori a 10 mg/ dl . L' iperuricemia può essere  causata da gotta, recente ingestione di una dieta molto ricca di proteine o grave malattia renale (con perdita di funzionalità renale superiore al 75%).

    I normali valori dell' azoto ureico sono tipicamente minori di 90 mg/dl, ma alcune tartarughe marine possono avere valori  più alti, in tartarughe terrestri fortemente disidratate al risveglio dal letargo valori superiori o vicini a 200 mg/dl depongono per una prognosi infausta.

    Siccome pochi studi sono stati fatti per valutare le malattie epatiche dei rettili, gli stessi enzimi plasmatici e test biochimici utilizzati nei mammiferi, sono loro applicati. L'AST ha una elevata attività nel fegato, pur non essendo specifica per le malattie epatiche, un aumento dell'attività al di sopra di 250 UI/L può essere associato con malattia epatocellulare e muscolare ma anche con malattie generali come setticemia e tossiemia. Una attività della AST sopra 275 UI/L si ha con traumi, infezioni sistemiche, iniezioni intramuscolari e esercizio (ad esempio durante la manipolazione dell'animale). Aumenti nell'attività della lattato deidrogenasi sopra 1000 UI/L si ha con emolisi, insulti al fegato, ai muscoli scheletrici o al muscolo cardiaco.
Per la scarsità di studi specifici non sappiamo molto sulla ALP  in queste specie, comunque un aumento dell'attività (valore normale inferiore a 100U/l ) potrebbe riflettere attività osteoblastica e non malattia epatica.
    Aumenti della biliverdinemia potrebbero indicare malattia epatica ma molti laboratori non testano per la biliverdina. Un plasma verdastro suggerisce iperbiliverdinemia e grave malattia epatica. Il valore delle PT(metodo del biureto) va di solito da 3 a 7 g/dl. Femmine sane presentano iperproteinemia (soprattutto iperglobulinemia) durante la follicologenesi attiva e la concentrazione delle proteine ritorna nella norma dopo l'ovulazione.
    Aumenti patologici delle proteine si hanno nella disidratazione e l’iperglobulinemia è associata a infiammazione cronica.
    La concentrazione normale di glucosio va dai 60 ai100 mg/dl, ma è soggetta a marcati cambiamenti fisiologici. In generale l'ipoglicemia si associa con inedia, malnutrizione, gravi malattie epatiche e, più comunemente setticemia. L'iperglicemia  solitamente si riscontra in seguito a un eccesso di somministrazione di glicocorticoidi o, di origine iatrogena, per eccessiva somministrazione di glucosio.
    
    La concentrazione normale di calcio nella maggioranza dei rettili va da 8 a 11 mg/dl. L'ipercalcemia (aumento da due a quattro volte il valore normale) di solito si riscontra nelle femmine in follicologenesi attiva, la concentrazione in esse torna normale dopo la deposizione delle uova. Ipocalcemia si riscontra in stati di alcalosi, ipoalbuminemia, eccesso di fosforo alimentare, iperparatiroidismo secondario nutrizionale, mancanza di adeguata esposizione alla luce ultravioletta B. Concentrazioni plasmatiche di Ca maggiori di 20 mg/dl possono capitare con una somministrazione eccessiva con la dieta o con  somministrazione parenterale di calcio e vitamina D3.
    
    La maggioranza delle tartarughe ha valori di fosforo da 1 a 5 mg/dl. Ipofosfatemia si può riscontrare nell' inedia  e nella mancanza di fosforo nella dieta. Iperfosfatemia negli eccessi dietetici di fosforo, ipervitaminosi D3 e malattie renali.

Valori normali di riferimento

 Riporto i valori di riferimento normali di Testudo hermanni e un esempio di tracciato elettroforetico nella norma delle proteine plasmatiche della stessa specie.
    
Valori ematologici normali di Testudo hermanni
PCV 25-35 %
RBC 0.36-0.80 x 106/l
HCT  19-45%
Hb      11.3 + 3.3
WBC   2.0-6.0 x 103//l
                      
Linfociti  20-60%
Eterofili   10-20%
Eosinofili 0,2 –1 ? %
Basofili   0.1-10 %
Monociti 0-3 %

Valori ematochimici normali di Testudo hermanni
Glucosio 35-100 mg/dl
BUN       30-80 mg/dl
Acido urico 2-5 ? mg/dl
Na        130-160 meq/l
K         3.2-7.8  meq/l
Cl        85-108 meq/l
P         2.1-5.9 mg/dl
Ca       7.7-14.0 mg/dl         
AST    42-150 Ui/l    
AP      50-120 g/dl
PT      2.9-6.8   g/dl
Albumine 0.8-2,3  g/dl
Globuline 1-4.8 g/dl

LDH   135-700 Ui/l
CK     1400-1700 Ui/l
Colesterolo 60-150 mg/dl
Bilirubina tot.   0.2-1 mg/dl

Questi dati sono quelli a cui, per esperienza, faccio riferimento nelle pratica. Non devono essere considerati, per l’esiguo numero e la eterogeneità dei campioni, un punto di arrivo, un riferimento certo. Se i valori si discostano molto, tuttavia, preoccupato, cerco di indagare ulteriormente. Man mano che si effettuano sempre nuovi esami i dubbi si chiariscono, sarebbe utile uno studio sistematico italiano che indaghi i valori di riferimento su questa specie cosi comune nella pratica ambulatoriale in Italia.

