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Sabato, 05 Luglio 2014 09:19

Sviluppo osseo adeguato

Esortazione ad uno sviluppo osseo adeguato


Tratto da tortoisetrust.org
Su autorizzazione dell'autore Dr. Andy. C . Highfield per il Tarta Club Italia
Traduzione a cura della socia TCI "Lisa Rossi"

Questa testuggine presenta una deformità del carapace causata da una quantità inadeguata di calcio e/o di D3. Questo è un problema del tutto evitabile.
L'ottenimento di una crescita perfetta e naturale nelle testuggini e nelle testuggini palustri è una sfida multi-fattoriale. Se l'allevatore vuole ottenere questo deve bilanciare molti aspetti divergenti di una dieta con fattori (ambientali) estranei. Non esiste una soluzione rapida o un metodo ABC garantito che possa produrre risultati affidabili in qualsiasi circostanza. Invece è vitale che gli allevatori capiscano i meccanismi di base coinvolti. In questo studio analizzeremo uno alla volta i vari punti critici nello sviluppare una crescita salutare e naturale e discuteremo brevemente il modo più efficace per applicare la teoria alla pratica.

Inizieremo col studiare il calcio e l'integrazione di calcio.

In natura le testuggini si procurano il proprio fabbisogno di calcio in vari modi. La maggior parte del loro fabbisogno è solitamente ottenuto dal consumo di vegetazione ricca di calcio. Questa vegetazione cresce già di suo su terreni ricchi di calcio, una situazione che porta alla crescita di piante loro stesse ricche di questo minerale. Inoltre le tartarughe ottengono del calcio aggiuntivo dal consumo accidentale di particelle di sabbia/terriccio mentre mangiano e dalla ricerca deliberata di prodotti ricchi di calcio nel loro ambiente come i gusci delle lumache o le ossa sbiancate dal sole. Sorprendentemente persino gli ambienti desertici hanno spesso una popolazione estremamente numerosa di lumache e non è insolito trovare letteralmente centinaia di lumache per metro quadro in estivazione e migliaia di particelle di gusci rotti nella stessa area. Le tartarughe sono state osservate mentre le cercavano e le consumavano con entusiasmo. Esse forniscono una risorsa di questo minerale vitale concentrata e immediatamente assorbibile.
Nella maggior parte delle situazioni in cattività il contenuto lordo di calcio nella dieta si avvicina raramente, se non mai, a quello delle diete selvatiche e il rapporto calcio- fosforo delle diete in cattività è nel complesso solitamente anche di molto inferiore a quelle in natura. Alcuni esempi tipici includono Plantago sp., con rapporto Ca:P di oltre 20:1 e Opuntia sp., in cui il rapporto Ca:P può raggiungere 78:1. Le diete tipiche adottate da molti allevatori, fondate sulle insalate e la frutta in commercio spesso contengono poco calcio e un eccesso di fosforo.

Opuntia cacti - una pianta tipicamente ricca di calcio con un altissimo rapporto Ca:P. Se allevate testuggini varrebbe la pena coltivare questa eccellente risorsa di cibo. Se riusciamo a farlo in Galles, UK, ci si può riuscire quasi ovunque.


Questo problema può essere affrontato in due modi:
1) selezionando attentamente diete che includano prodotti con un alto rapporto Ca:P ed escludendo il regolare assorbimento di quelli con rapporto Ca:P inverso;
2) Usando prudentemente gli integratori di calcio.
In pratica è raccomandabile una combinazione dei due metodi. Uno dei problemi nell'affidarsi esclusivamente ad una dieta selettiva è che molte piante che superficialmente sembrano offrire un rapporto calcio fosforo buono o positivo contengono anche prodotti chimici che impediscono l'assorbimento di calcio. Le foglie di senape, rapa, ravizzone, cavolo, bok choy, spinaci, bietola e cavolo nero appartengono tutte a questa categoria. Uno degli esempi migliori di un tale "fattore anti-nutriente" è l'acido ossalico. Un altro è l'acido fitico che si trova in alte concentrazioni nei piselli, fagioli e legumi simili. È quindi necessario selezionare le diete non solo per un contenuto lordo di calcio e un rapporto calcio-fosforo, ma anche per evitare di affidarsi a piante che contengono alti livelli di questi "anti-nutrienti". In pratica questo è abbastanza difficile da ottenere su base annuale.

Gli integratori di calcio

Il calcio può essere trasmesso in varie forme, alcune delle quali sono assorbite molto più velocemente ed efficacemente di altre. Gli integratori di calcio basati su farina di ossa non sono consigliabili a causa del loro apporto di fosforo intrinsecamente alto (24% calcio e 12% fosforo). Poiché molte diete per tartarughe sono già ricche di fosforo non è necessario né raccomandabile integrarle con dell'altro fosforo.
Secondo un recente studio sui preparati di calcio ne esistono almeno una dozzina di comuni e un centinaio di formulazioni diverse disponibili. Il carbonato di calcio è quello più diffuso; altri includono fosfato tricalcico, fosfato bicalcico, farina di ossa, calcio citrico-malico, guscio d'ostrica, calcio lattato e calcio gluconato. Questi preparati di calcio variano in molti modi. Il carbonato di calcio ha la concentrazione più alta di calcio in peso (40%), mentre il citrato di calcio ha il 21% di calcio e il fosfato di calcio ne ha l'8%. Malgrado il carbonato di calcio abbia la più alta concentrazione questo tipo di calcio è relativamente insolubile, specialmente a livello di pH neutro. Al contrario il calcio citrato, malgrado contenga la metà del calcio, è una tipologia più solubile.
Certi preparati di calcio (e.g. farina di ossa, dolomite) possono contenere contaminanti quali piombo, alluminio, arsenico, mercurio e cadmio. Delle quantità significative sono state identificate per esempio negli integratori di carbonato di calcio etichettati come guscio d'ostrica. La somministrazione cronica di questi integratori può creare un rischio inutile. La maggior parte dei preparati di calcio sono testati per una contaminazione di metalli pesanti.

In teoria un'eccessivamente alta somministrazione di calcio potrebbe interferire con l'assorbimento di altri nutrienti come ferro e zinco, comunque, nei cheloni, non siamo a conoscenza della dimostrazione di effetti simili. Altri potenziali effetti negativi della somministrazione cronica di alte dosi di calcio includono un'ipervitaminosi-D nel caso di integratori contenenti sia calcio che vitamina D. Recenti studi sugli esseri umani indicano che un incremento di calcio non aumenta il rischio di calcoli renali. Tuttavia la diminuzione di calcio nella dieta potrebbe aumentare l'escrezione urinaria di ossalato che a sua volta aumenta il rischio di calcoli renali oltre a causare problemi di sviluppo osseo.
Come regola generale il carbonato di calcio è preferibile per l'uso come integratore comune.

E' sia sicuro che efficace. La polvere di calcare è disponibile in grandi quantità ad un prezzo molto basso dai commercianti di alimenti per animali e si avvicina al carbonato di calcio per efficienza. Per le emergenze, se i comuni integratori o le polveri di calcare non sono disponibili, le pastiglie di calcio per esseri umani possono essere tritate finemente in polvere e introdotte generosamente nel cibo (si ricorda che mentre alcune pastiglie di calcio per umani possono contenere vitamina D, questa è di solito sotto forma di vitamina D2 piuttosto che della D3 richiesta dai rettili). Alcuni testi raccomandano l'uso di gusci d'uovo tritati di pollame come integratore di calcio. Se è vero che questi contengono un apporto utile di calcio (fino al 39% di Ca disponibile) e si è dimostrato in studi su esseri umani che aiutano a prevenire l'osteoporosi nei mammiferi, deve essere ricordato che per l'uso nei cheloni esistono vari potenziali inconvenienti.

Questi includono gli studi che dimostrano che tale materiale di guscio d'uovo contiene anche tracce di ormoni (con effetti imprevedibili sulle tartarughe) e che qualsiasi rimasuglio di membrana d'uovo può contenere tracce di antibiotico oltre a rappresentare una potenziale riserva di contaminazione da organismi di salmonella. Integratori di calcio derivati da gusci d'uovo per esseri umani vengono estratti e purificati sotto severe regole di laboratorio e sono ottenuti da pollame sottoposto a diete attentamente controllate. L'uso di gusci d'uovo preparati a casa da uova in commercio non è raccomandabile a causa della mancanza di controlli di qualità sull'alimentazione e della potenziale contaminazione con residui derivati dalla difficoltà di togliere tracce di membrane. L'osso di seppia è un metodo di vecchia data per fornire più calcio alle testuggini e specialmente alle testuggini palustri, poiché galleggia con facilità nell'acqua.
I principali componenti chimici dell'osso di seppia sono carbonato di calcio, cloruro di sodio, fosfato di calcio, sali di magnesio e un'abbondanza di micro-tracce di elementi. Malgrado il suo elevato contenuto di calcio lordo, l'osso di seppia è scarsamente assorbito e come tale non dovrebbe essere l'unica fonte di integrazione di calcio. Può comunque essere usato come risorsa secondaria.

Blocchi per tartarughe

Una forma di integratore di calcio spesso venduta nei negozi per animali è nota come "blocchi per tartarughe". Questi sono costituiti per la maggior parte dal Gesso di Parigi (solfato di calcio emiidrato) combinato col carbonato di calcio, spesso in una combinazione 50-50. Lo stesso Gesso di Parigi contiene del calcio quasi del tutto inutilizzabile ed è semplicemente usato per dare la forma al blocco. Quindi peso-per-peso i blocchi per tartarughe contengono 50% o meno di carbonato di calcio di cui, a sua volta, solo il 40% può essere biodisponibile. Inoltre ci sono preoccupazioni riguardo alle contaminazioni da metalli pesanti nel gesso da cui è ricavato il Gesso di Parigi. Quindi questa non è una forma di integrazione di calcio che raccomandiamo.

Raccomandazioni

Può sembrare che l'integratore di calcio più sicuro ed efficace di uso comune per testuggini in cattività sia una polvere di calcio tritata basata su carbonato di calcio e priva di fosforo, preferibilmente di una qualità in commercio, sia con o senza la vitamina D3. Al momento alcuni fornitori specializzati in vitamine ed integratori minerali per rettili offrono prodotti formulati con attenzione per fornire il miglior apporto possibile ai bisogni alimentari dei rettili rispetto agli integratori standard, come il Vionate, originariamente formulato per un uso generalizzato. Uno di questi fornitori, in Gran Bretagna, è Vetark Products i cui integratori ad elevata quantità di calcio sono adatti soprattutto a rettili erbivori. Negli Stati Uniti è raccomandato Rep-Cal come integratore di calcio e D3 privo di fosforo.

La vitamina D3

La vitamina D3 ha un ruolo fondamentale nella formazione delle ossa, permettendo al corpo di assorbire il calcio e mantenendo il giusto equilibrio di calcio e fosforo. Una testuggine potrebbe mangiare calcio tutto il giorno, ma se non ottiene una giusta quantità di vitamina D3 non sarebbe in grado di assorbirlo nel modo migliore.
In natura le tartarughe erbivore si procurano tutto il loro fabbisogno di vitamina D3 come risultato di una reazione chimica della pelle in seguito all'esposizione allo spettro solare UV-B. Si forma un composto noto come 7colesterolo deidrossidato (qualche volta abbreviato 7DCH o provitamina D). Questo a sua volta è trasformato, grazie alla temperatura, nella vitamina D vera e propria. E' vitale che siano disponibili per la buona riuscita del processo sia raggi UV-B in sufficienza che temperature adeguate. Questo è uno dei motivi per cui le nuove lampade riscaldanti a raggi UV-B (lampade a vapore di mercurio auto-regolate) sono così buone. Esse forniscono sia gli UV-B che il calore sufficiente a convertire il 7DCH in una forma che può essere infine usata dal metabolismo del calcio. Un tubo fosforescente a UV-B non ci riuscirà mai da solo. Se si usa un tubo simile, è obbligatoria un'altra fonte di calore separata. Senza un'adeguata fonte di calore, la conversione non avverrà efficacemente.
Il livello a cui dovrete usare un integratore contenente vitamina D3 cambierà a seconda di diversi fattori, il più importante quanto a nord ci si trovi e il numero di ore di esposizione alla luce naturale del sole ricevano gli animali o l'intensità di UV-B integrativi si utilizzino.
Come regola generale se vivete in una zona in cui le testuggini o le testuggini palustri vivono naturalmente e i vostri animali possono passare almeno tre o quattro ore all'aperto ai raggi solari non filtrati non avrete probabilmente bisogno di affidarvi ad integratori di D3. Un integratore di calcio dovrebbe bastare. Se vivete in una zona nuvolosa al nord dove testuggini e tartarughe palustri non vivono abitualmente o il tempo dei vostri animali all'aperto è limitato è raccomandabile che usiate un integratore regolarmente. Suggeriamo almeno tre volte a settimana al minimo. Se fornite lampade ad alta emissione di UV-B e avete impianti riscaldanti adeguati potrete affidarvi a queste per incoraggiare un'adeguata sintesi di D3, ma, personalmente, preferirei ridurre i rischi completando con integratori orali di calcio e D3 combinati almeno due volte a settimana.
Calcio e vitamina D3 non sono certamente i soli elementi richiesti per facilitare uno sviluppo osseo salutare nelle testuggini e nelle tartarughe palustri:
Magnesio: è essenziale per un adeguato assorbimento di calcio ed è un minerale importante per la matrice ossea. Ha effetti specifici sull'ormone paratiroideo che aiuta a regolare il giusto metabolismo del calcio.
Fosforo: è il secondo minerale più importante nelle ossa e forma più della metà della massa ossea. Quindi la dieta deve fornire abbastanza fosforo per sviluppare delle ossa sane. Per la maggior parte delle testuggini e delle testuggini palustri questo non è un problema visto che la maggior parte della vegetazione ne è ricca. Tuttavia quando i livelli di fosforo nel sangue sono troppo alti il corpo tende ad assorbire il calcio dalle ossa per legarsi al fosforo e facilitare la sua rimozione dal flusso sanguigno. Ne risulta che le ossa possono diventare fragili o deformate.

Anche altre microtracce di elementi sono importanti, inclusi il Manganese, lo Zinco, il Boro e lo Stronzio. Questi non potrebbero essere forniti solo con un integratore regolare di calcio o calcio con D3. Una dieta adeguata e variegata ne fornirà la maggior parte, ma anche un integratore di minerali ad ampio raggio può essere usato per assicurare che siano presenti regolarmente. Raccomanderemmo che un tale integratore venisse usato non più di una volta a settimana.

Riassumendo, per fornire il calcio di cui testuggini e testuggini palustri hanno bisogno, specialmente durante la crescita o per le femmine fecondate:

  1. Provate ad assicurare una dieta che fornisca un rapporto calcio-fosforo complessivamente positivo
  2. Non affidatevi a prodotti ricchi di ossalati, fitati o altri composti inibitori di calcio.
  3. Usate quotidianamente un integratore di calcio privo di fosforo.
  4. Considerate attentamente il bisogno di vitamina D3. Fornite un accesso ad adeguati livelli di luce solare naturale, usate un'adeguata, efficiente e correttamente installata fonte di UV-B, o fornite un integratore orale di D3 almeno 3 volte a settimana.
  5. Fornite un integratore di minerali ad ampio raggio (come Vionate) una volta a settimana.

 

 

 

Articolo del Dr.  Mattia Bielli   per il Tarta Club Italia

 

-Introduzione 

Nell’ultimo decennio la medicina erpetologica ha saputo fare passi da gigante ampliando le sue conoscenze in molti settori.

Sebbene in alcuni casi esistano ancora molte difficoltà nel giungere ad una diagnosi definitiva, possiamo oggi contare sulla possibilità di eseguire esami accessori in maniera simile a quanto avviene in medicina umana e veterinaria per altre specie animali.

Scopo di questa relazione è quello di illustrare brevemente le principali tecniche diagnostiche di cui il clinico di volta in volta si avvale per pervenire alla diagnosi; dal momento che alcune parti verranno in seguito approfondite dai colleghi che relazioneranno in seguito, alcune tecniche vengono solamente accennate.

 

Foto 01 Scorcio di un laboratorio veterinario

La clinica nei cheloni 

-Esame clinico

Frequentemente i possessori di testuggini richiedono consigli per telefono o via posta elettronica e talvolta è possibile inquadrare il caso e fornire indicazioni che possano tranquillizzare ma solo raramente è possibile risolvere il problema e le cause che l’hanno determinato.

Foto 02 Esame clinico

Nonostante lo sviluppo di sempre nuove tecniche diagnostiche l’esame clinico rappresenta ancor oggi la base dell’accertamento dello stato di salute per ogni animale ed è quindi indispensabile poter condurre un esame accurato secondo metodologie non diverse da quanto applicabile per altre specie.

Raramente il solo esame clinico consente di poter formulare una diagnosi ma fornisce gli elementi necessari per contestualizzare il caso e orienta il clinico all’uso delle tecniche diagnostiche più appropriate.

 

-Esami del sangue

Gli esami che è possibile eseguire sul sangue (e i suoi derivati, siero, plasma…) sono molteplici ed è possibile dividerli schematicamente in quattro gruppi principali:

Foto 03 Striscio di sangue al microscopio

-Emocromocitometria

Prevede la conta e la misurazione delle dimensioni dei globuli rossi, la conta di globuli bianchi e piastrine, del contenuto di emoglobina; altri parametri misurabili (Fibrinogeno,VES…) trovano al momento attuale scarso impiego nella medicina dei rettili.

-Ematobiochimica

Si tratta della misurazione di diverse sostanze chimiche presenti in vari tessuti dell’organismo e rintracciabili nel plasma (talvolta nel siero) sanguigno; valori che deviano dagli standard per una data specie indicano il malfunzionamento di organi o apparati.

-Diagnostica di malattie infettive  (vedi Microbiologia)

Per quanto sia possibile visualizzare direttamente nel sangue elementi quali batteri (liberi o all’interno di globuli bianchi), si tratta in genere di indagini sierologiche che permettono, con tecniche diverse, di rintracciare indirettamente la presenza di agenti infettivi.

-Citologia (vedi)

Valutando citologicamente uno striscio di sangue è possibile in primo luogo visualizzare parassiti ematici, sia liberi che inclusi nelle cellule ematiche (globuli rossi e bianchi).

L’esame delle singole costituenti del sangue permette inoltre di acquisire importanti informazioni e in particolar modo la citologia dei globuli bianchi riflette la reattività del sistema immunitario ed emopoietico.

 

Nella pratica clinica gli approcci sono spesso diversi ma a mio avviso un esame emocromo e la citologia di uno striscio ematico risultano indispensabili e fanno parte integrante di una qualsiasi visita di routine.

A seconda della progressione dell’iter diagnostico si sceglierà poi se comprendere ulteriori parametri o se ripetere la misurazione di quelli già effettuati.

Sia i parametri di emocitometria che quelli ematobiochimici sono influenzati da numerosi fattori, allo stesso modo di quanto avviene in specie diverse (sesso, età, stato riproduttivo..); in aggiunta, nei Rettili, esistono variazioni di tipo stagionale delle quali è opportuno tener conto nel momento della valutazione dei risultati ottenuti.

 

-Citologia

L’esame citologico è un esame che viene condotto al microscopio ottico e consente di valutare le singole cellule e altre entità come particelle, batteri… in un qualsiasi materiale prelevato con modalità e da sedi diverse e opportunamente trattato (con fissativi e coloranti).

Esempi tipici sono l’esame di fluidi raccolti nel cavo peritoneale (ma anche delle urine o del muco), da qualsiasi ferita sulla superficie esterna, così come campioni ottenuti aspirando con l’ago di una siringa i tessuti in profondità.

Foto 04 Vetrini allestiti per l’esame istologico

L’esame citologico del lavaggio di trachea e grossi bronchi risulta particolarmente utile per l’indagine di malattie respiratorie mentre un esame citologico dell’epitelio linguale può mettere in evidenza dei corpi inclusi nelle cellule consentendo una diagnosi di infezione da herpesvirus.

Anche un esame delle feci può comprendere una valutazione citologica permettendo di evidenziare elementi (parassiti unicellulari, cellule del sangue…) che possono sfuggire ad un normale esame microscopico.