Tracciato :

Albumine 41%
Globuline 30%
Alfa 1 6,5%
Alfa 2 23,5 %
Beta 19,8%
Gamma 9.2 %

Sabato, 05 Luglio 2014 09:26

Le cause della piramidalizzazione

 

 

 

Tratto da www.tortoisetrust.org

Su autorizzazione dell'autore Dr. A. C . Highfield per il Tarta Club Italia
Traduzione di Filippo Stefano Dell'Aera

Quanto segue è un breve riepilogo dei maggiori risultati ottenuti nel nostro lavoro per stabilire i precisi meccanismi fisici e biologici coinvolti nella "Sindrome della Crescita Piramidale". Questo ha costituito una parte della ricerca molto complicata nonché impegnativa. Abbiamo condotto questo studio in maniera continuativa dal 1990 circa, ma dal 2004 abbiamo intensificato i nostri sforzi per trovare qualche risposta. Nel corso del progetto abbiamo condotto ampi lavori sul campo, usato tecniche di diagnostica per immagini, e condotto molteplici esami di laboratorio post-mortem sia in animali sani che in animali affetti. Ci tengo a sottolineare che in questo lavoro nessun esemplare è stato mai ucciso o ferito. Ci siamo serviti di esemplari morti per cause naturali piuttosto che per altre cause. Gli obiettivi principali sono stati guardare alle teorie concorrenti, per distinguere quelle che si basano su basi effettive da quelle basate su dati falsi e incompleti, e stabilire in conclusione gli esatti meccanismi coinvolti nel processo di "piramidalizzazione". Un ulteriore obiettivo è stato iniziare a sviluppare delle pratiche linee guida per mezzo delle quali si potrebbe attenuare o prevenire il problema.

Questo articolo in particolare è soltanto un estratto della completa ed espletiva analisi che abbiamo preparato (1) e che sarà pubblicata a breve. Questa contiene un gran numero di dati e riferenti completi. Lo scopo di questo articolo è quello di esporre brevemente le basi della ricerca in una forma facilmente accessibile e comprensibile per l'allevatore.

Due sono le teorie chiave che hanno dominato nella discussione in oggetto:

La crescita anormale è causata da dieta errata, specialmente ricca in proteine, energetica e povera di calcio.

La crescita anormale è causata da insufficiente umidità o disidratazione generale o entrambe.

Come vedremo, tutti questi fattori, giocano un ruolo cruciale.

Uno dei più grandi problemi, in quella che potremmo chiamare la "teoria dell'umidità", è stata la carenza di ogni plausibile spiegazione dal punto di vista biologico. Alcune proposte sono state avanzate, ma ci hanno richiesto di allontanarci dalla scientificamente provata fisiologia e aggrapparci ai nebulosi concetti di "disidratazione cellulare" e "collasso dei tessuti". Altre teorie simili, allo stesso modo, sono state provate essere impraticabili. Tuttavia, molti sono stati gli allevatori che hanno avuto modo di notare alcuni degli effetti legati all'umidità e in generale ai livelli di idratazione e calore. Uno dei nostri principali obiettivi della ricerca è stato cercare di capire cosa realmente accade.

La prima cosa da puntualizzare è che i cheloni sono costituiti dagli stessi tessuti di molti altri animali. Lo scheletro, sebbene differente nella forma, è esattamente identico a quello di altri animali. Alla stessa maniera, gli scuti esterni, sono composti principalmente da beta-cheratina unitamente ad alcune cellule di alpha-cheratina. Questi tessuti sono stati studiati approfonditamente. Ciò che è unico nelle testuggini (e nelle tartarughe) è il modo in cui lo scheletro racchiude l'organismo e l'ampio rivestimento di strati cheratinici. Conseguentemente, qualsiasi interruzione di ognuno di questi strati avrà una profonda conseguenza.

Se esaminiamo lo scheletro, si può notare come sia vulnerabile, alle malattie da deficienza, esattamente come quello di un cane, un cavallo o un essere umano. Non c'è nulla di singolare o di unico nel modo in cui lo scheletro di una tartaruga si sviluppa e viene sostenuto. Si tratta di un processo normale e del tutto coerente con le affermate conoscenze biologiche e nutrizionali.

Per svilupparsi normalmente, lo scheletro necessita di un approvvigionamento (trasportato dal sangue, e ottenuto dal cibo) di oligoelementi essenziali all'osso-costruzione, principalmente calcio e fosforo. Questi devono essere assunti nelle corrette quantità e proporzioni. Inoltre, al fine di trasportare questi elementi, il metabolismo della vitamina-D3 dell'animale deve funzionare correttamente. Qualsiasi inadempienza, sia della fornitura di "materie prime" o del meccanismo di trasporto(D3), si tradurrà in formazione ossea che manca di densità normale e di forza. Nei rettili, questa condizione è ampiamente nota dagli allevatori come "MBD" o Metabolic Bone Disease.

Un'ossatura che non ha un'adeguata densità è fortemente soggetta a stress fisici e deformità derivata da forze fisiche contrastanti. Questo è forse meglio conosciuto negli esseri umani come condizione chiamata "rachitismo", dove le ossa lunghe delle gambe sono incurvate e piegate da una combinazione di effetti di gravità (peso) e la spinta dei muscoli. Se esaminiamo una struttura ossea affetta da rachitismo, troviamo una condizione molto simile a quella di testuggini con MBD e con la cosiddetta "Piramidalizzazione". Invece di essere dure, sottili e compatte, le ossa appaiono fibrose, spesse e porose. Tali ossa sono estremamente facili da deformare in condizioni di stress costante. In una tartaruga, una causa di stress è quella dai muscoli (molto potenti) delle zampe. Non è inconsueto osservare, in tartarughe che soffrono di MBD o Piramidalizzazione, anche uno schiacciamento della regione pelvica. La causa di questa deformità è la tensione muscolare. Tali animali possono anche presentare un "rigonfiamento" nella parte superiore del corpo causata dall'espansione e contrazione dei polmoni e dei muscoli coinvolti in questo processo. Le ossa sono vulnerabili a questo tipo di effetti durante la fase di crescita, in quanto è nella sua forma più plastica. Più rapida è la crescita, maggiore è il rischio che queste carenze, parziali o assolute, si verifichino. Questa è una relazione ben nota e riguarda tutti gli animali e gli esseri umani. Può essere estremamente difficile ottenere una buona densità ossea in situazioni di cattività basata su dieta artificiale. Gli erbivori sono particolarmente sensibili. A règimi di crescita notevolmente accelerati, raggiungere una densità ossea normale è estremamente difficile. Infatti, a tutt' oggi, non l'ho riscontrato. Il 100% degli animali che abbiamo esaminato, che sono stati allevati su regimi di crescita elevati, presentano MBD in diverse misure, anche se non appaiono evidenti sintomi esterni.

Questo è relativamente facile da dimostrare mediante la dissezione di esemplari deceduti o attraverso la comparazione di radiografie di animali selvatici con animali cresciuti in cattività.

Qualsiasi allevatore di testuggini sa, che i neonati, appena usciti dall'uovo, hanno ossa molto morbide e flessibili. Si induriscono gradualmente nei giorni successivi, nei mesi e negli anni. Tuttavia, non sono mai completamente rigide. Continuano a essere sensibili a condizioni di stress applicate per periodi prolungati. Anche tensioni relativamente brevi, se applicate in maniera continuativa, possono avere effetti sostanziali.

Una particolarità importante in cui le tartarughe e le testuggini differiscono dagli altri animali è, come abbiamo notato, il fatto che sono in gran parte ricoperti dalla loro struttura scheletrica. Il corpo è ricoperto dall'interno da strati scudi cheratinici o "scuti". La cheratina è un materiale interessante con molte proprietà insolite. E' uno dei materiali biologici più forti e resistenti noto alla scienza. Inoltre, è igroscopico, e perde e assorbe umidità in uno sforzo per raggiungere l'equilibrio con l'ambiente. Questo effetto è noto a tutti: dopo un bagno o una doccia calda, le nostre unghia, sono morbide e flessibili. Dopo un'escursione nel deserto, sono dure e fragili.

Sia l'Alpha che la Beta Cheratina sono state studiate approfonditamente, e sappiamo bene come si comportano a differenti livelli di contenuto di umidità e in diversi livelli di umidità ambientale. Una caratteristica molto importante è il modo in cui guadagnano e perdono rigidità come risposta all'umidità esterna. Questi cambiamenti sono drammatici e possono essere misurati e quantificati. A livelli di umidità superiore all'80% gli scuti cheratinici posseggono solo una frazione della resistenza e della durabilità che hanno al livelli del 50% di umidità relativa. Tali variazioni possono essere misurate e quantificate usando criteri come quello del "Modulo di Young". A livelli sostenuti del 90-100% sono essenzialmente saturi per effetto dell'accumulo delle molecole di acqua, diventando estremamente soffici e malleabili, esercitando quasi nessuno stress sullo scheletro sottostante. Agli estremi opposti di bassi livelli di umidità, al di sotto del 25%, perdono molecole di acqua e diventano molto rigide e resistenti. A questi livelli si esercita una forza fisica notevole sull'osso sottostante. Sappiamo, dalle prove precedenti che abbiamo condotto, che molte di queste condizioni di estrema secchezza si verificano a livelli inferiori al 12%. Studi più recenti hanno anche dimostrato che direttamente sotto le lampade(che producono calore) per il basking, condizioni molto localizzate di livelli di umidità inferiori al 20% possono verificarsi immediatamente sopra la superficie degli scuti del carapace. Questo produce un profondo effetto di essiccazione, aumentando la rigidezza cheratinica, eliminando le molecole di acqua e al tempo stesso aumentando le forze di stress sullo scheletro osseo sottostante.