Si tratta di un esame semplice e rapido che in talune circostanze permette di indirizzare prontamente l’iter diagnostico da seguire.

 

-Esame delle urine

E’ un esame che nei rettili pone alcune difficoltà di esecuzione e di interpretazione, di conseguenza trova un’applicazione limitata come esame di routine.

Il principale problema è costituito dalla peculiare fisiologia della vescica urinaria nei Cheloni in cui esiste la possibilità di riassorbimento di liquidi e di sostanze disciolte non che la contaminazione da parte di materiale fecale.

Oltre a valutarne i parametri fisici, nelle urine è importante ricercare cellule (della parete della vescica, del sangue…), sedimenti (cristalli, materiale amorfo), parassiti, batteri e spore di miceti (Hexamita sp., Candida sp.).

L’esame di alcune sostanze chimiche presenti nelle urine trova inoltre importanti indicazioni nella diagnosi di insufficienza renale.

 

-Parassitologia

I parassiti in grado di affliggere i Cheloni sono, come per la maggior parte delle specie, classificabili in esterni, gastroenterici, delle vie urinarie ed ematici.

Il riscontro di parassiti esterni è piuttosto raro in animali allevati in Europa ma non in quelli di recente importazione da paesi tropicali.

Il loro ruolo patogeno diretto non è particolarmente importante ma è possibile che fungano da veicolo per virus, batteri e altri microrganismi.

Foto 05 Ascaridi

Sui parassiti gastrointestinali esistono diverse interpretazioni fra quali specie risultino sicuramente patogene (e in quali contesti) e quali invece siano semplici commensali che, in condizioni ottimali,  si rivelano addirittura utili per i processi di digestione e assimilazione dei cibi.

I parassiti ematici sono anch’essi di raro riscontro nei Cheloni e, anche in questo caso, non è ben chiaro il ruolo patogeno.   

 

-Microbiologia

La microbiologia si occupa di isolare e identificare i germi (batteri, funghi, virus e altri organismi “intermedi”, come clamidie e micoplasmi) responsabili di un determinato processo patologico avvalendosi di numerose tecniche.

Tra queste ne esistono di dirette (es. microscopia, coltura batterica) in grado quindi di visualizzare direttamente i germi responsabili di un processo morboso e di indirette (es. sierologia, reazioni chimiche) che consentono di fornire una prova della presenza dei patogeni senza però poterli visualizzare.

Foto 06 Tamponi sterili per il prelievo e il trasporto di campioni per isolamento batteriologico

-Batteriologia

Nella medicina dei rettili è sicuramente riconosciuto il ruolo patogeno di alcune specie batteriche (cioè in grado di determinare un danno a organi o apparati, scatenando la malattia) ma sempre più spesso ci si rende conto che tali infezioni sono in primo luogo opportuniste e spesso concomitanti con infezioni di altro tipo, specie di natura virale.

In altre parole, l’isolamento di un germe da un organismo malato potrebbe non rappresentare la (sola) causa di malattia.

-Micologia

Malattie sostenute da funghi sono assai rare nei Cheloni ma talvolta è possibile riscontrare polmoniti micotiche (Aspergillus sp.) o infezioni agli apparati gastroenterico e urinario (Candida sp.).

In questi casi è possibile evidenziare le spore direttamente (al microscopio ottico) o ricorrere ad esami colturali.

-Virologia

Soprattutto nell’ultimo decennio, grazie alla disponibilità di maggiori conoscenze e risorse, si è iniziato ad affrontare la virologia dei rettili riconoscendo a queste entità un ruolo determinante nello sviluppo di malattie infettive.

Per quanto sia stato possibile isolare un discreto numero di agenti virali appartenenti a gruppi diversi, nei Cheloni rivestono particolare importanza l’herpesvirus (ChV1 e ChV2), l’iridovirus e il cosiddetto virus “X” (un picornavirus).

 

-Esame radiografico

Anche l’esame radiografico pone alcuni problemi per via della presenza del guscio che interferisce nella visualizzazione delle strutture interne (apparato respiratorio, gastro-enterico e genito-urinario) ma utilizzando particolari tecniche (es. il fascio orizzontale) risulta di grande utilità diagnostica.

L’indagine radiografica permette di visualizzare l’integrità dell’apparato scheletrico (ovviamente guscio compreso), calcoli vescicali radiopachi, corpi estranei (radiopachi) nel tratto gastroenterico, la presenza di uova calcificate, e i campi polmonari.

Foto 07 Immagine radiografica di Testudo greca; proiezione laterale

In alcuni casi l’impiego di liquidi di contrasto permette di approfondire ulteriormente l’esame condotto “in bianco” (cioè senza l’ausilio del contrasto) e di affinare le interpretazioni diagnostiche.

 

-Ecografia

L’ecografia nei Cheloni è in grado di mettere in evidenza alcune strutture e alcuni dettagli che normalmente sfuggono all’esame radiografico.

Si tratta di una tecnica non invasiva che purtroppo trova ancora limitato impiego nella medicina dei Cheloni soprattutto per via della necessità di sonde di dimensioni appropriate e di personale adeguatamente preparato nell’interpretazione delle immagini ottenute.

Il campo medico in cui l’esame ecografico trova maggiori applicazioni è la medicina riproduttiva ma sono possibili le valutazioni di altri organi quali il fegato, i reni, la vescica e dell’apparato cardiocircolatorio.

Un altro importante utilizzo è in combinazione con tecniche di biopsia in cui l’immagine ecografia permette di guidare l’operatore sul sito esatto di prelievo.

 

-Tomografia Computerizzata (CT) e Risonanza Magnetica (MRI)

Per quanto ancora limitate, soprattutto dall’elevato costo delle apparecchiature necessarie, queste tecniche di diagnostica per immagini offrono notevoli potenzialità di indagine di strutture interne sia per quanto riguarda i tessuti molli che per l’apparato scheletrico.

Contrariamente a quanto avviene per l’esame ecografico, le immagini ottenibili con risonanza magnetica e tomografia computerizzata sono di relativa facile interpretazione.

 -Endoscopia/laparoscopia

Per questi esami si sfrutta essenzialmente lo stesso tipo di attrezzatura

Foto 08  Attrezzatura

e le differenze sono che l’esame endoscopico permette di visualizzare direttamente l’interno di organi cavi a partire da aperture naturali (apparato respiratorio, gastroenterico, genitourinario) mentre quello laparoscopico visualizza le strutture interne attraverso aperture praticate artificialmente attraverso la superficie esterna (breccia chirurgica).

Foto 09 Endoscopia cloacale

L’esame viene condotto in sedazione o in anestesia generale utilizzando delle ottiche anche molto sottili (meno di 3mm di diametro) costituiti da un complesso sistema di lenti e provvisti di una sorgente luminosa.

Attraverso l’uso diagnostico di tali strumenti (è possibile anche un utilizzo “operativo”) è possibile ispezionare direttamente le strutture interne e raccogliere materiale da sottoporre ad esame (per biopsia, citologia, coltura…)

 

-Istopatologia

L’esame istopatologico viene condotto esclusivamente in laboratori attrezzati allo scopo (generalmente universitari) in quanto richiede una lavorazione particolare e attrezzature costose.

I campioni sono rappresentati da parti di organo o tessuti e possono essere prelevati “in vivo” (in tal caso si parla di biopsia) o in sede autoptica.

L’istopatologia esamina le singole cellule nel contesto della struttura dei tessuti e quindi permette una valutazione dell’integrità degli organi rilevando eventuali alterazioni a carattere microscopico.

 

 -Necroscopia

Per quanto si tratti di un evento sempre spiacevole, la morte di un animale costituisce una grande opportunità per investigare i problemi che affliggono animali così particolari come i Cheloni e i Rettili in generale.

Per quanto anche un esame autoptico ben condotto talvolta non riesca a chiarire le cause di un decesso, è importante, determinare le cause di morte in maniera sistematica soprattutto se si tratta di un animale inserito in un gruppo o in una collezione.

Foto 10 Necroscopia

Indicazioni: quando eseguire gli esami? 

-All’acquisizione

All’acquisizione di ogni nuovo animale accertarsi del suo stato di salute ci permette innanzitutto di sapere se il soggetto è sano o se dobbiamo temere per la sua salute.

Altre motivazioni che dovrebbero essere sempre prese in considerazione nel momento in cui si decide di sottoporre un animale a dei controlli, sono la sicurezza sanitaria nei confronti delle persone (zoonosi) e di altri animali preesistenti (se il nuovo animale deve essere inserito in un gruppo); da ultimo, come evenienza da non sottovalutare, la possibilità di rivalersi in termini di responsabilità su chi ci ha ceduto un animale malato.

In questo caso sono perlomeno necessari una visita clinica, un esame parassitologico delle feci, un esame emocromo e uno screening per ChHV e virus X.

Se l’esemplare è adulto (sopra gli 8 anni) è consigliabile includere un profilo biochimico che ci permetta di avere un’idea delle funzionalità renale ed epatica, mentre se il soggetto è femmina e lo si acquista per un preciso scopo riproduttivo, è indicata un’endoscopia.

A questo proposito prima di ogni acquisizione è buona norma concordare sempre con il cedente delle forme di garanzia  in modo da potersi tutelare in caso di malattia, mancata riproduzione o morte degli esemplari.

 

-Pre/post letargo

L’entrata e l’uscita dal letargo sono due periodi di transizione estremamente delicati in quanto sottopongono gli organismo che li affrontano a cambiamenti fisiologici davvero radicali, specie se in climi diversi da quelli consoni per la specie.

Segni clinici come lo scolo da naso o occhi, così come qualsiasi anomalia respiratoria, devono essere indagati ulteriormente in maniera tempestiva e sistematica anche se apparentemente si tratta di fenomeni transitori o che scompaiono in seguito ad una terapia più o meno avventata.

Parlando di malattie infettive, è soprattutto in periodi di stress che mettono sotto pressione il sistema immunitario che avviene la riacutizzazione di forme silenti con l’eliminazione nell’ambiente di un gran numero di particelle infettanti.

 

-Femmina in riproduzione

L’evento riproduttivo è senza dubbio un momento fra i più attesi e che prevede importanti cambiamenti fisiologici soprattutto a carico dell’organismo femminile.

Accanto ad un aumento del metabolismo e quindi ad un aumento delle richieste di particolari elementi quali proteine e calcio, è possibile un abbattimento delle difese immunitarie che rende più sensibili tali soggetti a malattie di tipo infettivo.

Un controllo a fecondazione avvenuta (dopo circa 10 giorni) di una femmina adulta dovrebbe prevedere un esame clinico, un esame emocromo, un profilo biochimico e i test per le principali malattie virali.

L’accertamento della presenza o meno di uova è raccomandato alla fine di ogni stagione riproduttiva per sincerarsi che non vi siano uova ritenute in ovidotto o in sedi diverse (cavità celomatica, vescica).

Va infine ricordato che qualsiasi anomalia riproduttiva (uova deformate, uova deposte fuori dal nido, mancata schiusa, mortalità embrionale…), deve essere indagata tramite esami appropriati. 

 

-Nel momento in cui si scopre un problema

Ogni segno clinico di malattia è meritorio di attenzioni; prima che sia troppo tardi, di fronte a manifestazioni anche banali, è sempre buona norma approfondire la diagnosi ed escludere le patologie più pericolose.

 

Richiami di profilassi e management d’allevamento

Come raccomandazioni finali è importante sottolineare come oggi la medicina veterinaria, seppur con molti limiti, sia in grado di proporre tecniche diagnostiche d’avanguardia applicabili anche ai Cheloni.

Dal momento che l’allevamento in cattività, quando ben gestito e organizzato, permette di dare un importante contributo alla salvaguardia delle specie in natura, è imperativo condurre tale forma di allevamento in maniera responsabile anche per quanto riguarda l’aspetto sanitario.

Un allevatore serio non può fare a meno di un’assistenza veterinaria e deve essere in grado di poter fornire una prova dei controlli e delle profilassi effettuate sui suoi soggetti riproduttori e garantire, attraverso una certificazione scritta, il buono stato di salute dei soggetti che intende cedere.

Inoltre, nel caso di programmi di reintroduzione in ambiente selvatico finalizzati al ripopolamento, l’aspetto sanitario è un delicato punto cardine per poter garantire il successo di tali progetti e per scongiurare danni irreparabili al nostro patrimonio faunistico.

 

 

 

I segni di malattia ed il loro significato: per non attendere che sia troppo tardi

 

Marta Avanzi, Med. Vet.

Un esame accurato e sistematico di una tartaruga è importate sia come controllo periodico dello stato di salute che come esame precedente all'acquisto o all'acquisizione di un nuovo soggetto. Non bisogna però dimenticare che anche se il rettile appare in perfetta salute, è importante effettuare un adeguato periodo di quarantena prima di metterlo insieme ad altri soggetti.
Ecco alcuni elementi da considerare quando si esamina una tartaruga, ed il loro significato.

Aspetto generale

Sollevando la tartaruga si deve avere una sensazione di peso, non di tenere in mano un guscio vuoto, cosa che indicherebbe un forte dimagramento. La tartaruga deve essere in grado di camminare sollevandosi sui quattro arti senza difficoltà.
Lo spazio tra la base degli arti anteriori e la base del collo deve essere in carne; se è eccessivamente affossata indica uno stato di deperimento. Una tartaruga molto magra quando si ritira nella corazza lascia uno spazio eccessivo tra gli arti anteriori e il margine della corazza stessa

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Un gonfiore eccessivo della cute (foto02) può indicare la presenza di edema (accumulo di liquido nei tessuti per insufficienza renale o altre cause) o obesità( foto 03).

foto 2

foto 3

Comportamento

Una tartaruga sana, se non è abituata ad essere maneggiata, quando viene stuzzicata si retrae velocemente nella corazza; alcune specie tentando di mordere il dito posto davanti alla bocca. Una tartaruga abituata al contatto umano appare attenta a ciò che la circonda. Se l'animale resta fermo, apatico, con gli occhi chiusi, mostra di avere una grave patologia (foto 04) (a meno che non sia ad una temperatura nettamente inferiore a quella ottimale).

foto 4

Messa sul dorso, una tartaruga sana cerca di raddrizzarsi con vivaci movimenti delle zampe; questa manovra non deve mai essere eseguita se esiste la possibilità di un problema respiratorio perché può far precipitare la situazione.

Nel caso di tartarughe acquatiche, il galleggiamento inclinato da un lato è anormale e può indicare la presenza di una polmonite, ma anche di disturbi intestinali (meteorismo, corpi estranei). (foto 05)

foto 5

La testa deviata da un lato, a volte accompagnata da movimenti in circolo, può indicare una lesione cerebrale (spesso un trauma, o lesioni da congelamento dopo il letargo). (foto 06)

foto 6

Le femmine gravide scavano buche nel terreno per alcuni giorni prima di deporre le uova; se a questo comportamento non segue l'ovodeposizione può esserci un problema di ritenzione.

Nelle tartarughe acquatiche il fatto di passare più tempo fuori dell'acqua e di essere riluttanti ad entrarvi può indicare uno stato di malattia.

Appetito

La diminuzione dell'appetito o la mancanza completa di alimentazione sono sintomi importanti ma del tutto aspecifici, che possono comparire con qualunque tipo di patologia. Tuttavia possono manifestarsi anche a causa di condizioni ambientali sbagliate (soprattutto temperatura e umidità), per stress ambientali (sovraffollamento, mancanza di nascondigli, competizione con individui dominanti) o per la somministrazione di alimenti inadatti alla specie.

In particolare, se una tartaruga non riprende ad alimentarsi entro una settimana dal risveglio del letargo, deve essere fatta visitare immediatamente, perché più si prolunga il digiuno minori sono le possibilità di recuperarla.

Testa

Occhi

Occhi infossati sono un segno importante di malessere: indicano disidratazione o malnutrizione cronica. (foto 07)

foto 7

Gli occhi devono essere puliti, senza muco, pus o croste, segni di infezioni. Le palpebre non devono essere gonfie: se sono tumefatte può essere presente un'infezione (foto 08)

foto 8

o una carenza di vitamina A (foto 09) (quest'ultima tipica delle giovani emididi alimentate solo a gamberetti).

foto 9

Al risveglio dal letargo, nelle Testudo spp. si osserva talvolta una macchia bianca della cornea, dovuta a condizioni di letargo non ottimali. Questa condizione può essere trattata con uno specifico collirio.

Narici

Le narici devono essere pulite e aperte. Uno scolo dalle narici (foto 10),

foto 10

(sieroso o mucopurulento) può indicare tanto una infezione respiratoria quanto un'infezione alla bocca: narici e bocca sono infatti collegate da fessure presenti nel palato. Talvolta esternamente non si osserva scolo nasale, ma premendo delicatamente con un dito sotto la mandibola si provoca la fuoriuscita di essudato dalle narici.

A volte le narici sono completamente ostruite a causa di una precedente infezione.

Membrana timpanica

La membrana timpanica, visibile come una scaglia rotonda dietro l'occhio, deve essere piatta. Una tumefazione a questo livello indica la presenza di un ascesso dell'orecchio interno, che deve essere trattato chirurgicamente. (foto 11)

foto 11

Bocca

Il becco (ranfoteca) può presentare fratture per traumi, che richiedono la stabilizzazione con cerchiaggi. La parte cornea del becco può risultare troppo lunga, se l'alimentazione non è sufficientemente abrasiva; in seguito a ciò può fissurarsi o spezzarsi, e comunque causare difficoltà nella prensione dell'alimento (foto 12) .

foto 12

In tal caso può essere accorciata con un'apposita fresa. La bocca può presentare malformazioni, in cui la mandibola o la mascella sono troppo corte in relazione una all'altra (foto 13), (foto 14).

foto 13

foto 14

Questo difetto se non è molto accentuato può essere compatibile con una vita normale, ma può richiedere l'accorciamento periodico della parte cornea del becco.

L'interno della bocca deve essere privo di schiuma o di materiale necrotico (Foto 15), dall'aspetto giallo o grigio, segni possibili di stomatite (infezione della bocca).

foto 15

Le stomatiti spesso sono patologie gravi che fanno parte di una malattia sistemica.

La respirazione a bocca aperta è anormale e indica una difficoltà respiratoria tanto più grave se si accompagna all'estensione del collo (foto 16).

foto 16

Corazza

La corazza nelle tartarughe di più di un anno di età deve essere di consistenza solida (se premuta tra le dita non deve cedere), ad eccezione di Malacochersus tornieri, la tartaruga frittella africana. Una consistenza cedevole indica un'inadeguata calcificazione causata da problemi alimentari (carenza di calcio e/o eccesso di proteine, carenza di raggi UVB).

Alterazioni della colorazione, scuti che si staccano lasciando aree ulcerate, erosioni, arrossamenti, sono tutte anomalie che richiedono una visita perché indicano infezioni della corazza o infezioni sistemiche. (Foto 17, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25)

foto 17

foto 18

foto 19

foto 20

foto 21

foto 22

foto 23

foto 24

foto 25

La presenza di alghe può indicare la presenza di condizioni ambientali inadeguate (scarso ricambio di acqua, mancanza di una zona asciutta riscaldata), ma nelle specie che passano la maggior parte del tempo sommerse è normale, e può anche essere un aiuto al mimetismo.

Erosioni nella parte posteriore e laterale del carapace delle femmine di Testudo spp. sono in genere causate dal corteggiamento da parte di un eccessivo numero di maschi. In questa specie il corretto rapporto maschi/femmine dovrebbe essere di 1:5 circa. (foto 26)

foto 26

Fratture della corazza, di gravità estremamente variabile, sono immediatamente evidenti all'ispezione, ma possono essere accompagnate da danni interni non immediatamente apprezzabili (lesioni alla colonna vertebrale, lacerazioni del fegato), e richiedono sempre una valutazione veterinaria.