Ciò è di fondamentale importanza per affrontare uno dei più comuni errori da disinformazione. E' stato affermato che le giovani testuggini (per esempio, Testudo greca) trascorrono, allo stato selvatico, gran parte del tempo in microclimi umidi dove le condizioni ambientali si attestano sul 90-100% di umidità relativa. Questo è completamente falso. Una parte del nostro studio è consistita nella rilevazione di migliaia di misurazioni negli habitat naturali per stabilire le effettive condizioni sperimentate. La nostra metodologia ha comportato l'utilizzo di mini registratori automatici capaci di registrare temperature e umidità con un elevato livello di precisione. Abbiamo preso le registrazioni nel corso di un ciclo completo di 12 mesi in numerosi habitat chiave. Abbiamo anche attaccato dei loggers (misuratori) ai carapaci delle testuggini e recuperato in un secondo momento per raccogliere i dati. In totale abbiamo raccolto 18.000 dati specificando solo l'umidità. Quello che abbiamo scoperto – in breve - è che le tartarughe giovani non trascorrono la loro vita a livelli di umidità sostanzialmente differenti rispetto agli adulti. Mentre è perfettamente vero che le tartarughe fanno largo uso di microclimi selezionati, i livelli registrati in questi erano nel range di 34-60% di umidità relativa. Le uniche occasioni in cui l'umidità supera il 90% sono state registrate durante piogge e temporali. Negli ambienti semi-aridi di Almeria e Murcia (che sono molto simili a quelli del nord Africa), le precipitazioni sono sporadiche anche i periodi di picco di attività delle testuggini. In totale, abbiamo riscontrato che le tartarughe sono esposte a livelli di umidità che potrebbe definire "alto" (80%>)solo per il 2% del tempo totale registrato. Durante la ricerca di cibo, l'umidità può anche essere inferiore al 20%, ma a questo segue il ritiro delle testuggini in microclimi vegetativi dove l' umidità si attesta nella media del 45-50%. Le misurazioni sono state prese da tartarughe in tutte le fasi di attività comprese quelle interrate nei rifugi. Questi dati sono in linea con le misurazioni prese precedentemente (anche se non dettagliatamente) in Marocco, Turchia e Tunisia. Altri ricercatori hanno anche condotto estese rilevazioni di dati sui livelli di umidità nei cunicoli utilizzati dalla "Tartaruga del Deserto", in Nord-America. Questi dati non hanno rivelato la benché minima prova della disponibilità di nascondigli "umidi" capaci di offrire un'umidità relativa del 90-100%. Infatti, i livelli nelle regioni aride dell'Arizona occupata da Gopherus agassizii, sono addirittura inferiori a quelli che abbiamo registrato in Almeria e Murcia. Se davvero (come si sostiene) il motivo principale per cui le tartarughe selvatiche in regioni aride non soffrono di "Piramidalizzazione" perché utilizzano molto rifugi e macchie di vegetazione con livelli del 90-100% di umidità relativa, allora tutte le nostre locali Testudo graeca graeca in Spagna dovrebbero essere tutte deformi in quanto non esistono, qui, simili condizioni. Si tratta di un habitat semi-arido con livelli di precipitazioni tra i più bassi in Europa, con una precipitazione media di 226 mm all'anno ( il Regno Unito ne riceve quasi 600 mm).

Vorrei esortare tutti coloro che allevano testuggini ad utilizzare estrema cautela nell'affidarsi a dati sulle medie dell'umidità relativa negli habitat delle tartarughe estrapolati dai siti web climatici. Potrebbero dare un'impressione molto fuorviante. Gli unici dati significativi e affidabili sono quelli rilevati al livello del suolo occupato dalle testuggini (non a molti metri da terra) e nei precisi microclimi utilizzati. Ci sono enormi differenze di temperatura e umidità a varie altitudini, e anche dall'entroterra alle zone costiere le condizioni possono variare in maniera sostanziale. Le tartarughe tendono ad occupare biotipi molto circoscritti e precisi. Questo è da prendere in considerazione se si considerano i dati climatici. Dati basati sulle medie di tutti gli habitat all'interno di una regione o un paese rischiano di essere completamente fuorvianti e inappropriati.

C'è un altro aspetto importante della cheratina che influisce sullo stress fisico dello scheletro e le modalità con cui prolifera nei cheloni. Ci sono due modi principali. Le tartarughe soltanto hanno una modalità di proliferazione delle cellule in cui il nuovo materiale cellulare si deposita sui bordi degli scuti, causando il ben noto effetto di "anello d'albero".

La maggior parte delle tartarughe acquatiche (non tutte) hanno una diversa modalità, in cui la crescita avviene soltanto sul piano orizzontale, con le nuove cellule che crescono anche sotto il vecchio materiale. Molte specie di tartarughe acquatiche non presentano " gli anelli di accrescimento) proprio per questo motivo. Infine, gli scuti più vecchi cadono (di solito interamente) per essere sostituiti da quelli nuovi e più grandi. Nelle tartarughe terrestri, la perdita degli scuti non avviene. La cheratina si accresce in maniera verticale, continuamente.

Questo sistema di accrescimento delle cellule estensivo e verticale crea sullo scheletro una forza verso l'alto. Dove c'è presenza di un qualsiasi grado di MBD, l'effetto sarà sostanziale. L'osso tenderà a conformarsi al modello di crescita degli scuti. Questo è il principale meccanismo coinvolto nella sindrome della crescita "piramidale" e il motivo principale per cui ciò non avviene nelle tartarughe acquatiche che lasciano cadere interamente gli scuti. Questi effetti sono ulteriormente amplificati quando si verificano alcune condizioni:

Quando la cheratina è eccessivamente rigida a causa della bassa percentuale di umidità.

Quando la cheratina è innaturalmente addensata.

La cheratina ispessita, per maggiore proliferazione, è una caratteristica comune in ogni grave forma di piramidalizzazione osservata fino ad oggi. Spesso può essere diagnosticata confrontando il colore della cheratina con un esemplare sano selvatico. Nei casi di maggiore proliferazione, di solito è molto più spessa e molto più scura. Questi animali tendono ad avere le stesse modalità di allevamento. Nella maggior parte dei casi, sono cresciuti in terrari, sotto lampade di calore, spesso privi di un'adeguata assunzione di liquidi. Abbiamo già notato come nei terrari, i livelli di umidità ambientale restano estremamente bassi, anche più dei valori registrati negli habitat più aridi. Gli effetti delle lampade riscaldanti su una testuggine non sono stati adeguatamente analizzati, ma certamente hanno una notevole influenza nella disidratazione. Tartarughe tenute in tali condizioni, inoltre, tendono ad avere altri problemi di saluti legati alla disidratazione: calcoli alla vescica, gotta e insufficienza renale. Tutte queste conseguenze sono associate a un'idratazione non ottimale.

Un effetto molto interessante è stato dimostrato in prove di laboratorio con i cheloni.

Quando sono soggetti a lunghi periodi di disidratazione, la pelle si ispessisce nel tentativo di ridurre l'evaporazione cutanea. Questo colpisce la pelle degli arti e in particolare la proliferazione di beta-cheratina che comprende gli scuti. Quando l'animale è sottoposto a disidratazione, la crescita degli scuti si accelera, diventando sempre più spessi. La crescita delle ossa non accelera, però, allo stesso ritmo, producendo un differenziale importante. Questa cheratina, secca e ispessita, comincia ad esercitare una forza enorme sullo scheletro (che di solito in questi animali ha una densità molto scarsa). Questo è un altro motivo molto importante per cui si tende a vedere animali particolarmente e gravemente deformati quando sono stati allevati in condizioni di umidità non ottimali. Dove la crescita accelerata ( e tipicamente MBD) incontra pericolosamente bassi livelli di umidità, si creano le condizioni per la produzione di grossolane distorsioni del carapace a causa dello stressante conflitto fisico della tensione muscolare e la tensione derivante dalla eccessiva proliferazione delle placche cheratiniche.

Un altro fattore importante è che nelle testuggini selvatiche l'eccesso di cheratina in eccesso è continuamente sottoposto ad abrasione e usura nel corso della loro esistenza. Diversamente dalle tartarughe acquatiche, non si liberano del vecchio stato cheratinico. Sono abrase dalla vegetazione, dall'impatto con le rocce, da particelle di sabbia trasportate dal vento, dai costanti interramenti. Anche quando sono il letargo o in estivazione, non sono mai immobili. Si muovono, circondate da particelle altamente abrasive nel terreno. Inoltre, i micro-organismi nel terreno consumano a poco a poco la superficie esterna degli scuti. In questo modo, sono soggetti a continuo logoramento (e conseguente assottigliamento). Nella stragrande maggioranza delle situazioni in cattività ( e soprattutto nell'allevamento indoor) questo fattore è del tutto trascurato da parte degli allevatori. Ne risulta che la cheratina continua ad accumularsi anche in situazioni in cui l'umidità non è un problema. Dove è presente anche bassa umidità, l'effetto è accentuato.

Più spessa (e più secca) è la cheratina, peggiore è la piramidalizzazione. Questo non è solo conseguenza dello strato di cheratina in sé, ma anche del suo potente effetto fisico deformante sullo scheletro sottostante.

Molti allevatori hanno mitigato questi sintomi evidenti, sostanzialmente mettendo l'animale in "ammollo" ad alta umidità ambientale (di media superiore al 90%) ed ad elevate temperature per lunghi periodi. Il reale effetto di questo è semplicemente quello di ammorbidire la cheratina e ridurre le sollecitazioni. Questa tecnica non da alcun effetto nel rimediare ad eventuali MBD sottostanti ( la rende solo molto meno evidente) e in aggiunta si espone l'animale a un alto rischio di infezioni fungine o batteriche. La cheratina morbida e umida è altamente vulnerabile a tali organismi. Manca l'integrità strutturale e si danneggia facilmente. Anche se la piramidalizzazione potrebbe essere ridotta o eliminata mediante queste misure estreme, non è una soluzione soddisfacente. Si tratta di una soluzione artificiale a un problema del tutto artificiale.

Se il metodo di allevamento proposto ci impone di ricorrere a condizioni del tutto innaturali (esposizione prolungata maggiore al 90% di umidità relativa per tartarughe degli habitat aridi) per risolvere un problema creato da altre condizioni del tutto innaturali (umidità sub-ottimale, disidratazione, e tassi di crescita in eccesso con conseguente scarsa densità ossea), farebbe pensare che qualcosa è seriamente errato. E' di gran lunga preferibile affrontare le questioni fondamentali da cui discendono tali problemi piuttosto che concentrarsi soltanto sul tentativo di sopprimere i sintomi più evidenti, che è l'unico risultato di tali metodi.

In questo caso, le questioni che devono essere affrontate sono:

Ottenere una crescita in cui la densità ossea risulti paragonabile a quella di esemplari selvatici sani. Questo dovrebbe essere testato con radiografie di routine. Con l'ottenimento di una sana densità ossea, viene raggiunta anche la massima resistenza alla conseguente deformità.

Assicurare che gli ambienti in cattività forniscano i giusti parametri sia di temperatura che di umidità. I parametri sicuri e appropriati dovrebbero essere definiti con riferimento ai reali dati registrati negli habitat naturali della specie in questione e non con supposizioni o con riferimenti alle medie generali climatiche inadeguate e spesso fuorvianti.

Riguardare le strutture di cattività in modo da sviluppare metodi che consentano una naturale usura della cheratina che forma il carapace, evitandone così un continuo accumulo.

E' un'impresa difficile riuscire a soddisfare queste esigenze. E' chiaro che la progettazione di habitat in cattività deve essere migliorata. Le lampade di calore effettivamente sono di notevole aiuto, però da questo studio è anche chiaro che possono avere dei seri effetti negativi. Ottenere sicuri livelli di umidità ambientale non è affatto facile per chi alleva testuggini al di fuori dei loro habitat naturali, affidandosi a strutture artificiali. Ottenere una buona densità ossea e tassi di crescita sostenibile sana è molto difficile in situazioni di cattività. Le testuggini allo stato selvatico hanno cicli di attività e di alimentazione, con lunghi periodi di inattività e di digiuno. La natura stessa della loro assunzione varia anche stagionalmente, soprattutto in termini di umidità e di contenuto di fibre. Le soluzioni pratiche a questi problemi non sono oltre il limite del possibile e, tuttavia, rappresenteranno un importante passo in avanti nell'allevamento dei cheloni. Questo è particolarmente importante nell'allevamento di conservazione delle specie o per la moltiplicazione di quelle altamente minacciate. E' estremamente importante che ad animali compromessi siano evitati tali situazioni.