La corazza può presentare anomalie congenite che ne alterano la forma, apparenti fin dalla nascita. La maggior parte dei difetti della corazza sono però causati da errori alimentari che ne provocano la progressiva alterazione nel corso degli anni negli individui in crescita. La deformazione degli scuti centrali del carapace (foto 27, 28)

foto 27

foto 28

(la metà superiore della corazza), che assumono un profilo rialzato ("a piramide"), insieme all'appiattimento della corazza e talvolta alla sua consistenza tenera, è tipica di un'alimentazione errata, troppo ricca di proteine e povera di calcio. Anche una "insellatura" del carapace (Foto 29)

foto 29

(formazione di una concavità invece del normale profilo convesso) indica alterazioni di sviluppo di origine alimentare.

Nelle tartarughe neonate al centro del piastrone si può osservare la cicatrice ombelicale, che è normale (Foto 30).

foto 30

Nei piccoli appena usciti dall'uovo talvolta si osserva il residuo del sacco vitellino, una struttura rotondeggiante arancione, che non è ancora stata assorbita (Foto 31)

foto 31

Esaminando il disegno degli scuti, si osservano spesso anomalie (scuti in sovrannumero o in numero inferiore, o di forma anomala). Non sono di per sé patologici, ma possono indicare che la temperatura o l'umidità non sono state adeguate durante l'incubazione. (foto 32)

foto 32

Arti

Noduli e tumefazioni sono anormali e possono indicare la presenza di ascessi (Foto 33, 34),

foto 33

foto 34

che vanno trattati chirurgicamente, o di fratture. Tumefazioni a livello articolare possono essere causate da infezioni (artriti) o gotta (Foto 35) (accumulo di cristalli di acido urico).

La perdita di unghie e ulcerazioni delle dita possono indicare un'infezione.

foto 35

Cloaca

La cloaca deve essere pulita, senza segni di feci o urati. La cloaca imbrattata può indicare un problema di diarrea, o il fatto che il rettile è troppo debole per sollevarsi sugli arti per eliminare le deiezioni.

A livello della cloaca si possono osservare prolassi di vari organi (pene (foto 36),

foto 36

utero (foto 37), intestino, vescica), che richiedono sempre un immediato intervento veterinario.

Lacerazioni della cloaca nelle femmine di Testudo di solito sono provocate dai maschi, soprattutto nel caso di T. hermanni. (foto 38)

foto 37

foto 38

Pelle

Il distacco della pelle può essere causato da infezioni, attacco da parte di insetti, o da ipervitaminosi A (foto 39) (causata dalla somministrazione in dosi eccessive di questa vitamina).

foto 39

foto 40

Nelle tartarughe acquatiche, una patina grigiastra (foto 40) che ricopre la pelle indica la presenza di un'infezione, in genere dovuta a condizioni igieniche scadenti e alla mancanza di una zona asciutta; questa patologia può accompagnarsi alla perdita delle unghie, e nei casi gravi portare a morte per setticemia.

Noduli nella cute possono indicare la presenza di ascessi, che vanno incisi ed asportati in anestesia.

Le tartarughe raramente sono affette da parassiti esterni. Le zecche si possono nascondersi alla base degli arti (foto 41) e passare inosservate. Le ferite durante la stagione calda possono essere contaminate da larve di mosca (foto 42).

foto 41

foto 42

Deiezioni

Anche l'osservazione di feci e urine può essere molto utile nell'individuare problemi di salute. Le feci devono in generale essere ben formate, anche nelle tartarughe acquatiche (anche se si sciolgono poi rapidamente). Feci molto tenere o acquose possono indicare un problema di diarrea (infettiva o parassitaria), o errori alimentari (foto 43) (ad esempio la somministrazione di frutta a tartarughe dei climi aridi).

foto 43

Esaminando le feci da vicino si può rilevare la presenza di minuscoli vermi parassiti, gli ossiuri (foto 44),

foto 44

che in grande quantità possono creare problemi di salute e richiedono un trattamento antiparassitario. Più raramente si possono osservare nematodi, parassiti molto più lunghi e generalmente patogeni. Tuttavia non si deve dimenticare che la diagnosi di parassitosi intestinale si effettua tramite l'esame microscopico delle feci, che permette di identificare in modo preciso i parassiti presenti.

Nelle feci possono essere presenti materiali estranei, ad esempio materiale del substrato (sassolini, sabbia, tutolo di mais), che indica la possibilità di un'ostruzione intestinale se non si cambia la gestione, oppure alimenti inadatti (noccioli di ciliegia), pericolosa causa di ostruzione.

L'emissione di urine contenti una massa densa di urati (la parte solida) di grandi proporzioni indica un problema di disidratazione, per cui la tartaruga ha trattenuto a lungo l'urina permettendo che nella vescica si accumulassero urati.

Urine e urati di colore giallo o arancio (fenomeno che prende il nome di biliverdinuria) è segno di un problema a livello del fegato (simile all'ittero nell'uomo). (foto 45)

foto 45

Oltre all'aspetto fisico, è importante anche la frequenza con cui le deiezioni vengono emesse. La mancanza di defecazione può essere correlata a digiuno, disidratazione, costipazione, corpi estranei, ecc.

 

 

 

Ecologia Molecolare (1999)

Blackwell Science, Ltd

Filogeografia mitocondriale della testuggine palustre europea, Emys orbicularis (Linnaeus 1758)

P. LENK, U. FRITZ, U. JOGER e M. WINK

Estratto

La filogenia e la filogeografia della Emys orbicularis è stata ipotizzata dalle sequenze di nucleotidi mitocondriali del gene del citocromo b analizzato dall’ordinamento del Dna e dall’analisi eteroduplex dell’RNA. All’interno della famiglia di Emydidae la classe monotipica Emys è associata ai taxa vicino-artici delle Emydoidea blandingii  e Clemmys marmorata. L’analisi di 423 individui di E. orbicularis , originati interamente nella propria zona di distribuzione, ha rivelato una significativa differenziazione intraspecifica in 20 aplotipi diversi con distribuzioni geografiche distinte. L’analisi di massima parsimonia ha prodotto una filogenia a stella con sette lignaggi principali che possono rispecchiare separazioni nel tardo Pliocene. La distribuzione dell’aplotipo esaminato da test parziali di Mantel e l’analisi di variazioni molecolari hanno rivelato una significativa conseguenza delle ere glaciali. Questa prospettiva ipotizza l’esistenza di svariati rifugi glaciali e una considerevole espansione della distribuzione nell’Olocene modulata da caratteristiche climatiche. Un ulteriore sostegno è ricavato dall’avvento di parapatria a lungo termine nei rifugi glaciali.  

Parole chiave: citocromo b, Emys orbicularis, DNA mitocondriale, parapatria, filogeografia, Pleistocene

Ricevuto 2 Febbraio 1999; revisione ricevuta 10 Giugno 1999; accettato 29 Giugno 1999

Introduzione

La fauna di testuggini palustri del paleoartico occidentale è composta da solo quattro specie ed è impoverita se paragonata all’Asia Orientale o al Nord America dove le famiglie Bataguridae e Emydidae sono abbastanza varie. Le Mauremys caspica,  M. leprosa, e M. rivulata sono le uniche rappresentanti europee della famigliaBataguridae, mentre al contrario la Emys orbicularis è un membro delle Emydidae del Nuovo Mondo. Tra le testuggini palustri, la E. orbicularis vive in una delle più grandi aree che include zone del Nord Africa, il Mediterraneo e regioni dal clima mite dell’Europa e del Medioriente fino al Mar d’Aral. Malgrado la sua vasta distribuzione la E. orbicularis è stata considerata per decenni come una specie monotipica. Sebbene una variazione di colore fosse nota da tempo (Arnold & Burton 1978), solo di recente è stata proposta una suddivisione intraspecifica in 13 sottospecie da Fritz e collaboratori (come recensito in Fritz (1998)). Mentre la zona nordica della distribuzione è abitata esclusivamente da specie designate, la maggior parte dei taxa intraspecifici avviene nel sud: Nord Africa (una sottospecie), penisola iberica (due), Sardegna (una), Corsica (una) , Francia meridionale – Italia orientale (una), Italia meridionale (una non descritta ufficialmente), costa dell’Adriatico e dell’Egeo (una), restante Asia Minore e Georgia (tre più una non descritta ufficialmente), regione Caspica (due). Questa diversità ci incoraggiò a risolvere la fitogeografia molecolare di questa specie. L’impatto del clima freddo del Pleistocene sulla fauna e flora olartica furono sostanziali e molte specie si estinsero o persero vaste aree della loro precedente distribuzione. Rettili termofili europei erano sensibili alle basse temperature e potevano sopravvivere solo in aree ristrette e con clima favorevole nelle estremità meridionali dell’Europa e nelle zone vicine, come descritto da Reinig (1937) e De Lattin (1949). Secondo i loro punti di vista gli effettivi schemi di distribuzione di molti organismi europei dipendono in larga misura dalla posizione dei rifugi glaciali e dal percorso della ricolonizzazione post-glaciale. Malgrado modelli molecolari contribuiscano notevolmente alla comprensione dei processi biogeografici, studi esaurienti sulla fauna europea sono ancora limitati (per gli animali: Wallis & Arntzen (1989), Taberlet & Bouvet (1994), Cooper et al. (1995), Santucci et al . (1998), come riassunto in Taberlet et al. (1998)). Studi sui rettili, termo-sensibili e meno mobili di altri organismi terrestri, sono finora carenti. Tuttavia del lavoro è già stato compiuto sulla fitogeografia molecolare e la filogenia delle testuggini in altre parti del mondo (Lamb et al. 1989; Avise et al1992; Bowen et al . 1992, 1994; Allard et al . 1994; Osentoski & Lamb 1995; Walker et al . 1995, 1997; Encalada et al .1996). Questi studi hanno dimostrato i meriti del DNA mitocondriale (mtDNA) nell’analisi degli schemi filogeografici delle testuggini, malgrado stime e divergenze evolutive tendono ad essere basse se paragonate ad altri vertebrati (Avise et al . 1992; Martin & Palumbi 1993). Uno studio preliminare (Lenk et al . 1998) basato su 187 esemplari ha già identificato una struttura intraspecifica significativa nella E. orbicularis di aplotipi localizzati geograficamente. Nel seguente studio presentiamo un campione di 423 individui comprendenti la maggior parte della distribuzione della specie. La relativamente vasta e fitta scala degli esemplari permette l’uso delle analisi statistiche globali per fornire una struttura per un’analisi dettagliata della storia della specie. I metodi usati sono stati l’ordinamento del DNA e l’analisi heteroduplex dell’RNA; quest’ultima è stata precedentemente adattata per quest’uso. (Lenk & Wink 1997).

Materiali e metodi

Campionamento e tecniche di laboratorio

I campioni sono stati ottenuti da 423 esemplari di Emys orbicularis e sei specie imparentate di testuggine palustre vicino-artica (genera Clemmys, Emydoidea, e Terrapene) appartenenti alla sottofamiglia emydinae (Gaffney & Meylan 1988). Sangue e tessuti muscolari (da animali conservati sotto etanolo) sono stati prelevati e raccolti come descritto in Haskell & Pokras (1994) e Arctander (1988). Tutto il DNA genomico è stato estratto seguendo i protocolli standard di proteinase K e fenolo–cloroformio (Sambrook et al. 1989). La metodologia della reazione a catena della polimerasi (PCR) è stata usata per ingrandire un frammento contenente la sequenza target (1036 nt del gene con citocromo b e 38 nt di tRNA Thr) seguendo una procedura descritta precedentemente (Lenk et al.1998). Gli iniettori usati sono stati mt-A (Lenk & Wink 1997) combinati con CR12H (Lenk & Wink 1997) o H-15909 (5AGGGTGGAGTCTTCAGTTTTTGGTTTACAAGACCAATG-3). Prima dell’ordinamento del DNA i risultati del PCR sono stati esaminati per identificare sequenze identiche che potevano essere assegnate ad aplotipi particolari. L’analisi heteroduplex dell’RNA è stato usato con l’aiuto del Mismatch Detect II Kit (Ambion 1418) come descritto in Lenk & Wink (1997). I risultati del PCR di almeno un esemplare per località sono stati ordinati come descritto in Lenk et al . (1998) o utilizzando il kit di ordinamento del ciclo di iniettori di etichettamento fosforescente Thermo Sequenase con 7-deaza-dGTP (Amersham Life Science, RPN 2438/RPN 2538) insieme ad un elaboratore in sequenza automatizzato (Pharmacia, ALF-Express). Gli iniettori di sequenza erano mt-A, mt-B, mt-C, mt-D (Wink 1995), L-14943 (Lenk et al. 1998), L-15601 (5-CCATTCTACGCTCAATCCC-3), e H-15909. Tutte le sequenze sono state lette ed allineate manualmente. I dati della sequenza del nucleotide qui registrati compariranno nel DDBJ/EMBL/GenBank

Nucleotide Sequence Database sotto il numero di collocamento nos AJ131407–AJ131432.

Analisi Filogenetica e statistica

Il programma pacchetto mega (Kumar et al. 1993) è stato usato per valutare le distanze genetiche e calcolare le statistiche di sequenza. Ricerche di massima parsimonia e massima verosimiglianza sono state effettuate attraverso l’approccio di ricerca euristica di * 4.0 (Swofford 1998) usando l’algoritmo di scambio dell’albero di bisezione-riconnessione. Per la massima parsimonia sono state applicati i parametri di default. Le assunzioni del procedimento di massima verosimiglianza sono state specificate per permettere sei tipi di sostituzioni (Lanave et al.1994) e una variazione percentuale infra-sito con distribuzione gamma (Yang 1994) con quattro categorie (parametri di forma da valutare per il set di dati). Tutti i calcoli sono stati condotti con composizioni variabili dell’outgroup: tutte le specie vicino-artiche insieme, separate o senza l’outgroup. Delle analisi bootstrap (500 repliche) sono state svolte per esaminare la robustezza delle biforcazioni ad albero con l’algoritmo di massima parsimonia. Per avere un’idea delle tendenze filogeografiche che potrebbero aver determinato l’espansione post-glaciale, il presente modello di distribuzione è stato analizzato usando test parziali di Mantel (Mantel 1967; Thorpe 1991). La struttura parziale filogeografica con schemi previsti da diverse ipotesi, mentre simultaneamente si escludevano gli effetti disorientanti dell’intercorrelazione tra ipotesi (Thorpe et al. 1994). Primo, le identità genetiche delle località sono state rilevate per un input in un formato di matrici di distanza (basato sulle distanze patristiche di un albero senza radice di parsimonia). Sono state raggruppate località geograficamente distanti meno di 50 km. Vari modelli di distribuzione putativi sono serviti come ipotesi di verifica rappresentanti gli stadi finali di un processo di colonizzazione. Queste ricostruzioni sono state fatte assegnando ciascun lignaggio a un rifugio specifico, definendo i più probabili percorsi di colonizzazione per evitare barriere fisiche (Fig. 1) e utilizzando scenari alternativi per controllare le ricostruzioni di colonizzazione. I scenari erano: (1) l’andamento di espansione costante attraverso tutti i lignaggi e i percorsi; (2) come (1), ma allo stesso tempo i lignaggi nordici ipotizzati categoricamente superiori nell’area nord di distribuzione; il confine nord controllato temporaneamente da un fattore variabile parallelo alla latitudine geografica (3); radialmente (4); con inclinazione di 45 (5); o 45 d’inclinazione (6) rispetto alla latitudine geografica (Fig. 1). La posizione sul percorso dove due fronti s’incontrano segna il confine di distribuzione tra due gruppi campione adiacenti. Le identità teoretiche di tutte le località sono state ri-campionate secondo queste ipotesi e matrici di distanza alternative sono state calcolate come descritto sopra. Associazioni tra queste e la matrice dipendente sono state esaminate con test parziali di Mantel con 10 000 permutazioni usando un programma sviluppato da R. Thorpe. Una procedura Bonferroni (Rice 1989) sequenziale è stata applicata a tutti i valori –P, per correggere il numero di test simultanei. La struttura genetica della popolazione è stata dedotta dall’analisi della variazione molecolare (amova ; Excoffier et al. 1992) fornito nel programma pacchetto arlequin 1.0 (Schneider et al. 1997) usando entrambe le statistiche dell’aplotipo (basate solo sulle frequenze dell’aplotipo) e statistiche di sequenza (che incorporano divergenze di sequenza tra aplotipi). Il programma calcola equivalenti di statistiche-F e componenti di variazione in entrambe le modalità. Schemi spaziali ritenuti significativi nei test parziali di Mantel sono stati usati per definire gruppi campione. Sono stati esaminati componenti di variazione e valori tra gruppi campione geografici, tra le popolazioni all’interno dei gruppi campione geografici e tra le popolazioni con 10 000 repliche.

Fig. 1 Un modello per ricostruire il processo di colonizzazione post-glaciale come usato per i test parziali di Mantel. Mostra le località approssimative dei rifugi glaciali (grigio)  e percorsi di colonizzazione putativi (linee in grassetto) che sono stati definiti considerando la fisiogeografia della distribuzione della specie. Il riquadro in alto a destra mostra i limiti temporanei per controllare i fronti d’espansione lungo i percorsi secondo gli scenari 3-6 (vedi testo). La modalità di spostamento è indicata dalle frecce.

Risultati

Variazione dei nucleotidi e distanze genetiche

Sono stati osservati venti aplotipi, basati sul citocromo b e sequenze di tRNA Thr tra i 423 esemplari di Emys orbicularis. Di 1074 siti allineati, 50 erano variabili con 47 transizioni e tre transversioni; 46 siti sono stati informativi dal punto di vista della parsimonia. Divergenze di sequenza (Tamura & Nei 1993) tra gli aplotipi distribuiti da 0.09% a 1.71% (Tabella 1). Quando sei specie di testuggini palustri vicino-artiche sono state incluse, 242 siti sono diventati variabili includendo 183 transizioni, 37 transversioni, e 22 posizioni con transizioni più transversioni; 132 siti sono stati informativi di parsimonia. Stime di distanza genetica (Tabella 1) si sono distribuite tra 5.79% (Clemmys Muhlenbergi e C. insculpta ) e 11.45% (C. guttata e E. orbicularis). Gli elementi leggeri avevano le seguenti composizioni di nucleotidi: A, 30.4–31.6%; C, 29.9–31.7%; G, 11.7–12.5%; e T, 25.3–26.9%. Il forte pregiudizio contro la guanina è tipico del mitocondriale ma non dei geni nucleari (e.g. Desjardins & Morais 1990). Non sono state rilevate cancellazioni, aggiunte o inversioni.

Tabella 1

Tabella di distanza genetica dei lignaggi della Emys orbicularis e di sei specie imparentate. Per la E. orbicularis sono stati selezionati gli aplotipi che sono apparsi ancestrali ai rispettivi lignaggi secondo l’albero di parsimonia. Le stime di divergenza genetica (Tamura & Nei 1993) sono presentati nella parte sotto a sinistra, il numero assoluto di sostituzioni e il numero di transizioni (tra parentesi) nella parta alta a destra. La diagonale presenta le stime di divergenza massima in un lignaggio. (Tamura & Nei 1993)

Relazioni filogenetiche

Le analisi di massima parsimonia e massima verosimiglianza hanno prodotto alberi molto concordanti. Nel clade delle Emys sette dei lignaggi principali, indicati con numeri romani, erano inequivocabilmente rilevati da entrambi i metodi. Ciascun lignaggio includeva da uno a molteplici aplotipi strettamente imparentanti, di cui la monofila era supportata da alti valori bootstrap. Tuttavia solo una debole risoluzionecladogenetica è stata ottenuta tra questi lignaggi come indicato rispettivamente o da rami interni corti o da un basso supporto  bootstrap (Fig. 2). L’unica eccezione è stata il cladecomprendente i lignaggi I e II che erano stati definiti come un gruppo monofiletico. Malgrado un minor supporto da analisi bootstrap il lignaggio III tendeva a prendere una posizione basale nella E. orbicularis in tutte le ricostruzioni. Se erano soggetti all’analisi di massima parsimonia solo gli aplotipi della Emys, si produceva un unico albero senza radice di massima parsimonia di 55 scalini (Fig. 3). Esso mostrava una filogenia a stella con sei rami lunghi. Biforcazioni secondarie significative appaiono nei rami che portano ai lignaggi I e II. Tra tutti i lignaggi basali, la V mostrava la minor lunghezza del ramo. Le C. marmorata e Emydoidea blandingii si mostravano come i parenti più prossimi della E. orbicularis. Le tre specie rappresentavano un clade monofiletico ben supportato. Tuttavia la posizione della C. marmorata era in conflitto in entrambi i metodi. La massima verosimiglianza la collocava come un taxon sorella della Emys (non mostrata), mentre la massima parsimonia indicava una relazione più stretta con la E. blandingii . Altri membri della specie Clemmys e Terrapene si collocavano nei cladi basali, indicando che la Clemmys rappresenta un gruppo parafiletico e che questa specie potrebbe richiedere una revisione tassonomica. Se erano utilizzati degli outgroup variabili si otteneva lungo i rami III o IV lo stesso ordine intraspecifico ma con diverse posizioni delle radici (Fig. 3). Le C. marmorata o E. blandingii, i parenti più stretti, producevano sistematicamente alberi con il lignaggio III come ramo basale. Tuttavia tutte le posizioni delle radici erano per la maggior parte acentriche, se paragonate con la divisione basale dei lignaggi principali della E. orbicularis. Il radicamento dell’outgroup ha portato a una significativa riduzione del ramo basale che appariva innaturale (forse a causa di molteplici inversioni come indicato da indici di consistenza sorprendentemente diverse nelle Fig 2 e 3). Per questa ragione la posizione basale del lignaggio III (Fig. 2) rimane problematica malgrado sia supportata da 63% repliche bootstrap.