RINGRAZIAMENTI

Vorrei esprimere i miei ringraziamenti a Ed Pirog per i molti dibattiti affascinanti, le discussioni e anche gli argomenti su questo tema nel corso di quasi due decenni. E' vero anche che Ed è stato persistente quanto lo sono stato io nel cercare di risolvere il problema. Ed aveva fatto alcune importanti osservazioni su questo tema, e aveva anche identificato che lo strato di cheratina, il calore, l'umidità e l'idratazione svolgono un ruolo importante in un problema che ha afflitto gli allevatori sin da quando la riproduzione è diventata normale routine. E' stato, in parte, dovuto alle osservazioni di Ed che ho deciso di esaminare il ruolo e la risposta della cheratina alle diverse condizioni ambientali il modo più dettagliato possibile, e sono queste ricerche che hanno permesso di ottenere i risultati qui presentati per la prima volta.

(1) Umidità, Crescita, Stress Fisici e Sviluppo di Anomalie del Carapace (Piramidalizzazione) nelle Testuggini: una Rassegna delle Ricerche in corso (in preparazione).

 

 

 

Efficacia dell'oxfendazole e fenbendazole contro l'oxyurids della tartaruga (Testudo hermanni)


Autori : S. Giannetto & E. Brianti & G. Poglayen & C. Sorgi & G. Capelli & M. G. Pennisi & G. Coci

Articolo tradotto da Maddalena Marconi, con l’autorizzazione della Dott.ssa M. G. Pennisi.

S. Giannetto,  E. Brianti,  C. Sorgi
Dipartimento di Sanità Pubblica Veterinaria,
Facoltà di Medicina Veterinaria,
Università degli Studi di Messina,

G. Capelli
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie,

M. G. Pennisi, G. Coci
Dipartimento di Scienze Mediche Veterinarie,
Facoltà di Medicina Veterinaria,
Università degli Studi di Messina,

G. Poglayen
Dipartimento di Sanità Pubblica e Patologia Animale,
Università degli Studi di Bologna

Sommario: 36 tartarughe (Testudo hermanni) infette da oxyurids acquisito in natura sono state utilizzate per valutare l’efficacia antielmintica dell’oxfendazole (Dolthene ; Merial) e fenbendazole (Panacur; Hoechst Roussel Vet). Gli animali sono stati assegnati casualmente a tre gruppi ( A, B, e C) basandosi su sesso e peso. Gli animali nel gruppo A (7 maschi e 6 femmine) sono stati sottoposti ad un trattamento per via orale con una dose di 66 mg/kg di oxfendazole, gli animali del gruppo B sono stati sottoposti ad un trattamento orale di fenbendazole da una dose di 100 mg/kg e gli animali del gruppo C (tre maschi e tre femmine) non sono stati sottoposti ad alcun trattamento e sono serviti in funzione di controllo. Tutti gli animali sono stati sistemati ciascuno in scatole di plexiglass con condizioni controllate di temperatura, umidità e luce a partire dal 7° giorno prima del trattamento continuando per tutta la durata dell’esperimento.
Le feci di ciascuna tartaruga sono state esaminate quotidianamente con la tecnica McMaster e l’efficacia delle sostanze è stata valutata  con la prova della riduzione del numero delle uova fecali (FECR).Entrambe le sostanze hanno dimostrato il 100% di FECR. Tuttavia, l’oxfendazole ha raggiunto questo livello 12 giorni dopo il trattamento, mentre, per ottenere lo stesso risultato stabile con il fenbendazole, sono stati necessari 31 giorni dopo il trattamento. Le due sostanze sono state ben tollerate da tutti gli animali e dopo il trattamento non è stata osservata alcuna reazione avversa.

Introduzione

Le tartarughe sono una new entry nel mondo degli animali domestici. Nonostante la recente relazione del CDC (2003) abbia scoraggiato la considerazione delle tartarughe come animali domestici, la presenza di questo “fossile vivente” ha favorito il cambio del suo ruolo nella società umana moderna da animale “ornamentale” da giardino ad animale domestico non convenzionale che vive dentro le nostre case. La poca conoscenza veterinaria sulle tartarughe e le specie fisiologiche di questi rettili diverse dai mammiferi crea difficoltà nel trattamento di molte malattie. Per esempio, la maggior parte degli attuali protocolli contro i vermi per tartarughe provenienti dalle esperienze delle medicine su cani e gatti dimostra tutte le difficoltà aspettate in questo semplice transfer di conoscenza senza un esame profondo.(Claussen e Fortsner 1981; Teare e Bush 1983; altri 1999) Lo scopo di questo studio è quello di valutare e paragonare l’efficacia antielmintica di due sostanze di uso comune nelle tartarughe, l’oxfendazole e fenbendazole (Holt e Lawrence 1982; Brogard 1987;Highfield 1990; Frye 2001 Gabrisch e Zwart 2001) utilizzando una prova di protocollo scientifica (Coles e al. 1992) appositamente adattata alle tartarughe.

Materiali e metodi

Indagine parassitologia preliminare
Al fine di acquisire una migliore conoscenza parassitologia sui parassiti delle tartarughe e di valutare l’esito della tecnica McMaster come strumento per la diagnosi dell’infezione di parassiti nelle tartarughe, è stata condotta un’indagine preliminare parassitologia su 24 carcasse di Testudo hermanni. Questi animali morti al centro di unità di riabilitazione Vita selvaggia di Catania sono stati necrosezionati secondo Cooper (1992) e l’intero tratto digestivo isolato ed esaminato per la presenza di parassiti con la tecnica del numero totale dei vermi (TWC) descritta come segue.
Lo stomaco e l’intestino suddivisi in piccoli pezzi sono stati aperti longitudinalmente. I pezzi sono stati poi immersi in un catino parzialmente coperto con acqua del rubinetto per 30 minuti , sbattuti e la mucosa strisciata tra due dita premute. Anche la superficie della mucosa è stata scalfita con un vetrino del microscopio. I materiali ottenuti in questa maniera sono stati lasciati sedimentare e poi lavati fino a quando il supernatante fosse chiaro. Usando un microscopio per dissezione (a x25 ingrandimenti) il precipitato è stato esaminato per la presenza di parassiti in piccole porzioni in dischetti rotondi di plastica. Qualsiasi parassita presente durante questa procedura è stato immagazzinato nel 70% di alcol e identificato secondo le chiavi di Petter (1961, 1962) e Johnson (1973). Materiale fecale presente nel colon e retto degli animali necrosezionati  è stato raccolto ed esaminato per la presenza di uova di parassiti da una tecnica modificata McMaster utilizzando 1 g di feci e 14 ml di soluzione di nitrato di sodio di 1.30 di gravità specifica con una sospensione di 50 uova al grammo (epg) Euzeby 1981). Il risultato della tecnica McMaster è stato valutato paragonando i risultati di questa tecnica con quelli ottenuti dalla tecnica TWC.

Reclutamento degli animali

Dopo l’indagine parassitologia preliminare 36 tartarughe 19 maschi e 17 femmine provenienti dal dipartimento delle scienze veterinarie mediche di Messina (nove animali) e il centro di riabilitazione vita selvaggia di Catania (27 animali) sono stati reclutati per la prova terapica.
Tutti gli esemplari erano positivi alle uova di oxyurids grazie alla tecnica McMaster modificata. Per minimizzare l’errore sistematico dovuto alla fluttuazione nella perdita delle uova sono stati coinvolti nello studio soltanto animali con un continuo spargimento di uova di oxyurids (7 giorni). Le tartarughe reclutate sono state anche esaminate da un punto di vista clinico, per escludere altre malattie, pesate, identificate in base al sesso e con un numero sopra il carapace .

Locazione dei gruppi e prova del trattamento

Gli animali in base al sesso, ai pesi e EPG sono stati assegnati casualmente a tre gruppi: gruppo A composto da 13 tartarughe (sette maschi e 6 femmine); gruppo B 17 tartarughe (nove maschi e 8 femmine): ed il gruppo C sei tartarughe ( tre maschi e tre femmine) (tabella 1). Le tartarughe sono state sistemate in apposite scatole di plexiglass (70x50 cm) in una stanza dove la temperatura e l’umidità relativa sono state controllate artificialmente e stabilizzate rispettivamente a 28°-30° gradi e 70/ 80%. L’illuminazione della stanza è stata assicurata da un neon UVB con 12 ore di luce e 12 ore di notte. Ciascun animale è stato nutrito a volontà con frutta e verdure e acclimatato nella stanza 7 giorni prima dell’inizio dell’esperimento. Le scatole delle tartarughe sono state ripulite ogni giorno da feci e cibo. Nel giorno 0 gli animali del gruppo A sono stati trattati con oxfendazole (Dolthene; Merial) con la dose di 66 mg/kg, gli animali del gruppo B sono stati trattati con fenbendazole (Panacur, Hoechst Roussel Vet) con la dose di 100 mg/kg, mentre gli animali del gruppo C non subirono alcun trattamento e sono stati considerati da controllo. Le sostanze sono state somministrate oralmente tramite un tubicino nello stomaco della stessa lunghezza della distanza tra la bocca e metà del piastrone. Dal giorno 0 fino al 40 dopo il trattamento è stato monitorato il numero delle uova fecali nelle feci raccolte da ogni esemplare utilizzato nello studio usando la tecnica Mcmaster modificata e le uova sparse sono state espresse come EPG.

Efficacia  antielmintica e analisi dei dati


L’efficacia antielmintica delle due sostanze è stata valutata come FECR utilizzando la formula proposta da Coles (1992) FECR = 100 1- (Xt /  XC ) dove Xt e Xc sono rispettivamente la media aritmetica di EPG nei gruppi trattati (t) e di controllo (c). I valori del significato di EPG dei tre gruppi dai 7 giorni prima fino a 40 giorni dopo il trattamento sono stati paragonati da onera ANOVA, usando il test Tukey per il confronto saggio del paio. L’analisi statistica è stata mostrata usando il software SPSS 12.01 per Windows e p inferiore a 0.05 è stato usato per indicare il significato statistico.

Risultati

L’indagine parassitologia preliminare: tutte e 24 le tartarughe esaminate con la tecnica TWC avevano uno o più elminti intestinali con intensità differente. In totale sono stati identificati 8 specie di oxyurids: Tachygonetria conica, Tachygonetria dentata, Tachygonetria robusta, Tachygonetria macrolaimus, Mehdiella stylosa, Mehdiella uncinata, Thaparia thapari e Atractis dactyluris.
Eccetto per il A. dactyluris che è una specie vivipara, la tecnica Mcmaster modificata è stata sempre capace di eliminare l’infezione da oxyurids ma senza specificità tra le specie. Negli animali necrosezionati non è stato isolato alcun altro parassita.