 

Fig. 2 Un filogramma di consenso della regola del 50% di maggioranza dimostrante i risultati dell’analisi di massima parsimonia se tutte le specie vicino-artiche venissero poste come un outgroup. Inizialmente vennero trovati i 21 alberi più corti con 378 scalini in lunghezza (CI: 0.72, HI: 0.28, RI = 0.74, RC: 0.53). I valori bootstrap provenienti da 500 repliche sono indicati a ciascun nodo dell’albero o gli schemi di biforcazione alla destra.

 

Fig. 3 Un albero di parsimonia senza radice esclusivamente di tutti gli aplotipi di Emys orbicularis. E’ stato ottenuto un unico albero di maggiore parsimonia di 55 scalini in lunghezza (CI: 0.91, HI: 0.09, RI: 0.96, RC: 0.87). Ciascun scalino tra due cerchi rappresenta una sostituzione di nucleotide. Cerchi neri e simboli indicano rispettivamente aplotipi mancanti e esistenti. Le frecce indicano le potenziali posizioni delle radici quando sono state usate specie di outgroup diversi.

La distribuzione geografica degli aplotipi

Come indicato in Fig. 4 l’estesa sequenza di polimorfismo rilevata nelle E. orbicularis era caratterizzata da molti aplotipi localizzati. Erano situati nell’Europa dell’est e in Asia minore (lignaggio I), Europa centrale e Balcanico centrale (II), Italia meridionale (III), intorno al Mar Adriatico (IV), la costa sud-occidentale del Mediterraneo (V), la penisola iberica e il nord Africa (VI) e la regione Caspica (VII). Alcuni lignaggi mostravano una suddivisione su scala più sottile: nell’albero di parsimonia (Fig. 3) l’aplotipo VIc del nord Africa appariva ancestrale rispetto all’aplotipo VIa, b, d della penisola iberica; gli aplotipi IVc e IVb della Grecia sud-occidentale erano spazialmente separati dal IVa che occupava la rimanente distribuzione del lignaggio IV: nella Germania dell’est il diffusissimo aplotipo IIa era rimpiazzato dal discendente putativo IIb; in Asia minore Ic e Id sembravano occupare la parte più centrale, mentre Ib e Ia erano limitati alla costa. Il V era il solo lignaggio che non mostrava una suddivisione geografica.

Test parziali di Mantel

Siccome le calibrature temporali avevano suggerito, sulla base di distanze genetiche, (vedi sotto) un’origine per ciascuno dei sette lignaggi, sarebbero dovuti esistere sette diversi aplotipi dopo l’ultima fase fredda almeno nei rifugi meridionali. Sulla base delle loro limitate distribuzioni cinque dei sette lignaggi potevano inequivocabilmente essere assegnati a rifugi specifici (Penisola iberica, Italia, Grecia, Asia Minore, regione Caspica). L’assegnamento per due lignaggi (II, V) rimaneva ambiguo. Perciò prima di esaminare scenari alternativi dovevano essere analizzati gli arrangiamenti glaciali dei lignaggi mitocondriali. Sono stati allora proposti ed analizzati simultaneamente sotto ciascun scenario sette potenziali arrangiamenti (tipi a–g; Table 2). E’ stata trovata una congruenza attraverso tutti gli scenari per rifiutare l’ipotesi basata sul tipo di arrangiamento (Tabella 3). L’assegnazione del lignaggio V a un rifugio italiano e del II a un rifugio Greco, come suggerito sotto l’arrangiamento del tipo a, ha prodotto l’unico modello con un’associazione rilevante al rimanente schema filogeografico. Quando le associazioni delle sei ipotesi di espansione sono state esaminate simultaneamente sotto l’arrangiamento di tipo a, tutte le ipotesi sono state rifiutate tranne una, come indicato nella tabella 3, in basso. Perciò l’unico scenario che manteneva un significato in combinazione col tipo di arrangiamento era il 4. La struttura genetica della popolazione secondo l’ipotesi 4 (vedi Fig. 4) suggerita con l’amova ha rilevato una significativa divisione geografica come evidenziato sia dalla frequenza dell’aplotipo che dalla sequenza statistica. Tuttavia sulla base della sequenza di statistica era evidente una cospicua differenziazione di popolazione come indicato sui ST  e componenti di variabilità (Tabella 4). Mentre il 38.8% del totale della variazione era spiegata dalle differenze di frequenza dell’aplotipo tra gruppi, il valore comparabile era del 62.1% quando veniva considerata la divergenza di sequenza. Al contrario, la variazione tra popolazioni era più alta quando erano considerate le frequenze di aplotipo. Questo significativo cambiamento era causato da  numerosi aplotipi strettamente imparentati in molti cladi che fornivano una minore differenziazione di sequenza, ma contribuivano notevolmente alla diversità dell’aplotipo. Quindi la E. orbicularis è una specie che mostra schemi di divergenza discontinui nella distribuzione geografica. Questo è probabilmente dovuto a barriere estrinseche a lungo termine al flusso genetico corrispondente alla categoria Ia di Avise et al . (1987).

Fig. 4 Distribuzione geografica di 313 aplotipi di Emys orbicularis. I numeri vicino ai simboli indicano la frequenza di aplotipi per località (simboli senza numeri rappresentano singoli esemplari), i simboli nei riquadri segnano le popolazioni polimorfiche, i cerchi tratteggiati indicano località inesatte. Linee tratteggiate segnano la divisione di distribuzione secondo l’ipotesi 4a usato per l’amova. Il riquadro in alto a sinistra indica i simboli degli aplotipi, il riquadro in alto a destra mostra la distribuzione recente della E. orbicularis. Oltre a questi 313 esemplari sono stati ottenuti dati da altri 110 provenienti da località della Spagna: Menorca (V19), Mallorca (V12, IIa8); Italia: Castel Porziano (IVa15, V5); Francia: Camargue (IIa), Lyon (IIa); Danimarca, diverse località Ia6, Ib, IId); e Germania, diverse località (Ia14, Ib, IIa10, IIIa, IIIb, IVa11, V2, VIa), ma non erano utilizzabili per analisi filogeografiche (vedi Lenk et al. (1998)) e quindi sono state escluse.

 

Tabella 2 Sette potenziali tipi di arrangiamento spaziale (a–g) di lignaggi mitocondriali durante l’ultima glaciazione (come mostrato in Fig. 1) come utilizzato per i test parziali di Mantel.

Tabella 3 Test parziali di associazione di Mantel per esaminare il processo di espansione post-glaciale: insignificanti probabilità di ipotesi per la regressione parziale tra la composizione genetica spaziale e ipotesi causali. Le ipotesi sono presentate da tipi diversi di arrangiamenti di lignaggi mitocondriali nei rifugi glaciali (a–g; Tabella 1) in combinazione con scenari putativi che modulano l’espansione post-glaciale (1–6, Fig. 1). Ciascun test di Mantel implica 10 000 randomizzazioni. * indica significato P < 0.05 dopo una correzione sequenziale di Bonferroni. Le sei colonne della tabella in alto presentano i risultati di sei test parziali di Mantel per esaminare l’arrangiamento di lignaggio più probabile durante l’ultima glaciazione. Potrebbero essere ottenute associazioni significative alla presente distribuzione di aplotipi in quelle ricostruzioni che sono state basate su un solo tipo di arrangiamento. La parte inferiore mostra le probabilità di scenario 1–6 basate sull’arrangiamento di tipo a. La ricostruzione basata sullo scenario 4 e l’arrangiamento di tipo a è l’unica ipotesi che mantiene un’associazione rilevante rispetto al presente schema di distribuzione degli aplotipi.

Tabella 4 Variazione mitocondriale in Emys orbicularis secondo le frequenze di aplotipo e sequenze di divergenza. Il livello di variazione genetica delle tre fonti, tra gruppi, tra popolazioni nei gruppi e nelle popolazioni sono state esaminate dall’amova. Sono indicate le componenti di variazione e le percentuali di variazione di ciascun livello gerarchico. La parte inferiore della tabella contiene gli indici di fissazione e i significati degli indici di fissazione oltre ai componenti della variazione dopo i test di permutazione.

Discussione

L’origine della Emys orbicularis

Un’analisi filogenetica di alcune testuggini del genere emydid (Bickham et al. 1996) basata su sequenze di 16S rRNA ha già rivelato che la specie monotipica Emys è un gruppo sorella delle Clemmys marmorata ed Emydoidea blandingii. Le nostre scoperte basate sui geni di citocromo b e di tRNAThr avvalorano questo studio identificando le C. marmorata e E. blandingii come i più vicini taxa rimasti alle Emys, malgrado filogeni basati morfologicamente non sono concordanti (Gaffney & Meylan 1988; Burke et al. 1996). Poiché la E. orbicularis è l’unica rappresentante nel vecchio mondo della famiglia di testuggini palustri Emydidae altrimenti rigorosamente appartenenti al nuovo mondo, è plausibile un centro di radiazione vicino-artica per questo gruppo (Fritz 1998). I resti fossili più antichi di Emys in Kazakhstan sono databili al medio Miocene (12 milioni di anni; Chkhikvadze 1989). L’incesto putativo di questa specie, tuttavia, doveva superare il Ponte di Bering molto prima, perché divenne climaticamente invalicabile circa 20 milioni di anni fa. Questa ipotesi è in gran parte d’accordo con le ipotesi basate su serpenti (Szyndlar 1991) e anfibi fossili (Maxson et al. 1975). Hutchison (1981) propose che gli antenati della Emys entrarono in Asia dai 15 ai 29 milioni di anni fa. Supponendo che le  Emys, C. marmorata, e Emydoidea, si differenziarono 20 milioni di anni fa, può essere ottenuta una percentuale di sostituzione del 0.3–0.4% di divergenza di sequenza per un milione di anni. Questo valore è in accordo con altre scoperte sull’evoluzione dell’mtDNA delle testuggini (0.4% divergenza di sequenza/milioni di anni; Avise et al. 1992; Bowen et al. 1993; Lamb & Lydeard 1994). Secondo questa calibratura la divergenza che porta ai lignaggi rimanenti di Emys avvenne circa 3.0–4.1 milioni di anni fa, visto che la media della distanza genetica tra i sette lignaggi è di x¯p = 1.23%. Considerando che la E. orbicularis vive in aree del Mediterraneo e in climi miti, le condizioni tropicali dell’era del Pliocene erano sfavorevoli e impedirono un’espansione precedente attraverso l’Europa. Tuttavia si instaurò in Europa un clima più favorevole con cambiamenti di stagione più significativi 3.2 milioni di anni fa (Suc 1984). E’ possibile che questo importante cambiamento provocò una radiazione improvvisa, come dimostrato dalla filogenia a stella in Fig. 3. In effetti la divergenza di sequenza media tra i lignaggi principali (1.23%), quando calibrata contro 3.2 milioni di anni suggerirebbe una percentuale di evoluzione del 0.38% per milioni di anni che concorda con la nostra calibratura precedente.

La storia quaternaria della E. orbicularis

Durante le oscillazioni climatiche del Pleistocene la distribuzione della E. orbicularis diventò probabilmente frammentaria con isolati lungo una sottile fascia attraverso la Francia meridionale. Questa fascia è stata plasmata dai climi freddi al nord (Frenzel 1967) e da sbarramenti creati da habitat inappropriati (il mar Mediterraneo e i deserti del nord Africa) verso sud. L’Europa meridionale tuttavia è spesso composta da blocchi di montagne e insenature marine che possono contribuire a una distribuzione frammentaria e ad un isolamento genetico. La E. orbicularis rispecchia questa situazione in una massima diversità di aplotipo su un transect da Ovest ad Est che si estende attraverso l’Europa meridionale e il Medioriente (Fig. 4). Test parziali di Mantel (Tabella 3) indicano che l’Italia meridionale (V e III) e la Grecia (IV and II) servirono simultaneamente come rifugi per due lignaggi distinti. In teoria, due ragioni sono possibili: (i) i suddetti rifugi ospitavano assembramenti polimorfici e uno smistamento di lignaggio durante l’espansione avrebbe prodotto le attuali popolazioni polimorfiche; (ii) i rifugi erano suddivisi in sottorifugi allo/parapatrici che erano già costituiti da popolazioni polimorfiche. Questo è forse più probabile del mantenimento di un’unica popolazione polimorfica in rifugi glaciali. Vista l’eredità unigenitoriale dell’mtDNA, Avise et al. (1987) discussero che l’evoluzione degli aplotipi si auto-diminuisce a causa dell’eliminazione continua dei genomi mitocondriali paterni in ogni nuova generazione. E’ da aspettarsi che questa tendenza sia osservata durante i periodi di distribuzione frammentaria e di riduzione della densità di popolazione (Hewitt 1996). La vicarianza di lignaggi relativamente vecchi in Italia e in Grecia non solo conferma l’ipotesi dei rifugi (e.g. Hewitt 1996) della specie europea per sopravvivere alle glaciazioni, ma propone anche una significante estensione di queste popolazioni e una loro stabilità per lunghi lassi di tempo. Fluttuazioni nelle popolazioni causate da cambiamenti climatici aumentano il rischio di estinzioni e sostituzioni da parte di assemblaggi adiacenti e quindi avrebbero contribuito alla perdita della diversità genetica. Tuttavia questi lignaggi vicarianti in Italia e in Grecia sostengono la prospettiva di condizioni durevolmente favorevoli nelle estremità meridionali fin dal Pliocene. Barriere effettive dovrebbero rievocare tali rotture genetiche. L’Italia e la Grecia sono state frammentate da montagne ed insenature marine almeno dal Pliocene (e.g. Schröder 1986; Doutsos et al. 1987; Santucci et al.1996) agendo possibilmente come barriere al flusso genetico. Eppure corridoi costieri avrebbero potuto incoraggiare uno scambio genetico e neppure gli stretti marini rappresentano barriere assolute per le E. orbicularis come indicato da aplotipi strettamente imparentati (Fig. 4) da entrambe le parti dello Stretto di Gibilterra (3.5–3.0 milioni di anni fa; Rögl & Steininger 1983). Wright (1978) e Endler (1977) discussero che l’evoluzione poteva agire nelle specie con popolazioni semi-localizzate legate da un basso flusso genetico. Quindi ipotizziamo che l’osservata vicarianza sia stata mantenuta sotto condizioni allo/parapatriche. Il sinergismo della bassa mobilità e un ridotto scambio genetico appare abbastanza forte da evocare una distinzione genetica e prevenire l’amalgamarsi di raggruppamenti genetici.

La sovrapposizione di zone di mtDNA 

I nostri dati dimostrano che è possibile un’estesa simpatria mitocondriale tra lignaggi mitocondriali adiacenti, inclusa una zona nella penisola iberica nord-orientale e una nei Balcani meridionali. In generale, l’mtDNA di testuggini palustri e di terra non rivela una zona estesa di sovrapposizione ed è di regola una solida struttura geografica (Lamb et al. 1989; Lamb & Avise 1992; Osentoski & Lamb 1995; Walker et al. 1995). Tuttavia alcuni di questi studi hanno mostrato che aplotipi strettamente imparentati possono condividere una stessa distribuzione. Nella E. orbicularis è stato osservato uno schema simile nella regione dell’Egeo dove si incontrano aplotipi Ia, Ib, IIa, e IV. La massima sovrapposizione è stata trovata tra aplotipi imparentati come Ia/Ib e IIa/Ib (Fig. 4). Lignaggi più distinti (II, V, and VI) s’incontrano in una zona di contatto secondaria nella Spagna nord-orientale (Fig. 4). IIa è originata dalla regione dell’Egeo e la V dall’Italia meridionale. Entrambi i rifugi sono abbastanza lontani dalla penisola iberica nord-orientale. Questo indica che il lignaggio iberico indigeno VI si è sviluppato in minima parte, mentre gli aplotipi alloctoni II e V sarebbero penetrati nella penisola iberica dopo aver superato i Pirenei. Non è lo scopo di questo studio paragonare le diverse zone di contatto della E. orbicularis, ma vorremmo evidenziare che questa significativa sovrapposizione è situata lontano dai putativi rifugi centrali meridionali. Forse sono derivati da estesi movimenti di distribuzione tra forme con diverse origini e storie (vedi sotto). 

La via della re-immigrazione

In generale, gli schemi filogeografici sono considerati il risultato di un processo plurifattoriale, essendo piuttosto arbitrari e variabili tra le specie (Taberlet et al. 1998). Il nostro studio rappresenta un tentativo di riconoscimento delle tendenze nella filogeografia della testuggine palustre europea, applicando allo stesso tempo modelli filogeografici semplici con un numero limitato di variabili. Test parziali di Mantel ipotizzano che popolazioni al centro dell’antica distribuzione, i Balcani meridionali, siano stati favorite o nella loro potenziale d’espansione, nei loro confini di distribuzione settentrionale o in entrambi. Questo scenario implica un fattore ecologico ottimale nel centro che diminuisce nel perimetro di distribuzione. Ma quali sono i parametri causali? Supponiamo piuttosto che i rettili termo-sensibili siano stati affetti dal clima. Tranne per il gradiente di temperatura dipendente dalla latitudine, un secondo gradiente relativo alle condizioni climatiche si instaurò attraverso l’Europa durante il periodo post-glaciale (Kutzbach & Guetter 1986). Mentre il regime di temperatura annuale nell’Europa orientale mostra cambiamenti stagionali significativi, l’influenza atlantica nell’Europa occidentale ha un effetto compensatore che risulta in estati più fresche. Perciò le temperature estive nelle regioni climatiche continentali offrono condizioni termali più adatte ai rettili (Hecht 1928; Spellerberg 1976) e, di conseguenza, potrebbero aver favorito un’espansione post-glaciale. Nelle regioni più orientali, tuttavia, le condizioni favorevoli sono contrastate da climi continentali estremi come l’aumento dell’aridità. Le popolazioni balcaniche come fonte principale della ricolonizzazione dell’Europa non è l’unica caratteristica della E. orbicularis. Altri organismi come la Zootoca (Guillaume et al. 1997) o la Corthippus (Cooper et al. 1995) ovviamente condividono alcuni schemi di distribuzione e percorsi di re-immigrazione con la E. orbicularis. E’ rilevante che solo le testuggini con il lignaggio I e II che si sono differenziate più tardi rispetto agli altri lignaggi (i.e. nell’era del Pleistocene) hanno sviluppato strategie per sfruttare estati brevi ma calde. Nelle zone nordiche della distribuzione di solito depositavano un’unica grande covata all’anno (JabLo~ski & Jab~Lo~ska 1998), mentre due o più covate sono comuni nelle regioni meridionali (Bannikow 1951; Kotenko & Fedorchenko 1993; Fritz et al. 1995). La caratteristica è parallela a tratti morfologici rilevanti. Malgrado una colorazione scura o una grande massa corporea possono essere trovate in alcune sottospecie meridionali di E. orbicularis, le zone nordiche di distribuzione sono abitate esclusivamente da forme grandi e di colore scuro attribuibili alla sottospecie orbicularis (Fritz 1992).