Efficacia antielmintica

Le tartarughe dei tre gruppi hanno mostrato livelli similari di confini parassitari basati sui valori EPG tra il giorno 7 e il giorno 0 (Fig.1)  Dopo il trattamento si è visto una diminuzione nell’EPG in entrambi i gruppi trattati tra gli 11 e 13 giorni dopo il trattamento. Questa riduzione è apparsa meno stabile nel gruppo trattato con fenbendazole (gruppo B), dove l’EPG dei tre gruppi nei 7 giorni prima del trattamento non era significativamente differente. Mentre dopo il 12 giorno di trattamento sono state registrate delle differenze statistiche significative tra il principale EPG degli animali trattati da quelli degli animali non trattati. L’emissione del principale EPG tra i due gruppi trattati non è mai stata significativa da un punto di vista statistico. Alti livelli di efficacia come indicata da FECR sono stati visti in entrambi i gruppi trattati (fig.2). Nel gruppo trattato con oxfendazole (gruppo A) il FECR raggiunse il 95% nel 12° giorno e non ha mostrato variazioni marcate fino alla fine dell’esperimento. (Fig.2). Nel gruppo trattato con fenbendazole (gruppo B) il FECR ha raggiunto il massimo con 95% dal 14 giorno dopo il trattamento fino al giorno 21, ma è stato variabile dal 22 al 31 giorno e alla fine è rimasto stabile (100%) dopo il 32 giorno fino al termine dell’esperimento (Fig. 2). Non sono state osservate reazioni avverse negli animali dopo i trattamenti e durante tutto il periodo dell’esperimento.

Discussione

I risultati di questa indagine preliminare parassitologia ci ha permesso di identificare 8 specie di oxyuridis nella Testudo hermanni. Non è stato riconosciuto alcun agente zoonotico. Tra le 8 specie identificate. Inoltre, 5 di queste ( T.dentata, T. robusta, T. macrolaimus. M. stylosa e Tharapia thapari) sono state scoperte per la prima volta in T. hermanni allevate in Italia (traversa et al. 2005) come riportato e discusso negli studi precedenti (Setter 1966; Capelli et al. 1998; Traversa et al. 2002) oxyuridis sono confermati essere i più diffusi nematodi nell’adulto di t. hermanni.
La tecnica modificata McMaster ha mostrato una buona performance come mezzo quantitativo coprologico.
Tuttavia l’alto stato patologico e mortalità riconosciuta nei parassiti (Rideout et al 1987) e l’incapacità nell’eliminare l’infezione atractids con la  tecnica Mcmaster ha accentuato l’importanza di un esame parallelo per i parassiti grazie a tecniche qualitative (es. galleggiamento, Baermann ) e quantitative. La prova terapeutica effettuata ci ha consentito di valutare l’efficacia in termini di FECR di oxfendazole e fenbendazole contro l’oxyuridis delle tartarughe. Un 100% di FECR è stato osservato in entrambe le sostanze, ma l’oxfendazole si è dimostrato reagire più velocemente – raggiungendo valori più altri e più stabili dopo 12 giorni. Mentre non è accaduto questo per le tartarughe trattate con fenbendazole, che non hanno raggiunto questo livello di riduzione se non al 31 giorno di trattamento. Poiché entrambe le sostanze fanno parte della stessa famiglia (benzimidazole – methylcarbamates), il tempo più corto registrato per l’oxfendazole, per raggiungere l’effetto antielmintico, ha potuto riflettere la capacità delle tartarughe di metabolizzare più velocemente questa sostanza nella sua forma attiva. Comunque una conoscenza più approfondita della relazione tartarughe/parassiti e lo studio del benzimidazole farmacocinetici in questi animali potrebbe portare ad una interpretazione migliore della fluttuazione osservata nella produzione delle uova ed il lungo periodo necessario ad ottenere lo scopo terapeutico. Il lungo periodo necessario dopo il trattamento per ottenere una riduzione significativa nel numero delle uova ci ha portato a considerare la richiesta di un sconfinamento di almeno 14 giorni per le tartarughe trattate. Questo è importante, quando gli animali trattati devono essere introdotti in un recinto o in un cortile  con altre tartarughe senza parassiti. La capacità dell’oxyurids di resistere al periodo del letargo probabilmente ad uno stadio di larva era già nota da prima (Dubinina 1949; Capelli 1998). Inoltre si è osservato un aumento dell’oxyuridis delle uova nelle feci dopo il letargo specialmente nei giovani esemplari. (Cappelli 1998). Queste considerazioni assieme alla richiesta di un metabolismo più attivo delle tartarughe per assicurare un migliore effetto delle sostanza ed eliminare il fenomeno della tossicità suggeriscono che la stagione calda è il periodo migliore per combattere i vermi  nelle  le tartarughe.
I nostri risultati non giustificano un secondo trattamento dopo 15 giorni come riportato da altri autori (Holt e Lawrence 1982; Brogard 1987; Page e Mautino 1991; Frye 1991; Klingenberg 1993; McArthur 1996; Gabrish e Zwart 2001). Un grazie al prof. Thomas Klei (scuola veterinaria dell’uiniversità della Louisiana)  per la lettura critica del manoscritto ed a tutti i volontari dell’unita riabilitativa vita selvaggia di Catania . Gli autori dichiarano che gli esperimenti sono stati fatti secondo le leggi del paese, in cui sono stati eseguiti.

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Capelli G, Borsato E, Stancampiano L, Bozzolan G, Pietrobelli M
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