Conclusioni

I rettili terrestri e palustri sono, a causa delle loro limitate capacità di dispersione e la dipendenza dalla temperature, indicatori sensibili per lo studio dei processi biogeografici. Le deduzioni dall’organizzazione geografica di modelli genomici contribuiscono sostanzialmente sia alla geografia storica che alla biogeografia degli organismi. Come descritto sopra, solo alcuni studi filogeografici trattano intere distribuzioni di specie in tutta l’Europa. In questo contesto la Emys orbicularis sembra essere una delle specie di vertebrate più frammentate nella regione paleoartica occidentale. Deduciamo questo da alcuni tratti caratteristici della loro storia, come la bassa competizione tra specie di testuggini palustri, relativamente basse capacità dispersive e un’alta longevità che potrebbe proteggere le popolazioni locali dall’estinzione durante disturbi a breve termine dell’habitat. Le ere glaciali hanno avuto dei notevoli impatti sulla fitogeografia della E. orbicularis, incluso un ricorrente ritiro dall’Europa centrale. Si suppone che i rifugi siano localizzati nell’Europa meridionale e nel Medioriente. Il nostro studio ha confermato che durante l’ultimo pleniglaciale la Emys era effettivamente presente in tutte le penisole meridionali europee, ma che ipotetici rifugi a nord 40N latitudine sono infondati. Quindi, non è stata trovata nessuna prova che delle regioni, ad esclusione di minuscole aree nell’estremo sud dell’Europa e nella vicina Asia, fossero climaticamente adatte per le Emys durante il pleniglaciale. L’attuale distribuzione degli aplotipi ipotizza  un’espansione post-glaciale che differisce sostanzialmente dai modelli simmetrici d’immigrazione che implicano una struttura filogeografica dipendente semplicemente dalle distanze migratorie o un gradiente di temperatura da sud a nord. Invece, la E.orbicularis mostra la tendenza a una modalità di espansione centrifuga probabilmente causata da un declino di fattori ecologici nel perimetro di distribuzione. La profonda divergenza genetica tra i lignaggi mitocondriali principali indica che erano già avvenuti sorprendenti processi di speciazione. Si potrebbe discutere che almeno i lignaggi III, V e VI rappresentano specie distinte, come i dati morfologici (Fritz 1998) e molecolari corrispondono attraverso le aree di distribuzione delle sottospecie. Per risolvere questa questione tassonomica, la Emys deve essere studiata nel suo complesso usando loci nucleari con particolare enfasi sulle zone di contatto dei lignaggi identificati in questo studio.

Ringraziamenti

Questo studio è stato sostenuto da sovvenzioni da: Deutsche Forschungsgemeinschaft (Jo 134/7–1, Wi 719/181), Deutsche Gesellschaft für Herpetologie und Terrarienkunde, Naturschutzbund Deutschland, DAAD, e Boehringer Mannheim. R. Thorpe ha gentilmente fornito un programma computerizzato per i test parziali di Mantel. Siamo molto in debito con i seguenti scienziati e colleghi per aver fornito campioni e sostenuto le ricerche sul campo: T. Amann; C. Ardizzoni; H. Artner; A. Bertolero; P. Beyerlein; N. Braitmayer; H. Bringsøe; J. Buskirk; A. Capolongo; D. Capolongo; G. Damer; V. Ferri;

M. Grabert; H. J. Gruber; S. Hanka; U. Heckes; P. Heidrich; N. Jablo’nska; A. Jablo’nski; N. Jendreztke; C. Keller; B. Kemmerer; V. Keuchel; K. Klemmer; Z. Korsós; V. LaCoste; R. Mascort; W. Matzanke; J. Mayol; F. Meyer; S. Mitrus; B. Opuoba; V. F. Orlova; A. Sanchez; B. Sättele; N. Schneeweiß; A. Seidel; E. Snieshkus; E. Taskavak; S. Tripepi; C. Utzeri; M. Veith; R. Wicker; M. Zemanek; M. Zuffi. Ringraziamo Bob Wayne e due recensionisti anonimi per i loro commenti sul manoscritto. 

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Questo studio fa parte del PhD di Peter Lenk dedicato alla micro-evoluzione, alla filogenia e alla genetica di conservazione della testuggine palustre europea. Ha condotto il lavoro molecolare nei laboratori di Michael Wink. Peter Lenk sta anche lavorando sulla microevoluzione di alcuni serpenti colubridi europei e la filogenia molecolare di serpenti Viperini. Uwe Fritz è Direttore Delegato e Curatore del Dipartimento di Erpetologia del Staatliches Museum für Tierkunde Dresden e ha fornito la maggior parte dei campioni. Il suo interesse particolare è la tassonomia e la variabilità dei chelonidai Paleartici e dall’Asia sud-orientale. Ulrich Joger, Curatore dei Vertebrati all’Hessian State Museum, Darmstadt, Germania insegna anche zoologia ed ecologia desertica all’Università di Darmstadt. Progetti di ricerca correnti includono la filogenia molecolare di mammiferi, rettili e anfibi, l’esplorazione erpetofaunistica di molti paesi dell’Africa e dell’Asia, l’ecologia di anfibi e rettili del deserto. E’ interessato all’applicazione di metodi molecolari alla filogenia e alla microevoluzione di molti gruppi di rettili. Michael Wink è Direttore dell’Institut für Pharmazeutische Biologie all’Università di Heidelberg. Oltre a progetti di ricerca in fitochimica e in ecologia chimica dirige un laboratorio per studiare l’evoluzione molecolare e l’ecologia di animali e piante.

 

 

 

Sabato, 05 Luglio 2014 08:09

Malattia ossea metabolica

Interessante articolo sulla Malattia Ossea Metabolica (M.O.M.) delle tartarughe.

 

Lunedì, 30 Giugno 2014 15:09

Resoconto di viaggio 2011

Madagascar 2011

Foto 1


Partenza il 31 marzo,  e dopo 24 ore di viaggio,  con tre cambi di aereo, in tre, Agostino, Luca e Mirko,  appesantiti da sei  enormi valigie piene di materiali e doni, eccoci per la terza volta a Mahajanga, la città dei fiori(foto2,3,4),

Foto 2

Foto 3

Foto 4

La nostra città d'appoggio per il proseguimento del "Progetto TCI Angonoka".  La prima sorpresa è il verde che avvolge tutto il paesaggio(foto 5), 

Foto 5

che ti coinvolge e ti da una carica di ottimismo,   molto diverso dalle due missioni precedenti che erano state organizzate nella loro primavera che corrisponde alla fine della stagione secca,  quindi con la vegetazione spoglia e in attesa dell'arrivo delle prime piogge per esplodere in uno spettacolo  di colori e di vita, infatti sono tantissimi gli animali che ritornano ad essere attivi, come il grosso boa della foto6,  camaleonti (foto7) o strani animali(foto8 e 9).        

Foto 6

Foto 7

Foto 8

Foto 9

Questa volta,  avendo più giorni a disposizione,   ci adeguiamo al ritmo di vita malgascio e "mora mora" iniziamo ad organizzarci,   con il nolo dei quad(foto10),

Foto 10

indispensabili per muoversi con agilità in qualsiasi strada o terreno,  che spesso si trasforma in pozzanghere immense e incredibilmente profonde,   specialmente dopo i residui acquazzoni che quest'anno sembra non vogliano proprio finire, anche se erano previsti,  dato che la stagione delle piogge era iniziata con quasi un mese di ritardo.   Il primo giorno scorre velocemente per qualche piccolo acquisto, come le schede telefoniche malgasce, molto più economiche per telefonare sia in loco che in Europa   e   la visita a qualche amico con relativa consegna di piccoli doni, importanti per mantenere le relazioni in loco e ricevere consigli per i nostri prossimi acquisti specialmente di materiale di cancelleria.
Da uno di questi amici ci soffermiamo per visitare le sue Astrochelys radiata(foto11e12)

Foto 11


Foto 12che tiene in giardino e soprattutto la piccola nata da poco(foto13)  di cui siamo un po’ orgogliosi in quanto nel viaggio precedente gli avevamo dato consigli che sembrano siano stati utili, dato che in tanti anni non era mai riuscito a riprodurne nessuna. 

Foto 13

I giorni successivi sono poi dedicati alla ricerca e acquisto dei materiali che non siamo riusciti a caricare o acquistare per eccesso di peso e volume nelle valigie già piene all'inverosimile .  Con la cifra raccolta di 443 euro,   siamo riusciti ad acquistare una decina di scatoloni di quaderni di varie dimensioni,  righelli, squadre, gommme, temperini, gessi bianchi e colorati e anche due palloni da basket e football,  risultati molto graditi.  In città, abbiamo cercato gli ossi di seppia da usare come integratori alla dieta delle Angokoka, ma sembra che qui nessuno ne sappia nulla, anche se forse da altre parti si potranno rimediare.  Con tutto il materiale reperito,  attendiamo Ernest,  il direttore del centro di recupero di Ampijoroa,  che però non smentisce le abitudini malgasce;   l'appuntamento di  prima mattina,  alle ore 8 si è "leggermente" modificato  con tutta naturalezza alle 11.   Caricato il robusto fuoristrada che ci porterà in mezzo alla foresta di Ankarafantsika,   finalmente si parte,  con le inevitabili piccole preoccupazioni di aver tutto il necessario;  il pensiero va sempre alla situazione in foresta,   dove anche un piccolissimo inconveniente può risultare importante per il proseguimento del programma.  Dopo  poco più di due ore di strada ancora in buone condizioni,  arriviamo a destinazione ed è tanta la frenesia che neppure scarichiamo tutte le valigie e siamo già al lavoro.  Iniziamo subito a dare un'occhiata ai lavori e prendere le prime decisioni sul programma esecutivo,   poi ci dividiamo i compiti,   Luca e Mirko si dedicano alla sistemazione delle linee dei sensori per la protezione del perimetro della nuova recinzione(foto14) e Agostino inizia ad installare la stazione fissa  di  rilevamento delle temperature nella posizione di deposizione delle uova delle Angonoka.   

Foto 14
I lavori procedono velocemente,   grazie alle passate esperienze e alla buona manovalità di tutto il gruppo. Appena ultimata l'installazione della stazione fissa con la sonda posizionata sui nidi(foto15), 

Foto 15

incarichiamo una persona del centro a rilevare i valori ogni ora per le 24 successive,  in modo da verificare non solo le minime e massime,  ma anche i tempi di variazione e in che orari della giornata si verificano ,   importanti poi per le future valutazioni del programma di impostazione dei valori dentro l'incubatrice.  Purtroppo ci viene segnalato che rispetto all'anno precedente l'energia elettrica,  ora è disponibile solo dalle ore 9,00 alle 21,00 e quindi la nostra incubatrice che è dotata di doppia temperatura diurna/notturna,   l'abbiamo dovuta adattare alla nuova realtà;   abbiamo programmato la seconda temperatura (notturna) per le prime due ore e per le ultime due, in modo da creare una degradazione termica il più lineare possibile.
 La mattina successiva abbiamo verificato che la temperatura minima, internamente è stata ottimale e rispettava il nostro programma.  L'unico valore ancora non corretto è stata l'umidità che si è rilevata subito troppo elevata ed è stato necessario diminuire il valore impostato ed assorbire materialmente l'acqua nelle pareti del vetro dello sportello, oltre ad aprire completamente i fori di areazione laterali.
Nel frattempo i lavori delle linee dei sensori sono quasi finiti e installiamo il sensore magnetico alla porta d'ingresso del nuovo recinto.    Installiamo anche la nuova postazione per i proiettori a Led del nuovo recinto su un palo metallico ben robusto(foto16),

Foto 16

dove Ernest aveva già fatto preparare un cappello di protezione già verniciato  ed installiamo i relativi cavi elettrici. Il terzo giorno installiamo la nuova centralina elettronica e relative modifiche alla vecchia e procediamo alle verifiche di funzionamento che rilevano solo il non funzionamento di uno dei nuovi proiettori Led ,   velocemente poi sistemato.  Finalmente,   dopo le verifiche di corretto funzionamento del sistema totale di sicurezza,  ci rilassiamo un pò  e ci dedichiamo a dissotterrare le uova da posizionare nell'incubatrice (foto17,18 e19). 

Foto 17

Foto 18

Foto 19

Il responsabile del Durrell, Lance Woolander,   decide di spostarne solo 12,  in attesa della decisione degli esperti della sede centrale(foto 20).

Foto 20

Mirko, che è alla sua prima visita al centro,  nel frattempo si spupazza qualche Angonoka(foto21) e scatta qualche bella foto (foto22,23e24).

Foto 21

Foto 22

Foto 23

Foto 24

Verifichiamo anche la possibilità futura di utilizzare dei vecchi pannelli  fotovoltaici(foto 25),  da corredare di nuove batterie, regolatore di carica, inverter  ed un relè che permetta di  sfruttare  questa nuova alimentazione  solo negli orari che la corrente elettrica del centro viene interrotta.  

Foto 25 
Ovviamente questo è solo in previsione futura. L'ultimo pomeriggio è dedicato alla visita della scuola nei pressi del centro per la consegna di tutto il materiale di cancelleria dove Ernest ha già avvisato del nostro arrivo.  Ci attendono, oltre  agli insegnanti, più di cento bambini  dai 6 ai 12 anni (foto dal 26 al 30)

Foto 26

Foto 27

Foto 28

Foto 29

Foto 30

e la cosa che più ci ha colpito è stata l'estrema compostezza di tutti i bambini che anche nei momenti sotto un sole cocente non facevano una piega e rimanevano in riga come dei piccoli soldati, ma sempre con un tenerissimo sorriso stampato sui loro bei visi ;   cosa inimmaginabile coi bambini di casa nostra.  Qui la vita è talmente dura per la povertà estrema che i bambini non possono permettersi di essere capricciosi e i valori all'interno delle famiglie sono ancora molto forti con la scala gerarchica ben salda e gli anziani che ancora sono il fulcro della famiglia .
Precedentemente consigliati, chiediamo di voler procedere alla distribuzione singolarmente di tutto il materiale, onde evitare facili perdite di materiali. Dopo un primo tentativo di effettuare la distribuzione all'interno di una grande aula,  gli insegnanti optano per la ben più fresca posizione sotto un grande albero di mango,  ovviamente tutti in riga rigorosamente. Gli insegnanti iniziano a distribuire i materiali e ben presto, visto la quantità,  ci rendiamo conto che l'operazione sarà lunga ,  ma veniamo immediatamente coinvolti tantissimo sia per le bellissime espressioni dei bimbi(foto dal31 al 34) che per la consapevolezza  dell'importanza della donazione.

Foto 31

Foto 32

Foto 33

Foto 34

Impressionante vedere la compostezza dei più piccoli che pur dopo ore,   stanchi , cercano di resistere al peso dei doni e alla fine crollano, sedendosi  però sempre nell'esatta posizione assegnatagli(foto35,36e37e38) .

Foto 35

Foto 36

Foto 37

Foto 38

Bellissima la scena dove MirKo "cerca di confondersi" coi bimbi effettuando un provvisorio furto di materiale ad un incredulo bimbo(foto39). 

Foto 39

Poi consegniamo i palloni (foto40e41).

Foto 40

Foto 41
Nel frattempo, si è radunata una folla di genitori venuti ad assistere alle operazioni e alla fine una delegazione dei capi villaggi ci porge un rituale di ringraziamenti.   Per ultimo consegniamo agli insegnanti uno scatolone di gessetti bianchi e colorati, da usare nelle lavagne della scuola e del materiale rimasto fra cui gli evidenziatori raccolti e un pò di penne.  Dopo i rituali di ringraziamento,  ci viene comunicato che dobbiamo passare dal capo villaggio per una cerimonia che inizialmente pensavamo fosse un ulteriore ringraziamento;   arrivando ad un piccolo villaggio dove sembrava che ci attendessero con un grande pentolone su fuoco ardente,   con una scena tipica dei primi film di cannibali e devo dire che non riuscivo a trattenere la sgrignarella,  mentre qualcuno cercava di spiegarmi che la cosa era di estrema serietà, veniamo accompagnati all'interno di una caldissima capanna tutta in lamiera bollente nella quale su una grande tavola erano già pronte varie bottiglie di bevande con bicchieri ben poco presentabili e alcune persone pronte ad effettuare una strana cerimonia che ci spiegano si trattava di una sorta di rito propiziatorio per permetterci di effettuare il viaggio di ritorno in città sani e salvi,  in quanto l'ultima volta che degli stranieri erano venuti a portare doni, uno di loro nel viaggio di ritorno verso la capitale Antananarivo era stato assaltato dai banditi e deceduto. Ovviamente quando abbiamo saputo della cosa,  qualcuno di noi ha eseguito un "rito supplementare", tipicamente occidentale.  
Dopo 15 minuti di preghiere in lingua malgascia, quindi indecifrabili, in posizione religiosa,  abbiamo effettuato il brindisi finale e quindi salutato gli abitanti del piccolo villaggio(foto42) .    

Foto 42

Ad ogni modo per tutti è stata un'esperienza toccante e molto profonda,  che ci ha fatto sentire fieri dell'operazione effettuata.  L'ultima sera trascorre velocemente, sotto una stellata incredibile, inimmaginabile alle nostre latitudini, al punto di sembrare irreale,   con la via lattea che evidenzia una tale quantità di stelle che sembra quasi una sorta di foschia,   poi la mattina seguente, alzati di buon ora come sempre, dedichiamo due ore a discussioni sull'incubatrice,  alle ultime verifiche di funzionamento(foto43 e 44),

Foto 43

Foto 44

ultimi ritocchi e verifica di funzionamento dello speratore (foto45).  Prima di partire riusciamo ad assistere all’inserimento dei nuovi mini microchip a delle baby Angonoka(foto46,47 e 48) da poco sequestrate e ritornate al centro.
Foto 45


Foto 46

Foto 47

Foto 48

Impressionante con quanta facilità Ernest inserisce i microchip alle piccolissime baby.
Ultima foto di rito del gruppo e poi si parte(foto49).

Foto 49
Durante il viaggio di ritorno,  rilassati e contenti per il buon esito dei lavori,  ci godiamo il paesaggio e i sempre colorati mercati dei piccoli villaggi lungo la strada(foto dal50 al 56)                                                            
Foto 50

Foto 51

Foto 52

Foto 53

Foto 54

Foto 55

Foto 56
e ogni tanto ci siamo fermati per l’acquisto di frutta, specialmente i buonissimi kunkun (foto57e58) o anacardi.       

Foto 57

Foto 58
Una volta rientrati in città,  trascorriamo un pò di giorni in relax(foto59), in attesa della partenza di Mirko e successivamente di Luca, mentre Agostino ha deciso di restare per  cercare di organizzare una visita al parco di Soalala,  metà difficile e concessa a pochi fortunati,  oltre ad un previsto ritorno al parco per una verifica finale di funzionamento .   

Foto 59
Nel frattempo il Durrell, gentilmente si muove per organizzare la mia visita a Soalala via mare, in quanto ancora la stagione non permette di arrivarci via terra.   Nell'attesa della nuova partenza, non sono mancati episodi  a tema tartarughe,  come  l'incredula richiesta che mi ha fatto un ragazzo una sera al rientro in albergo, che parlando in un modo un pò guardingo mi propone la vendita di una baby di Angonoka(foto 60 e 61),

Foto 60

Foto 61

detenuta in un piccolo astuccio tipo "marsupio"che a dir sua sarebbe stata trovata ai bordi di una strada fuori città, ovviamente è quasi sicuramente una grossa balla in quanto le baby si possono trovare solo nel parco di Soalala e trasportate solo via mare. Ovviamente alla richiesta è scattato il sequestro dell'esemplare da parte mia e l'immediata chiamata al capo della polizia locale che per altro stava arrivando in albergo per cena e proprio per questo motivo il ragazzo se l'è cavata con una strigliata e una "ritirata" strategica e fortunata, in questi casi solitamente si procede all'arresto immediato. L'esemplare è stato affidato a me e successivamente consegnato al Ministero delle Foreste(foto 62) e quindi al Centro di recupero di Ampijoroa; un altro salvataggio del TCI in terra malgascia.    

Foto 62
Poi una mattina,  la bella esperienza del ritrovamento e salvataggio di 53 baby tartarughe di Lepidochelys olivacea(63e 64), uscite da un nido proprio davanti all’albergo,  che per strane coincidenze si erano dirette in direzione opposta al mare, ficcandosi in un bacino acquitrinoso e melmoso(foto65) dove avrebbero avuto ben poche possibilità di salvarsi dai diversi predatori fra cui i temibili corvi locali.

Foto 63

Foto 64

Foto 65
Il rilascio poi è avvenuto due notti successive,  con una emozionante  esperienza condivisa anche da un gruppetto di turisti dell'albergo (foto dal 66 al 69).   

Foto 66

Foto 67

Foto 68

Foto 69
Diverse poi sono stati gli esemplari di tartarughe visitate in altrettanti giardini;  quasi sempre si trattava di stupende Astrochelys radiata(foto70).

Foto 70
Invece un pò di sorpresa c'è stata nel vedere in un giardino una Pelomedusa subrufa (foto71)  non certo endemica del Madagascar.  

Foto 71

Ho cercato anche di fotografare alcuni esemplari di tartarughe acquatiche che mi avevano segnalato in una risaia nei pressi della città e molto vicino al mare,  ma il tentativo è stato vano,  forse per non aver proposto soldi al mio tentativo di fare un servizio fotografico. 

Dopo circa tre settimane dai primi lavori al Centro di recupero di Ampijoroa,  il viaggio, organizzato dal Durrell per il TCI è pronto e una mattina di buon ora, ancora col buio, si parte con un viaggio di quasi 4 ore con una scialuppa veloce e carica anche del carburante per il ritorno.   Arriviamo al villaggio di pescatori(foto72) dove l'unico piccolo albergo ha già una delle 3 camere riservata a me e dopo il deposito dei bagagli si riparte col battello per Baly Bay.   

Foto 72
Arriviamo in una baia con la marea molto bassa(foto73,74e75),

Foto 73

Foto 74

Foto 75

quindi è inevitabile scendere e percorrere un tratto a piedi  in mezzo alla melma, caratteristica della baia che è famosa per la riproduzione e pesca dei gamberi e granchi;  qui troviamo, oltre a due simpatici bambini che giocavano con delle riproduzioni di piroghe (foto76), 

Foto 76

un piccolo villaggio di pescatori dove dalle capanne si capisce subito l'estrema povertà  e rinnoviamo il rituale col capo villaggio per ottenere  il permesso di passare e visitare l'interno, ricevendo in dono due grossi cocchi come scorta di acqua, visto il forte caldo .  Il capo villaggio si distingue dall'installazione sulla sua capanna da alcuni pannelli fotovoltaici(foto77)

Foto 77

che contrastano nettamente con l'ancestralità della sua abitazione,  che poi ci spiega non funzionano in quanto probabilmente le batterie sono fuori uso .  Ad ogni modo iniziamo la nostra marcia all'interno del parco per la ricerca delle Angonoka in natura, sotto un sole cocente, passando prima una parte di foresta bassa con poche grandi piante, tipiche della fascia costiera, con prevalenza di basse palme,   poi arriviamo in una grande radura umida dove attraversiamo una larga palude melmosa(foto78),

Foto 78

ovviamente a piedi scalzi e veniamo attaccati da una marea di insopportabili papatacci che probabilmente ci hanno scambiati per zebù, visto che solitamente sono loro che attraversano questa laguna. Inizia poi la foresta tipica della zona (foto79), 

Foto 79

dove seguiamo un piccolo sentiero che dopo una lunga marcia ci porta ad un piccolo accampamento dove vivono alcuni malgasci che fungono da guardie del parco.  Qui non mancano i simpatici lemuri sifaka(foto80)

Foto 80

che ogni tanto sbucano dalle piante. Questa è l'unica zona dove sono stati rilasciati 40 esemplari tutti dotati di radio-controllo e mi rendo subito conto che è una zona ben protetta ed è quasi impossibile eludere il controllo dei pochi locali,   infatti qui non sono mai stati segnalati furti di esemplari,  a differenza di altre zone del parco dove invece sono più a contatto dei residenti del villaggio di Soalala e più difficili da controllare dalle poche guardie del parco.    Nell'accampamento incontriamo anche un ragazzo che sta lavorando per riparare l'antenna ricevente indispensabile per ritrovare gli esemplari in mezzo alla fittissima foresta ,   dove ci fa attendere un pò per permettere di solidificare alla colla in precedenza applicata.   Poco dopo partiamo per uno strettissimo sentiero che inevitabilmente diventa inesistente in quanto lo strumento ricevente ci porta sempre più in mezzo alla fitta foresta(foto81),

Foto 81

ma poco dopo ecco spuntare la prima Angonoka(foto82)

Foto 82

che evidenzia un pò di piramidizzazione tipica degli esemplari di cattività, ma l'esemplare stava mangiando e sembrava in ottima forma. Poco dopo ecco i primi problemi alla riparazione dell'antenna che inevitabilmente ci fa rallentare le operazioni di ricerca;   infatti ci permette il ritrovamento di un solo ulteriore esemplare e siamo costretti a desistere dalla ricerca in quanto senza lo strumento è veramente difficile(foto83).     

Foto 83
Al ritorno una botta di fortuna  e vediamo una bellissima femmina che pascolava vicino al nostro sentiero(foto84,85 e 86)  e riesco così ad effettuare delle bellissime riprese e foto.    
Foto 84

Foto 85

Foto 86

Dopo ancora un pò di ricerche, decidiamo  di riprendere la via del ritorno che ci riporta nuovamente all'accampamento dove ci rifocilliamo un pò prima della dura marcia finale. Arrivati al villaggio di pescatori, dove una folla di abitanti e bambini(foto87)

Foto 87

ci stava aspettando, acquisto dei grossissimi granchi da far cucinare per la serata e dopo i rituali saluti                                                              agli abitanti che si erano radunati per noi,  si riparte con il battello(foto88) che però grazie alla marea alta, questa volta è vicinissimo e ci evita la melma.

Foto 88
Arrivati al villaggio di Soalala rimane ancora il tempo di una visita nella zona delle mangrovie dove al tramonto c'è uno spettacolo creato da tantissimi uccelli acquatici che si appollaiano per la preparazione della nottata(89e90).

Foto 89

Foto 90


La giornata è stata intensissima e dura, ma la voglia di visitare culture così estreme e differenti dalla nostra è tale che mi permette di scattare le ultime foto nel villaggio prima del tramonto(foto91), 

Foto 91

in attesa che la proprietaria dell'albergo prepari la cena coi granchi consegnati.  Purtroppo la cena nascondeva una spiacevolissima sorpresa per me,   che nell'atto di gustare i buonissimi granchi,  durante un apparente normalissimo morso,  mi si tranciava di netto un incisivo e mi scaturiva una reazione di adrenalina pur non avendo male, probabilmente dovuta allo shock  del fatto,  oltre alla preoccupazione di sapere che nel villaggio non c'è ne un dentista ne dei medicinali. Inevitabile così la decisione di anticipare il ritorno a Mahajanga la mattina successiva sempre con partenza ancora col buio(foto92),

Foto 92

dopo poche ore di mal riposo  che riserva 4 ore di mare abbastanza agitato e quindi con continui forti colpi che finiscono per sfiancare  tutti i componenti della scialuppa .  Rientrato in città la ricerca di un dentista non si presenta facile ma devo dire che alla fine il lavoro provvisorio eseguito da un bravo dentista locale è stato soddisfacente e ha cancellato i  momentanei   pensieri di rientro anticipato.  
A circa 45 giorni dall'arrivo in Madagascar,   ritorno al centro di recupero per un problema imprevisto, con il solito viaggio verso la foresta. Per fortuna il problema era di lieve entità, in pratica un piccolo errore nella progettazione dell'ampliamento che non teneva conto di un limitatore di controllo della carica della batteria che in caso di allarme permetteva l'inserimento delle due potenti sirene e dei 7 proiettori a LED solo per circa 3 secondi e poi arrestava il sistema.  Sistemato il sistema di allarme, procedo alla verifica delle temperature e dell'incubatrice,  risultata importante in quanto nella stazione fissa esterna che rileva le temperature minime e massime nella posizione delle uova, l'incaricato a rilevare quotidianamente le temperature,  per errore aveva modificato l'impostazione dello strumento e negli ultimi 10 giorni aveva rilevato i dati di temperatura dell'aria, anzichè quella della sonda che rileva quelle nei nidi a terra;  cosa prontamente verificata dai tabulati salvati.
Nel corso degli ultimi giorni di permanenza sulla grande isola,  ho effettuato il tentativo di ritrovare un'altro esemplare di Angonoka che mi è stato segnalato in un giardino di una famiglia locale,  una femmina adulta bracconata a Soalala e per altro mi hanno detto che erano in attesa di un maschio,  ma l'abitazione è ubicata all'interno di un quartiere periferico molto affollato e difficile da individuare anche conoscendo la via esatta,  ora rimane la sola speranza che la polizia locale riesca a fare delle indagini positive con gli indizi lasciati da me.  Peccato,  sarebbe stato un recupero molto importante per la salvaguardia di una specie così in pericolo di estinzione.
Ora dopo una lunga permanenza piena di belle esperienze,  salutiamo ancora questa bella isola con il solito augurio di buon ritorno, ma il mal d'Africa ha colpito ancora e penso ci siano pochi dubbi!

Agostino Montalti  (presidente Tarta Club Italia)
Giugno 2011

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Lunedì, 30 Giugno 2014 15:04

Guarda chi si rivede

Guarda chi si rivede !

 

Lunedì di Pasqua 2011, mentre tutta la città si è riversata in spiaggia come da tradizione, scelgo di fare un tour in quad, addentrandomi in mezzo alla natura, anche alla ricerca di alcuni luoghi visitati due anni prima, in occasione della prima visita a Mahajanga, bella città a Nord-Ovest del Madagascar, che guarda sul grande canale del Mozambico.

Come ben sapevo le piste sono a doc per il quad e entusiasmanti sono i vari guadi di ruscelli ancora con l'abbondante acqua della stagione delle piogge appena finita. A differenza del 2009, con la stagione secca al culmine, ora la natura è ricca di vita e colori e mi si presenta con un nuovo aspetto. Non è facile ritrovare le vecchie piste ma poco importa, quelle nuove sono entusiasmanti e perfette per il fuoristrada . Ritrovo comunque alcuni luoghi simboli della zona, fra cui il "Lac sacre", una sorta di piccolo lago sacro, dove i locali vanno a fare cerimonie e pregare, caratterizzato dalla presenza di strani grossi pesci fra i quali alcuni si fanno addirittura toccare, in un'acqua trasparente e dolce.

Ritrovo anche i bellissimi lemuri della specie Sifaka, a mio parere fra i più belli della grande isola, intenti a riposarsi sotto le fresche foglie di alcuni grandi alberi di mango e qui al momento, preso dall'emozione di avvicinarli così tanto da riuscire a dargli dei pezzetti di mela ben graditi e fra scatti di foto e video, non mi accorgo di un particolare che invece scopro visionando successivamente i filmati sul PC ; uno degli esemplari adulti si distingueva perchè gli manca l'occhio sinistro e subito la cosa mi fa ricordare che i primi lemuri sifaka avvistati due anni prima, a circa un chilometro di distanza da quel luogo era una coppia con un piccolo a cui mancava un occhio e che mi ricordavo molto bene per la tenerezza che faceva. La curiosità mi porta subito a cercare nelle tantissime foto del viaggio 2009 e con sorpresa vedo che l'occhio mancante del piccolo è il sinistro.

A questo punto è evidente che il tenerissimo piccolo Sifaka di due anni prima è cresciuto ed è ora diventato un bellissimo adulto; anche se gli manca un occhio è comunque di grande bellezza e devo dire che il fatto di averlo riconosciuto e rivisto a distanza di due anni mi ha fatto molto piacere.

Buona fortuna amico mio!

Agostino Montalti

Madagascar 12-05-2011

Aggiornamento Settembre 2011: Video di alcuni Lemuri avvistati nell'ultima missione del Tarta Club Italia (per tutti gli altri video clicca quì)

 

 

 

 

 

Lunedì, 30 Giugno 2014 14:58

Cronache dal Madascar - Parte 2

Cronache dal MADAGASCAR, la nostra avventura

 

GIORNO 8

Ranohira è una piccola cittadina con poche case e molte capanne e con qualche caratteristico negozietto fra cui l’immancabile “carne fresca”(foto65).Gli abitanti sono famosi anche per i sgargianti colori dell’abbigliamento(foto66). Intera giornata dedicata al Parco Nazionale “Isalo”, considerato uno dei più importanti ed affascinanti del Paese per le sue formazioni rocciose(foto67-68-69) e per i grandi canyon attraversati da piccoli corsi d’acqua, oltre che per le piscine naturali formatesi con l’erosione del tempo. Veniamo accompagnati da una nuova guida in un percorso di trekking della durata complessiva di circa 8 ore che ci riferiscono particolarmente impegnativo per la distanza e le alte temperature sotto le quali dovremo camminare; perciò decidiamo di suddividerlo in due parti in modo da dare la possibilità a tutti di partecipare decidendo, a metà percorso, se continuare o rientrare in albergo. Martina e Viviana, le solite pigrone, scelgono l’alternativa nr.3: un’intera giornata a fare niente passeggiando per il villaggio alla scoperta di un piccolo centro massaggi del quale hanno approfittato e che hanno consigliato agli sportivi per sciogliere i muscoli nel dopo-trekking.

Lejla e i ragazzi sono invece partiti la mattina presto per vistare il parco e le varie piscine naturali(foto70-71-72) con le relative cascate, dove hanno fatto il bagno. Nonostante il caldo si faceva sentire la lunga passeggiata ci ha permesso di vedere tante piante(foto73-74) e animali come scorpioni(foto75), insetto stecco(foto76), veramente difficile da individuare, cavalletta dai bellissimi colori(foto77), lemuri catta(foto78) e fulvi(foto79-80-81), abbiamo avuto la fortuna di vedere da molto vicino gli unici due lemuri sifaka bianchi(foto82-83-84-85) dell’immenso parco.

 

Molto rinfrescante il bagno alla piscina azzurra; brrrr che fredda l’acqua! Alla sera, di corsa a vedere la Regina dell’Isalo(foto86), una conformazione rocciosa che raffigurerebbe una foto 85 regina, ma soprattutto lo spettacolo del tramonto fra le rocce colorate(foto87-88-89-90). Al ritorno in albergo, uno dei frequenti desolanti spettacoli del fuoco che brucia quel po’ che c’è sul terreno già arido(foto91).

GIORNO 9

Ci mettiamo in viaggio ancora una volta, di buon mattino, con il nostro mitico minivan, dove sulla strada incontriamo rare e desolate capanne(foto92-93), solitamente a fianco di una pianta di mango, qualche baobab(foto94) e qualche venditore di mango ancora non maturi(foto95), per raggiungere prima Tulear, dove faremo una breve sosta per visitare il mercato delle conchiglie, e poi Ifaty, dove visiteremo il Parco delle tartarughe “Sokake”. Percorriamo circa 200 Km attraverso piccoli villaggi nati durante gli anni settanta a seguito della scoperta dei giacimenti di pietre preziose e zaffiri.

Per curiosità ci fermiamo presso un rivenditore mussulmano di pietre che ci accoglie in un salone arredato con divani in pelle, una grande scrivania di legno ed un tavolino di cristallo. Senz’altro l’impressione che vuole dare è di lussuosa ricchezza: a noi sembra più un povero arricchito anche un po’ losco, vista la serie di muscolosi ed aitanti ragazzotti che gli girano intorno (body guard o gigolò?). Poco prima di Tulear (che dista 30 Km da Ifaty) ci fermiamo per una visita ad un grazioso parco (Arboretum) che ospita tante piante endemiche del sud(foto96-97-98-99), dove vediamo anche il piccolo lemure Microcebus murinus (foto100), qualche immancabile camaleonte(foto101) e anche qui c’è una piacevole sorpresa: un bel recinto con tante stupende A. radiata (foto102) giusto come “antipasto” della scorpacciata che ci faremo il giorno successivo al Sokake. Lungo la strada vediamo da lontano innumerevoli cimiteri che sono considerati tabù per gli stranieri(foto103) Arriviamo a Tulear, città situata a sud-ovest dell’isola, all’altezza del Tropico del Capricorno, e visitiamo il particolare mercato delle conchiglie(foto104).

Ne troviamo di tutti i tipi, colori e dimensioni, grezze o lavorate a creare oggetti e paesaggi. Filippo ne rimane affascinato e ne fa scorta: che siano arrivate integre dentro la valigia fino in Puglia? Riconosciamo anche alcuni piccoli serpenti e qualche coccodrillo imbalsamato in vendita, sistemati vicino ad un paio di carapaci di tartaruga marina(foto105-106-107), lucidati e pronti per qualche turista. Proseguiamo verso Ifaty, cittadina di pescatori e sede di una delle barriere coralline più belle al mondo, estesa per circa 300 Km. Pensavamo si trattasse di pochi minuti di viaggio ma la strada nazionale n°9 è un disastro ed essendo sul mare, con il forte vento(foto108) sembrava una vera tempesta di sabbia che accumulava cumuli sulla strada; poco dopo infatti c’è il primo insabbiamento(foto109) che con la spinta di tutti riusciamo ad uscirne, ma dopo poco, nei pressi di un piccolo villaggio di pescatori il minivan è definitivamente bloccato(foto110).

In pochi minuti quasi tutto il villaggio viene a vedere la situazione, compreso due maiali neri, e con pochi spiccioli ci prendono su di peso il mezzo(foto111), che comunque constatiamo che non è utilizzabile in un percorso del genere, ma per fortuna che c’è campo per il cellulare per chiamare soccorsi all’albergo che ci invia una vecchia ma robusta Jeep a salvarci(foto112). Poi la guida ci dice che le buche sulla strada le fanno i pescatori per chiedere soldi a chi aiuta ad uscire da queste specie di “sabbie mobili” . Nonostante il forte ritardo riusciamo a sistemarci in albergo, giusto in tempo per uno spettacolare tramonto(foto113) e ci prepariamo alla giornata di domani nuovamente dedicata al fantastico mondo delle tartarughe con la visita al parco “Sokake”.

GIORNO 10

A Ifaty alloggiamo in un bel resort, Hotel Bamboo(foto114-115-116) a ridosso di una incantevole spiaggia poco distante dalla famosa foresta spinosa caratterizzata dalle presenza di una moltitudine di specie vegetali per lo più endemiche che hanno sviluppato meccanismi di adattamento a lunghi periodi di siccità tra cui diverse specie di Baobab(foto117-118-119-120). Per andare al parco scegliamo un mezzo di trasporto molto spartano e caratteristico: due carri trainati da due coppie di zebu(foto121); splendida idea se non fosse che gli zubu hanno la diarrea……

Nel bel mezzo di questa foresta sorge il Parco “Sokake”(foto122). Questo è, infatti, l’habitat naturale di due specie di tartarughe: l’ Astrochelys radiata(foto123-124-125-126) e le Pyxis aracnoides(foto127-128-129).

La seconda è chiamata dai locali Kapidolo, o tartaruga fantasma, in quanto la si rinviene spesso vicino i luoghi di sepoltura delle tribù locali. E’ una specie difficile da osservare e studiare allo stato naturale per via delle piccole dimensioni ( 15/16 cm) e dalle abitudini legate al clima estremo che induce questi animali ad essere attivi solo durante la stagione delle piogge; è quindi, indispensabile, per il futuro di questa specie, l’allevamento in un centro specializzato in loco. Qui sono allevate e riprodotte con successo sia le tre sottospecie geografiche di Pixys (P. arachnoides arachnoides, P. arachnoides brygooi e P.arachnoides oblonga) sia le A. radiata di cui il Parco dispone di numerosi esemplari di cui alcuni sono animali confiscati. Ovviamente il centro è dedicato soprattutto alle A. radiata, con tanti recinti dedicati e suddivisi in base alle esigenze di riproduzione e di età. Da poco tempo, il Centro ha la possibilità di incubare alcune uova in 6 incubatrici artificiali (foto130) alimentate da pannelli fotovoltaici; in questa fase iniziale le incubatrici sono regolate a temperature diverse al fine di studiare i parametri più favorevoli alla schiusa mentre altre sono lasciate incubare nel terreno. Mentre la Pixys planicauda, vista nel Centro Durrel, vive sulla costa centro occidentale del Madagascar in una fascia costiera ristretta tra Morondava e Belo Tsiribihina, le tre sottospecie di Pixys Arachnoides , invece, vivono sulla fascia costiera meridionale a nord di Tulear (P. a. brygooi), a sud di Tulear (P. a. arachnoides) e nell'estrema parte meridionale fino a Taolagnaro (P. a. oblonga). Siccome le nostre visite ai due centri (Angonoka e Sokake) è stata in qualche modo privilegiata e favorita dal fatto che eravamo li con l'intenzione di collaborare, quindi ci è stato permesso di entrare all'interno dei recinti, avvicinarsi moltissimo e fare foto e video incredibili, ma la cosa più bella era sicuramente la situazione di euforia che si creava e che faceva si che sembravamo tutti dei bambini nel paese delle meraviglie.

GIORNO 11

Ancora un ennesimo volo interno per raggiungere nuovamente Tana, punto cruciale per gli spostamenti all'interno dell'isola in quanto punto nevralgico nei trasporti. Arriviamo nella prima mattinata, e dopo una breve sosta in albergo saliamo in un minivan procuratoci dall'Agenzia Viaggi malgascia cui ci siamo affidati come contropartita per alcuni piccoli contrattempi che avrebbero potuto evitarci. Visitiamo la città nei suoi punti fondamentali: il lago centrale(foto131-132), circondato da bellissime piante in fiore(foto133) il belvedere sopra la collina, il centro, l'ex Palazzo della Regina(foto134) l'attuale Sede degli Uffici del Primo Ministro ed il Mausole(foto135). Giriamo in lungo ed in largo, sempre felici ed allegri dentro il nostro pulmino. La sera in quattro decidono di andare a mangiare nel locale più "in" della città, dove un famoso cuoco serve ottimi e sofisticati piatti in una delicata e tranquilla atmosfera franco/coloniale; alla fine il conto è di sole 30 euro a testa. 

GIORNO 12

Il volo è previsto per il primo pomeriggio quindi la mattina ci facciamo accompagnare in un grandissimo mercatino dedicato solo ai souvenir turistici(foto136-137), dove si notavano gli effetti della recente crisi politica; in pratica senza turisti. Qui tutti hanno fatto il pieno di regali fino al possibile da trasportare, visto che i prezzi erano veramente bassi specialmente dopo lunghe trattative. 

Dopo di chè si parte per un breve volo della durata di poco più di un ora per raggiungere l'isola turistica di Nosy-Be. Ci trasferiamo in albergo(foto138), un residance semplice e un po' spartano ma vicino al mare ed in buona posizione.

GIORNO 13

Di nuovo il mare! Antananarivo è stata solo una meta di passaggio per poterci imbarcare nel volo che ci avrebbe portato a Nosy Be(foto139-140-141-142-143-144-145), isola verde raggiungibile via cielo o via mare.


Si trova a circa 15 km dalla costa nord-ovest del Madagascar, nelle calde acque del Canale di Mozambico, fa parte di un arcipelago formato da diverse isole di dimensioni diverse che si estendono per una lunghezza di 30 Km ed una larghezza di 19 Km. Nosy Be è definita anche l'"isola dei profumi" per l'abbondanza delle piante che vi si possono trovare: lichi, ylang ylang, mango, ananas, banane.


Noi ci siamo sistemati un po' fuori dalle classiche mete turistiche, in un residence appena fuori dal centro di un piccolo paese limitrofo a La Ville, di nome Ambatoloaka, dove è possibile toccare con mano la vita degli abitanti dell'isola. Nei giorni in cui siamo rimasti abbiamo preferito non fare mare nel senso classico con lunghi pomeriggi al sole ma abbiamo deciso per un paio di escursioni in barca alla scoperta di alcune isole abitate solo da indigeni, lemuri ed altri animali. La prima escursione ci vede partire di buona mattina verso l'isola di Nosy-Komba, dove caratteristiche sono le lavorazioni artigianali che abbiamo trovato: tipiche maschere di legno derivate dalla più classica cultura africana, manufatti eseguiti utilizzando semi di piante grandi come meloni, tovaglie ricamate ad intaglio o dipinte con immagini di tartarughe marine(foto146), lemuri(foto147-148-149), camaleonti(foto150) e serpenti(foto151).


Seguendo la nostra guida durante la prima escursione ci siamo fermati a dar da mangiare ai lemuri alcuni pezzetti di banana: quei piccoli delinquenti di lemuri con le loro zampette si sono dimostrati straordinariamente veloci nel prendere il pezzetto di frutta offerto, portarselo alla bocca, riallungare la zampa per riceverne ancora... e poi ancora... e poi ancora! In cambio si sedevano sulle nostre spalle e si lasciavano fotografare tranquilli: abbiamo dei bellissimi primo-piano. E sorpresa: tartarughe ! In piccoli recinti erano alloggiate un po' di belle Astrochelys radiata(foto152) , una Geochelone gigantea(foto153-154) e alcune Kinixis belliana nogueyi(foto155-156).


Poco prima di pranzo risaliamo in barca per dirigerci nella vicina isola di Nosy-Tanikely dove ci tuffiamo subito per fare snorkeling e dopo un buon pranzo ci rilassiamo in spiaggia e dopo andiamo a visitare il centro dell'isola dove oltre al faro e tanta vegetazione vediamo una colonia di pipistrelli(foto157-158).

GIORNO 14

Il penultimo giorno abbiamo visitato l'affascinate isola Nosy-Irania(foto159-160-161-162-163-164) dove con la bassa marea si unisce con un'altra isoletta a fianco tramite una lingua di sabbia bianchissima.

Qui prima di un buonissimo pranzo organizzato dall'equipaggio della barca ci immergiamo per una bella nuotata per fare snorkeling e vedere un po' di bellissimi pesci e stelle marine di tutti i colori. Purtroppo delle tartarughe marine che solitamente frequentano l'isola, neppure l'ombra, solo l'avvistamento di una piccolissima probabilmente di pochi giorni. Breve visita al piccolo villaggio di pescatori e si riparte per il ritorno . Il vento che spinge alle spalle crea un po' di onda che al momento di scendere dalla barca fa si che un'onda "biricchina" travolge Ago che fa fare il bagno alla sua fotocamera!

GIORNO 15

Mattinata libera dove bivacchiamo fra spiaggia e valigie da riuscire a chiudere, molti per riuscirci regalano indumenti e oggetti agli abitanti di alcune capanne adiacenti al residence, in attesa della partenza per il pomeriggio per Tana. Arrivati in capitale verso sera tardi, il volo è previsto per l'1,30 quindi non alloggiamo in albergo. Qualcuno decide per un ultima puntata in città per consumare un ultimo pasto malgasco.

GIORNO 16

Attendiamo il nostro volo, partenza prevista alle ore 1:30 di notte. Bivacchiamo in aeroporto velati da quel po' di malinconia tipica della fine dei viaggi: abbiamo passato insieme tante giornate, a volte allegre e a volte più faticose, in alcune occasioni ci siamo dovuti sopportare a vicenda ma molto più spesso abbiamo fatto squadra. In conclusione una bella vacanza, senza dubbio senza le comodità dei turisti classici ma piuttosto molto "turisti fai da te... ahi ahi ahi!" e forse anche questo ha contribuito a fare del nostro viaggio una divertente ed indimenticabile avventura!

Ciao Ciao Madagascar!

GIORNO 17

E' da poco passato mezzogiorno e siamo finalmente in Italia. Dopo un breve scalo a Parigi abbiamo preso l'ultimo volo previsto, giunto all'aeroporto di Bologna in perfetto orario. Saluti veloci e una promessa: organizzare presto un ritrovo per scambiarci foto e impressioni.

E Agostino è riuscito nell'impresa !

Scritto da Viviana Sangion, le foto sono di tutto il gruppo.

 

 

 

Giovedì, 26 Giugno 2014 16:45

Cronache dal Madascar - Parte 1

Cronache dal MADAGASCAR, la nostra avventura

23 ottobre – 7 novembre 2009

 

IL PAESE

 

 

Prima di svelare le incredibili avventure che abbiamo vissuto è meglio fare mente locale sulle principali caratteristiche del Madagascar, giusto una breve panoramica che illustri meglio il luogo che ci ha ospitato per due settimane.

Il Madagascar è una Repubblica, ex colonia francese, che si estende per circa 578.000 Km q., si tratta della 4° isola più grande del mondo. Un tempo definitiva "l'isola verde" per la sua maestosa vegetazione, oggi è più appropriato chiamarla "l'isola rossa" data la cattiva abitudine dei malgasci di incendiare boschi e foreste per fertilizzare il terreno: peccato che piova troppo poco, e una volta arso il terreno questo non produce più niente. Distruggendo il loro habitat, anche gli animali muoiono o se ne vanno per non tornare più. I malgasci forse non si rendono conto, ma come ha detto qualcuno stanno bruciando il loro futuro.

La parte centrale è montuosa e perciò un po' più fredda, sulle coste si prende il sole in spiagge ancora poco frequentate dai turisti.

La lingua ufficiale è il malgascio con tutti i suoi dialetti, ma non è raro trovare chi parla francese, soprattutto dove il turismo è un po' più diffuso.

La moneta corrente è l'Ariary, il cambio è di circa 2.800 Ariary per un euro.

La popolazione ha origini differenti a seconda della zona in cui ci troviamo: africani, creoli, mulatti, bianchi... molte le coppie miste tra bellissime ragazze isolane e uomini francesi molto meno attraenti.

La maggior parte della popolazione rurale è analfabeta e alleva animali (zebù, capre, pecore, polli, tutti animali molto magri), mentre i bambini di città riescono ad andare a scuola e ad imparare un mestiere nei vari Istituti professionali. I più fortunati arrivano a frequentare l'Università, ci hanno parlato molto bene dei corsi tenuti nella capitale, Antananarivo.

Cosa si mangia? Riso, patate, crevettes (gamberetti), angusta (aragosta), zebù e tanta frutta! Banane, mango, papaia e ananas. Tante e varie le spezie, ottime le bacche di vaniglia, profumati e colorati i fiori di ylang ylang.

... ma di tutto questo a noi interessava poco, noi volevamo vedere...

LE TARTARUGHE!

I PROTAGONISTI

Siamo partiti in nove, eccoci!

Da destra in piedi: Martina , Loris, Viviana, Lejla,Claudio,Iuri,Michele e Filippo. In basso: AgostinoAgostino: il Presidente. Da vero romagnolo sempre pronto alla battuta, organizzatore del viaggio. Mezzo matto per le tartarughe (come del resto quasi tutti gli altri), è riuscito a scattare una media di duecento foto al giorno, credo sia stato costretto a rottamare la sua macchina fotografica dopo il viaggio... per cogliere un'immagine particolare è quasi riuscito a decapitare Loris!

Michele: compagno di stanza di Ago. Il nostro interprete di menù al ristorante, nessuno osava ordinare prima che Mik avesse tradotto tutte le pietanze una per una, ascoltato da una platea in religioso silenzio. Memorabili i suoi "avec le pomme de terre"...

Loris: il Geologo. Ci ha aiutato a capire i vari tipi di rocce e minerali presente nel Paese, sempre discreto e disponibile. Grande appassionato di animali e natura, aveva già partecipato al precedente viaggio del Tarta Club Italia alle Galapagos, quindi sapeva a cosa stava andando incontro...

Filippo: appassionato di tartarughe d'acqua e gran dormiglione. Filo riesce a dormire in ogni dove: minivan, branda, jeep, motoscafo, piroga, forse anche mentre guida il quad. E poi telefona: Filo riceve telefonate anche quando nessun altro ha campo, lui sì!

Iuri, Martina & Lejla: la premiata ditta Valeri ha lasciato il segno. Vasta la conoscenza di piante ed animali, stare ad ascoltarli è davvero interessante. Iuri in particolare ha saputo indicare il nome specifico di buona parte delle specie animali e vegetali che abbiamo incontrato lungo il tragitto. Lejla ha evitato il crollo delle economie locali acquistando l'inverosimile: un passaparola indigeno la anticipava in ogni villaggio. Nei momenti di relax i capelli di Martina sono stati i più piastrati in assoluto, mentre lei valutava come terminare l'ultimo capitolo della sua tesi di Laurea.

Claudio & Viviana: Lui vero amante degli animali, le tartarughe sono la sua passione: si venderebbe anche la fidanzata per salvare un nuovo animale! Il viaggio in Madagascar ero un suo sogno da tanto tempo, flora e fauna unici al mondo lo incuriosivano da sempre. Lei ha scoperto di odiare alcuni animali, ad esempio gli scarafaggi morti dentro il letto in albergo. Oggi ama il cemento e vuole andare in vacanza a Tokyo.

Bene, eccoci pronti a raccontare!

GIORNO 1

Partenza dall'aeroporto di Bologna venerdì 23 ottobre all'alba. Tutti presenti tranne Filippo... che stesse telefonando?! Al check-in finalmente lo vediamo arrivare, ora comincia il viaggio! Il boeing AirFrance ci aspetta con le sue 13 ore di viaggio da passare tra spuntini, film, musica e racconti. I più provati sono i fumatori, impossibilitati a dare sfogo al loro vizio per così tanto tempo. Arriviamo ad Antananarivo (la capitale) alle 10 di sera e necessitiamo del visto d'entrata: per evitare inutili code da buoni italiani in vacanza decidiamo di contattare un ragazzo del posto che tramite amici di amici riesce a farci saltare la fila. Quindi andiamo a cambiare valuta: per poco più di trecento euro ci consegnano una mazzetta e mezza di Ariary, ci siamo sentiti ricchi! Sbrigate queste pratiche ci sistemiamo nell'albergo Le Lac Hotel(foto3) che dista 5 minuti dall'aeroporto, situato ai bordi di un lago, in attesa del primo volo interno(foto4) che ci avrebbe condotti a Mahajanga la mattina successiva, ovviamente ancora all'alba.

GIORNO 2

Poco prima delle otto del mattino siamo già a Mahajanga e dopo 15 Km di strada bianca(foto5), sterrata, raggiungiamo il villaggio Antsanitia(foto6), resort sulla spiaggia limitrofo ad un caratteristico piccolo villaggio di pescatori dove vivono circa 500 anime. 

Durante il tragitto abbiamo una prima visione della vera vita africana: la gente di campagna vive in piccole baracche di legno e fango con il tetto in foglie di banano(foto7-8), aggregate in gruppi di tre o quattro. Allevano piccoli animali e vendono oggetti di artigianato.

Al nostro passaggio i bambini gridano e ridono felici di vedere questi vahasa (i "bianchi") che forse regaleranno bonbons. Scopriamo con curiosità che l'acqua che useremo per lavarci è fredda e gialla: non esiste un sistema di acquedotto che copre tutto il Paese, spesso l'acqua è trasportata con ampie cisterne che riforniscono le strutture quasi quotidianamente. Il colore è dovuto al residuo ferroso. Anche la corrente elettrica non è sempre disponibile: per ovvie ragioni di risparmio viene tolta durante tutta la notte e buona parte della giornata. Il villaggio è comunque accogliente e si mangia bene, tutti sono molto disponibili. Sulla bella spiaggia arrivano le piroghe dei pescatori, molto caratteristiche ma soprattutto piene di pesce, quindi ci precipitiamo a curiosare e scattare tante bellissime foto.

Il pomeriggio alcuni di noi decidono di noleggiare i quad(foto11) ed inoltrarsi in sentieri sterrati con una simpatica guida francese che ci porta a visitare il lago sacro(foto12), dove si recano i locali in pellegrinaggio, pieno di grossi pesci che una donna addirittura accarezza e alla fine della visita un colorato gruppetto improvvisa una serie di danze in nostro onore(foto13-14) al quale noi poi contraccambiamo con una offerta che non è affatto dispiaciuta, poi si visita un grosso baobab(foto15) dove Iuri fa la conoscenza di un nido di feroci insetti che gli lasciano il segno per diversi giorni, di una fattoria dove allevano coccodrilli(foto16) , della laguna(foto17) e nel tragitto facciamo il primo incontro con una famigliola di lemuri sifaka(foto18) nell'aia di una capanna malgasca come fossero i mici di casa.

Il mercato locale è colorato(foto19-20-21), le donne vendono la frutta e si dipingono la faccia con un minerale che lascia una patina giallo ocra utile contro i raggi del sole e molto idratante. Seccandosi sul viso forma una serie di arabeschi decisamente particolari. Vediamo per la prima volta i pousse-pousse(22), tipico mezzo di trasporto “povero” che assomiglia ad un calesse con due sole ruote, trainato da un uomo scalzo. Viene utilizzato tanto per il trasporto di persone quanto per il trasporto di merci, e nonostante il trainante sia spesso filiforme e sembri senza forze, il carico del pousse-pousse assomma non di rado diverse decine di chilogrammi.

Di sera facciamo visita alla città dove gironzoliamo un po’ lungo la passeggiata nei pressi del porto e vediamo l’imponente grande baobab, famoso per la sua grande circonferenza di circa 24 metri che in pratica funge da rotonda stradale e punto di riferimento; toccarlo è considerato tabù. Mahajanga o Majunga è una città di circa 15.000 abitanti, chiamata la città dei fiori, con una temperatura abbastanza alta e costante durante l’anno, ma con un clima relativamente secco che la rende molto gradevole da viverci, infatti non pochi sono gli stranieri che vivono qui, in maggior parte francesi aiutati dalla loro lingua molto diffusa. Domani ci aspetta il Centro Angonoka, il Tarta Club Italia è pronto a dare i numeri!

GIORNO 3

Oggi visita al Durrel Wildlife Conservation Trust(foto23) presso il Parco Nazionale di Ankarafantsika a circa 120 Km da Mahajanga. Il Tarta Club Italia è letteralmente impazzito, i ragazzi hanno cominciato a scattare un sacco di fotografie a tutti gli animali presenti, grazie anche al permesso, decisamente inusuale, di entrare nei recinti oltre a fare tantissime domande al responsabile del Centro ed agli inservienti circa l’estivazione, il cibo, l’ambiente, il numero degli esemplari presenti e la loro provenienza. Apprezzabile e divertente il tentativo di Agostino di porre i propri quesiti in tantissime lingue: italiano, romagnolo, spagnolo, francese, inglese… Uno spasso!

  I Tarta-appassionati sono rimasti decisamente senza parole davanti alle Angonoka (Geochelone yniphora) e non solo. Ma passiamo ad una descrizione un po’ più “scientifica” : Oltre alle otto specie di lemuri (come il lemure donnola, il sifaka di Coquerel e il microcebo murino) e alle 129 specie di uccelli, il Parco ospita un centro per l'allevamento di diverse specie di tartarughe a rischio di estinzione, la testuggine dalla coda piatta, Pyxis planicauda(foto29), la rarissima “ANGONOKA” o testuggine dal vomere Astrochelys yniphora(foto24-25-26-27-28), la più comune Astrochelys radiata(foto30) chiamata dai malgasci “SOKAKE” e l'unica tartaruga endemica d’acqua dolce del Madagascar, la podocnemide del Madagascar Erymnochelys madagascariensis(foto31-32).

 

Di quest’ultima, inserita nel “RED BOOK” della IUCN tra le 25 specie a maggior rischio di estinzione, sono allevati diversi esemplari con un ottimo risultato riproduttivo.

Interessante e curiosa scoperta è stata sapere che vengono alimentate, oltre che con pesce, lumache, frutta e verdura, anche con i tuberi di manioca, una pianta diffusissima nell’isola e coltivata a scopo alimentare. Presso il Durrel sono attivi progetti di recupero per queste testuggini e senz’altro il più delicato e difficile è il “Project Angonoka”. Il Centro ospita, attualmente, circa 200 esemplari di Astrochelys yniphora e altri 40 sono stati già reintrodotti recentemente nel loro habitat originario nei dintorni di Soalala nel Parco Nazionale “Baie de Baly” a sud-ovest di Mahajanga(la prima nascita risale al 1987!!). L’incubazione delle uova è del tutto ancora naturale(8-9 mesi) e non vengono utilizzate incubatrici. La percentuale di schiusa è sul 60%. Bellissimo ed emozionante poter vedere dal vivo due maschi(foto27), di dimensioni notevoli, impegnati nella lotta utilizzando la protuberanza degli scuti gulari. Per potersi accoppiare, infatti, il maschio deve prima eccitarsi lottando con altri maschi utilizzando proprio la protuberanza degli scuti gulari come uncino per far presa sotto il carapace del rivale. Se non ci sono rivali disponibili alla lotta, cosa che avviene sempre più spesso in natura a causa della diminuzione degli esemplari, il maschio non si accoppia, mettendo in pericolo la continuità della specie.

Obiettivo della visita al Parco è stato anche verificare la possibilità di instaurare un rapporto di collaborazione orientato a migliorare le attività di recupero, allevamento e riproduzione del “Progetto Angonoka”. Il Tarta Club Italia, infatti, si è impegnato ad aiutare il centro anche con l’aiuto dei soci; ci è stata consegnata una lista di attrezzature utili come PC portatili, bilance di precisione, microscopio elettronico, endoscopio, tende da campeggio, torce tascabili e soprattutto un sistema di allarme. E’ molto alto, infatti, il rischio di furti delle A. yniphora, come già avvenuto alcuni anni fa da parte di alcuni uomini che, forse su commissione, trafugarono una settantina di esemplari che sul mercato nero valgono svariate decine di migliaia di euro. Il Madagascar resta un paese molto povero e trovare questo tipo di manodopera è molto facile considerando anche il bassissimo livello d’istruzione della popolazione. Alcuni giorni dopo la visita al centro Durrel, siamo stati ricevuti, ad Antananarivo, dal presidente del Durrel per il Madagascar. Durante la chiacchierata è emerso che il problema principale, oltre a quello della distruzione dell’habitat, per le tartarughe malgasce, è quello del bracconaggio. Anche le A. radiata, infatti, fino pochi anni fa erano molto numerose nelle zone aride del sud del Madagascar con una densità anche piuttosto alta. Attualmente, purtroppo, la loro presenza in natura è rarissima a causa dei continui prelievi illegali in natura. La destinazione principale di questi animali sono i mercati asiatici dove non esistono leggi per la loro tutela. Ben lieto della nostra visita, e felicissimo dell’impegno di cui il Tarta Club Italia si è fatto carico, il presidente del Durrel ci ha anche informato della imminente creazione di un secondo Centro dedicato alla quarantena delle Angonoka sequestrate e recuperate per sfruttare al massimo il basso numero di esemplari ormai esistenti (si stima che in natura ce ne siano meno di 400).

 

GIORNO 4

Oggi dedichiamo la giornata al riposo. Mattina e pomeriggio liberi: chi va in piscina(foto35), chi prende il sole, i più temerari hanno concordato una gita con una piroga dei pescatori(foto36); incredibile esperienza con queste barchette totalmente auto costruite con materiali molto poveri, vele comprese , formate nei maggiori dei casi da teli di plastica ricavati dai sacchi usati per il trasporto del riso e cuciti tra loro. foto 35 Il timoniere la maggio fatica la faceva nel buttare fuori continuamente secchi di acqua che entrava dalle tante fessure della piroga. Povera piroga! Forse non avrà mai retto tanto peso come in questo caso; tre turisti di discreta stazza , più tre esili pescatori. Verso sera ritorniamo in aeroporto per il viaggio di circa un ora che ci riporta in capitale(Tana), dove alloggiamo nel solito albergo per attendere la partenza della mattina successiva con un minivan che ci porterà fino a sud con tante tappe intermedie.

GIORNO 5

Sveglia di buon mattino per fare la conoscenza di Eri, la nostra nuova e simpaticissima guida che ci accompagnerà lungo il viaggi in minivan su e giù per il Paese.

Prima tappa: Antsirabe(foto37-38-39), bella e pulita cittadina a circa 170 Km a sud di Tana e 1.500 metri di altitudine. Qui crescono rigogliose piante di eucalipto, pini, cipressi e foreste di conifere. Il terreno fertile consente la coltivazione di riso, tabacco, cotone, frutta e verdura. Prima tappa in un grande spiazzo dove ci sono tante capannine piene di gadget e souvenir di tutti i tipi lavorati con la raffia(foto40); quindi primi veri acquisti. Lungo il tragitto incontriamo delle venditrici di fragole(foto41) dalle quali ne acquistiamo un paio di sacchetti: veramente gustose, ottima merenda per il pomeriggio! Antsirabe è la città con il la maggiore densità di pousse-pousse, circa 6.000 mezzi, nonché una nota località termale. Molte le scuole professionali avvistate lungo la strada (istituto linguistico, per operatore turistico). Sembra una località più ricca rispetto alle precedenti, complice sicuramente il clima meno torrido, l’attività turistica e di vendita di pietre preziose, presenti in tutto il Madagascar in grandi quantità. Nel pomeriggio andiamo a visitare un laboratorio di pietre e minerali(foto42-43) e mentre il nostro geologo Loris ci aiuta nel riconoscere acquamarine e topazi, tormaline e smeraldi, zaffiri e opali, ,mentre i Tarta-matti scompaiono e… li ritroviamo dopo alcuni minuti occupati a spupazzare e fotografare cinque esemplari di radiata(foto44) di proprietà del laboratorio, animali abbastanza anziani ed interessanti ma non proprio ben tenuti: le tartarughe sono costrette a passeggiare sopra una distesa di minerali e pietre grezze tale per cui le zampe sono abbastanza usurate con la quasi assenza delle unghie. Qualcuno ha fatto notare questo particolare agli inservienti, speriamo sia servito(mmmh!).

GIORNO 6

Si sale nuovamente in minivan e si parte alla volta di Fianarantsoa, considerata la capitale del sud per la sua importanza economica. Qui si coltivano riso(foto45-46), caffè e viti; molto sviluppato l’artigianato di legno foto 44 e rafia venduto in piccoli mercati. foto 45 Qui si trovano anche le caratteristiche tovaglie ricamate ad intaglio dalle donne del paese, decisamente belle anche se il tessuto è povero. Da qui parte l’unico treno del Madagascar (ovviamente d’epoca) che collega Fianarantsoa a Manakara(foto47-48), lungo un percorso molto romantico di circa 80 km reso ancora più caratteristico dalla modesta velocità del mezzo(circa 20km all’ora), che comprese le tante fermate ha una durata di almeno 8 ore(si quando si parte ma non quando si arriva).

Andiamo a visitare un laboratorio di lavorazione ad intaglio del legno(foto49-50-51): quanta pazienza per incastrare tra loro piccolissimi pezzi di legno a creare meravigliosi paesaggi e perfetti animali! I bambini ci vengono incontro e ci chiedono regali: provette di profumi e saponette per le mamme, penne e quaderni per la scuola, persino un pallone da calcio in cuoio per giocare; a dir il vero avevamo lanciato una sfida per un “partitone” ma per fortuna che si è fatto tardi e non c’è stato il tempo, altrimenti mi sa che ci rifilavano una lezione memorabile. Alcuni di questi ragazzi ci portano a visitare un laboratorio attraverso strani vicoli della città , tanto che ad un certo punto ci guardavamo intorno con il timore che da li a poco ci avrebbero rapinato, ma dopo poco ecco una casa dove nel retro, in uno stretto corridoio al buio, lavoravano diverse persone intenti a intagliare oggetti di legno; poco dopo ci fanno visitare una stanza con l’esposizione di oggetti artistici finiti e qui facciamo un po’ di acquisti, felici di aver acquistato da chi produce ed ha veramente bisogno di soldi per vivere, non come alcuni negozi dove solitamente le guide portano i turisti. E poi vogliono fare le foto insieme a noi e ridono contenti con il nuovo pallone di cuoio(foto52): tutti hanno i foglietti con il loro nome ed indirizzo e sperano che, una volta tornati in Italia, ci ricordiamo di loro prima di tornare alla vita quotidiana spedendo una copia delle fotografie scattate.

GIORNO 7

Oggi raggiungiamo Ranohira passando per Ihosy e Betsileo (Antaimoro). La prima tappa è la visita al laboratorio di produzione della famosa carta Antaimoro(foto53-54-55-56),

assimilabile alla carta di riso, ottenibile dalle foglie di un albero autoctono poste a macerare nell’acqua e seguite da una lavorazione ben precisa che le porta a diventare oggetti di ogni tipo. Negli anni questo prodotto è divenuto una delle più importanti e caratteristiche creazioni dell’artigianato malgascio. La seconda e ultima tappa della giornata è il Parco Anja, famoso per i lemuri Catta(foto57-58) e i camaleonti giganti(foto59).

Ne abbiamo visti diversi anche noi attraversando la foresta: i lemuri si sono avvicinati senza troppa paura e li abbiamo potuti osservare bene. Sono animaletti grandi quanto delle piccole scimmie e hanno una coda lunghissima, ma quando ci avviciniamo troppo, in un attimo spariscono tutti. Risaliamo nuovamente nel pullman e procediamo verso Ranohira, durante quasi tutti i trasferimenti non mancano scene particolari come lavorazioni della raffia(foto60) e tantissimi bambini(foto61-62) che spesso trasportano di tutto con dei carretti artigianali con piccole ruote(foto63) .

Nel bel mezzo del cammin di nostra vita il minivan all’improvviso si ferma(foto64): panico generale per il motore surriscaldato a circa 140 Km dalla destinazione, alle nove di sera e lungo una strada buia e deserta. Fantastico! Per fortuna tutto si risolve nel giro di poche decine di minuti… meno male! Arriviamo all’albergo sani e salvi dove ormai non ci attendevano più.

 

 

 

Giovedì, 26 Giugno 2014 16:13

Isole Galapagos

Un viaggio da ricordare

29 Novembre – 14 Dicembre 2006

Non è facile, in un breve articoletto come questo, descrivere tutto ciò che abbiamo visto in quello che personalmente chiamo "Il viaggio della mia vita". Se mi accingessi a parlare dell'Archipelago de Colon probabilmente queste righe passerebbero inosservate a molti. Le Isole Galàpagos, invece, le conoscono tutti o, per lo meno, tutti le hanno già sentite nominare. Pochi sono a conoscenza del fatto che è solo una questione di doppio nome. Quel che è sicuro è che la parola "Galàpagos " porta la mente di ognuno a viaggiare fra le più svariate fantasie naturalistiche senza spazio e senza tempo.

Una visita nell'arcipelago è come un sogno avverato di un bambino, o meglio, è una visita che fa tornar un po' bambini tutti quanti. E' questo, infatti, uno degli ultimissimi paradisi incontaminati che si possano ancora trovare sulla Terra, ormai circondati, come siamo, da cemento ed asfalto, dal capitalismo, dalla tecnologia e dalla vita frenetica delle nostre città. Un viaggio in queste isole dimenticate è una lezione esplosiva di storia ambientale e naturalistica, fra paesaggi incantati, a metà strada fra deserti e foreste.

 

Scomode e lontane da raggiungere, spesso viste negativamente, in passato, a causa delle coste di origine vulcanica, e quindi costituite da rocce di color nero, simbolo del male e della negatività, case di "strani" animali, quasi sempre endemici, queste terre sono riuscite a mantenere una sorta di verginità dove l'uomo non ha ancora deturpato o modificato l'ambiente che lo ospita.

Scoperte nel 1535 dal Vescovo di Panama che vi approdò per errore, le Galàpagos vennero così chiamate in quanto proprio lo stesso Vescovo fece una descrizione molto dettagliata al suo re delle Galàpago (le testuggini) giganti che vide sulle isole. In seguito, per secoli, l'arcipelago offrì cibo ed acqua a corsari e pirati che trovavano ancoraggi comodi e legnami per le navi. Quasi sempre il cibo prelevato era costituito dalle enormi tartarughe terrestri che, inermi ed innocue e che raggiungevano anche i 200 Kg di peso, potevano sopravvivere nelle stive anche per un anno senza alcun tipo di cura. Nel XIX secolo soggiornò sulle isole Charles Darwin il quale, osservando fauna e flora locali, formulò la sua nuova teoria sull'evoluzione delle specie, alla base, ancora oggi, della moderna scienza biologica. Le Galàpagos divennero possesso dell'Ecuador nel 1832, posizionate a circa 1000 Km dal continente sud americano, in pieno Oceano Pacifico, a cavallo dell'equatore. Nel 1959 divennero ufficialmente Parco Nazionale.

L'arcipelago offre spazi naturalistici unici al mondo: vulcani attivi (ad esempio il Sierra Negra, secondo al mondo per importanza e grandezza, visitabile dopo ore di marcia a cavallo e poi a piedi, un'escursione indimenticabile!), zone aride e zone umide e verdissime, una flora impareggiabile ed una fauna che, non conoscendo l'uomo, non essendone mai venuta a contatto diretto, non lo teme. Il visitatore può, quindi, ammirare, senza difficoltà alcuna, ogni specie animale a brevissima distanza: sule piedi azzurri, fregate, albatros, iguane giganti, leoni marini, pellicani, fringuelli di Darwin, tonni, squali pinna bianca, mante, tartarughe marine, testuggini terrestri giganti, solo per ricordare alcune specie.

Oltreché dalla natura, tutti quanti noi, un po' turisti ed un po' naturalisti, siamo stati veramente colpiti anche dalla cordialità e dalla gentilezza della gente. Si nota subito che nessuno sa cosa sia lo stress, la gente non è maliziosa, viene quasi automatico lasciare le porte delle nostre camere aperte, non si ruba nulla. Nessuno ha paura di passeggiare la sera fra stradine poco illuminate in paesini che non si conoscono. Anzi, se si incontra qualcuno si viene puntualmente e cordialmente salutati. La povertà dilaga, la gente ha poco o nulla, ma quel poco che si possiede lo si spartisce con gli altri. I paesini sono molto piccoli. Le case sono tutte al piano terra o al limite ad un piano sopraelevato e di poche decine di metri quadrati. Le automobili sono praticamente assenti, tant'è vero che quando se ne incontra una si nota subito l'odore dei fumi di scarico in mezzo all'aria limpida e pulita che c'è. Il cibo nei ristoranti è buonissimo, anche se la scelta è limitata. Tutti i rari locali di intrattenimento chiudono prestissimo, verso le 22.00. Per le strade si respirano ovunque profumi di spezie e di carne cotta allo spiedo, accompagnati ad ogni casa da melodiche e, spesso, assordanti musiche del luogo. Se, però, qualcuno ha intenzione di andare a vivere in queste isole, o se qualcuno vede in questi posti un luogo dove poter realizzare facili guadagni approfittando del costo bassissimo della vita, beh... allora si prepari a cercar moglie alle Galàpagos! Proprio così, soltanto i residenti possono intraprendere qualsiasi tipo di attività lavorativa, e per avere la residenza è necessario sposare un cittadino del luogo.

Ci sono così tanti controlli aeroportuali e doganali che perfino droga ed alcol riescono a stare distanti. Si ha la sensazione che il tempo non abbia tempo, che il tempo non abbia senso.

Dal punto di vista sociale è veramente un tuffo in un altro mondo e in un'altra epoca, anche se si iniziano a vedere alcune piccole opere di modernizzazione (marciapiedi, lampioni, passeggiate lungomare). C’è da sperare che la corsa al denaro non riesca a intaccare anche questi ultimi baluardi di semplicità e genuinità.

 

Ma perché il Tarta Club Italia alle Galàpagos?

 

 

 

 

L'intenzione comune del Club di realizzare a Cesena "Il Parco delle Tartarughe" ha spinto il Club stesso ad andare a visitare direttamente sul posto la terra per antonomasia di questi rettili e i centri di salvaguardia e riproduzione ad essi dedicati. In questo modo è stato possibile ammirare, dal vero, i recinti dove vengono custoditi gli animali, l'arredamento ivi presente, le incubatrici e il reparto nursery. Sono tre i centri ufficiali che si occupano di testuggini e che sono stati da noi visitati: Il "Galapaguero", sull'Isola di San Cristobal, il" Charles Darwin Research Station", sull'Isola di Santa Cruz, e il "Centro de Crianza de Tortugas" sull'Isola Isabela. Tutti i centri si sono mostrati estremamente disponibili a mostrarci perfino il reparto incubatrici, cosa che è assolutamente proibita ai normali turisti.

 

 

 

 

Allo stesso tempo è altresì stato possibile fotografare da vicino decine di esemplari allo stato libero presso il paesino di Santa Rosa, sull'Isola di Santa Cruz. E, accompagnati da un pizzico di fortuna che non guasta mai, abbiamo assistito anche ad un accoppiamento. La visita del TCI sulle isole è coincisa con la presenza alle Galàpagos della troupe di "Velisti per Caso" di Patrizio Roversi e Susy Blady. Ormai affermato programma televisivo in onda su Rai3 a scopo ambientale, sociale e culturale, vuole, in questa occasione, sottolineare il problema della spesso difficile convivenza fra uomini ed animali. Il servizio completo e le interviste realizzate andranno in onda nel luglio del 2007 su Rai3 in prima serata. Quale migliore occasione per il TCI per farsi conoscere, spiegare le intenzioni del viaggio in una terra ancora pressoché vergine e nel regno proprio delle tartarughe giganti. Parlare, poi, dell'intenzione di realizzare un parco in Italia dove poter salvaguardare le specie autoctone, e dove poter, altresì, accogliere gli animali sequestrati dagli enti competenti o abbandonati in natura.

 

 

 

 

La convivenza di alcuni giorni con la troupe televisiva ci ha portati anche a conoscenza della possibilità di entrare in contatto con un settore dell'ENEL che si occupa di progetti pilota a scopo didattico da realizzare in opere pubbliche quale potrebbe essere proprio "Il Parco delle Tartarughe". In questo modo si potrebbe instaurare un rapporto di collaborazione reciproco. Un parco interamente autonomo da tutti i punti di vista: energetico in primo luogo, per ciò che riguarda la produzione di cibo per gli animali, ed anche per quanto riguarda lo smaltimento e il riutilizzo di materiali di scarto ed escrementi.Tutti noi "viaggiatori" siamo stati ospiti, per un giorno, dell'"Adriatica", l'imbarcazione sperimentale che accompagna la troupe durante i suoi spostamenti per il mondo. Si è approfittato dell'occasione per consegnare a Patrizio Roversi e al Governatore delle Galàpagos, Grace Unda, una targa ricordo, così da suggellare una sorta di gemellaggio / amicizia fra il TartaClubItalia e le Isole. Durante le riprese il Club è entrato in contatto diretto con una famiglia di residenti che vive in condizioni di estrema povertà, ma che, spinta da un profondo Amore e rispetto per la Natura, ed in particolar modo per le testuggini giganti con le quali vive a stretto contatto, non fa mai mancare loro acqua e cibo. Il TCI, nella persona del Presidente Agostino Montalti, ha deciso, a tal proposito, di fare immediatamente una donazione in denaro alla famiglia, e il giorno dopo di donare tre biciclette ai bambini di 5, 7 e 8 anni, costretti, fino a quel giorno, a percorrere quotidianamente 4 Km per recarsi a scuola. Gli occhi dei bambini si sono da subito illuminati e quelli di noi adulti sono diventati un po' lucidi...

 

 

 

 

Il viaggio non poteva concludersi in modo migliore per tutti noi, ormai divenuti un po' viaggiatori, un po' esploratori e soprattutto fotografi.

 

 

 

 

I partecipanti:

 

Da sinistra:

Giordano Elvio, Venturini Loris, Belletti Daniela, Montalti Agostino, Zoffoli Silvia, Farabegoli Elisa, Franzoi Andrea. Accasciata: Papperini Doretta.

 

Elvio Giordano

 

 

 

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